L’arca di Noè

di Ferdinando Boero

Ottimo l’articolo di Stefano Cristante sui nuovi pianeti scoperti dalla NASA, e ottimo il suo finale sulla eccessiva fiducia nella tecnica, con una digressione nella fantascienza. L’eccessiva fiducia nella scienza viene chiamata scientismo. Una parola che non mi piace. Perché la scienza è altra cosa rispetto alla tecnologia. La scienza identifica l’ignoranza e cerca di ridurla. E non conosciamo altro modo per ridurre l’ignoranza. A meno che deleghiamo la nostra ignoranza a qualche creatura invisibile che vive oltre le nuvole. E lì, forse, qualche eccesso esiste. L’eccessiva fiducia nella tecnologia è tutto un altro discorso. Pensare che tutti i problemi si possano risolvere con la tecnologia è una pia illusione. Questo sì che è un atto di fede che sconfina con la religione, e che potrebbe essere chiamato tecnismo, ma non scientismo! Il fatto di trasferirci su un altro pianeta è stato proposto da un celeberrimo astrofisico, Stephen Hawking. Il succo è: abbiamo quasi distrutto il pianeta, e oramai non ci resta che trovarne uno adatto e trasferirci su quello. E ora pare che la NASA ne abbia trovato più di uno. Ora no, è presto, ma in futuro… Il che significa: dateci altre montagne di denaro e vi porteremo in un posto sicuro. 

Prima ho parlato di creature invisibili che vivono oltre le nuvole. Ma qui siamo oltre. I libri che pensiamo siano stati scritti su ispirazione di queste creature spesso contengono risposte molto sensate alle domande di oggi, e fanno sorgere il dubbio che, indipendentemente da vite aeree, siano frutto di grandissima saggezza. Nella Bibbia, per esempio, il Creatore si innervosisce per il nostro comportamento dissennato (siamo sempre stati un po’ bricconcelli) e decide di cancellare questo errore. Poi ci ripensa. Vabbè, diamo loro un’altra occasione. Chiama Noè e gli ordina di costruire un’arca. Vien subito da pensare alla navicella spaziale che ci porterà sul pianeta promesso, dopo la catastrofe universale. Gli dice di prendere con sé la sua famiglia e gli suggerisce di portare anche tutti gli animali. Ora, il Creatore è evidentemente un appassionato di animali e io, che sono uno zoologo, non posso che esserne lusingato. Ad Adamo dà un solo compito: dare il nome agli animali. E a Noè ordina di salvare gli animali, portandoli con sé. Gli animali però non bastano. Ci vogliono anche le piante, e i batteri, e i funghi, e altri esseri microscopici che si chiamano protisti. Gli ecosistemi del pianeta funzionano grazie a questi esseri, il Creatore lo sapeva anche allora, ma si rivolgeva a persone che ancora non avevano capito il funzionamento della Creazione. Noi siamo in cima a tutto (così ci piace pensare). Ma senza tutto quello che c’è “sotto” non possiamo vivere. Questi esseri, tutti assieme, formano gli ecosistemi. Noi siamo il prodotto di un’evoluzione determinata da condizioni di coesistenza con questi esseri. Se ci dovessimo trasferire dovremmo portarceli tutti dietro. E sapete una cosa? non sappiamo neppure quanti siano. La parola biodiversità definisce la diversità dei viventi e noi la percepiamo con le specie: dare il nome agli animali significa dare il nome alle specie. Abbiamo dato il nome a due milioni di specie, ma si stima che il pianeta ne ospiti almeno otto milioni. Non sappiamo neppure cosa ci dovremmo portar dietro! Investiamo pochissimo per conoscere la biodiversità, mentre spendiamo cifre astronomiche per cercare altri mondi, e qualche furbacchione ci suggerisce che siano adatti a noi.

Ovviamente conoscere l’esistenza di questi pianeti è scienza, e va benissimo. Ma suggerire il trasferimento implica tecnologia. E implica anche non aver capito niente, ma proprio niente, di come funzionano i sistemi ecologici e di quali siano i nostri rapporti con essi. Parlano di vita su altri pianeti persone che non riconoscerebbero una medusa da un mollusco, e che di ecologia ed evoluzione sanno ben poco, evidentemente. Ci presentano sillogismi tipo: perché ci sia la vita ci vuole l’acqua e quindi se c’è l’acqua c’è la vita. Mia nonna mi diceva che ero una bestia, perché il prete, dal pulpito, aveva tuonato: le bestie non credono in Dio, e chi non crede in Dio è una bestia! Ma mia nonna era semianalfabeta! Possibile che sillogismi analoghi trovino tanta popolarità in persone che “hanno studiato”?

Intanto, il massimo rappresentante di chi crede nell’uomo invisibile che ci guarda da oltre le nuvole, un signore vestito di bianco, che si fa chiamare Francesco, scrive Encicliche sulla biodiversità e sul funzionamento degli ecosistemi, e ci ammonisce su quel che stiamo combinando, dicendoci di non avere eccessiva fiducia nella tecnica. Risolve problemi a breve termine e ne causa di ben maggiori a lungo termine. Come stanno iniziando a capire i francesi che, ora, non sanno come dismettere le centrali nucleari arrivate alla fine del periodo di funzionamento. Tra quarant’anni sapremo come dismetterle, avranno pensato quando le hanno costruite. E invece no. Ma signora guardi ben che sia fatto di Moplen, ci diceva Gino Bramieri all’inizio dell’era della plastica. Ora gli oceani sono pieni di plastica, e non sappiamo come toglierla. Va benissimo avere la testa tra le nuvole, di tanto in tanto, e sognare trasferimenti interplanetari. Ma poi dobbiamo scendere di nuovo con i piedi per Terra. Abbiamo questo pianeta. Non ce ne sono altri, di ricambio. Lo dobbiamo custodire e rispettare e invece lo stiamo devastando e le illusioni astrali quasi giustificano la nostra dissennatezza. Meno male che c’è Francesco a ricordarcelo. Con la conversione ecologica ci esorta a convertirci ad una scienza: l’ecologia. Se la studiassimo capiremmo che un conto è parlare di astrofisica e altro conto è parlare di ambienti abitabili dalla vita, e da noi. Mel Brooks ha fatto un film che ben ricorda queste situazioni, si chiama Balle Spaziali.

 

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 26 febbraio 2017]

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