L’inglese è il latino degli scienziati

di Ferdinando Boero

Di mestiere faccio lo zoologo. Il latino è una delle nostre lingue: in latino formiamo i nomi degli animali. Noi siamo Homo sapiens, per esempio. E molte parole tecniche che abbiamo inventato hanno derivazione latina o greca. Pedomorfosi, per esempio. O Eterocronia, ecologia, acrofilia e centinaia di altre. Ma quando parliamo tra noi, se siamo di nazioni differenti, parliamo in inglese. E’ il nostro latino. Parliamo in inglese per motivi storici tra i più disparati. Sono di lingua inglese gli stati che hanno vinto la seconda guerra mondiale. Ma, prima di questo, la lingua inglese è quella in cui sono scritte molte opere che hanno cambiato la storia della scienza e non solo. Darwin scriveva in inglese, e nessun altro ha avuto più influenza sulla nostra visione del mondo e di noi stessi. Secondo il dizionario di Oxford, l’inglese ha  171.476 parole. L’italiano ne ha circa 160.000 e quindi come ricchezza siamo vicini. Ma per chi studia scienze naturali la ricchezza dell’italiano è molto minore rispetto a quella dell’inglese. Prendete una giraffa, per esempio. In italiano la giraffa bruca le foglie degli alberi. Ora prendete una zebra.  La zebra bruca l’erba della savana. Entrambe brucano. In inglese no. Il verbo che indica come mangia la giraffa è “browse” mentre quello che indica come mangia la zebra è “graze”. Ci sono due parole per dire quello che in italiano si dice con una, in modo generico. Ci sono tanti esempi come questo. La precisione dell’inglese nel descrivere la natura è direttamente proporzionale al loro interesse per essa. I libri tecnici in scienze della natura sono tutti in inglese, li pubblicano case editrici di università anglosassoni, come Chicago, Oxford, Cambridge, Princeton. Questi libri non vengono tradotti in altre lingue, non ci sarebbe mercato.  Se si vuole avere accesso alle informazioni primarie si deve conoscere l’inglese. Se si vuole comunicare con il resto della comunità scientifica, si deve conoscere l’inglese. Non è un vezzo provinciale, tipo quello di usare parole inglesi all’interno di frasi italiane. Vizio endemico dei nostri recenti governanti, che si beano di job act, fiscal compact e altre amenità usate per indorare pillole amare. 

L’inglese, nella scienza, è come il latino nelle belle e antiche lettere. Ci si deve immergere in esso e bisogna imparare a pensare in quella lingua. Non a leggere un testo e a tradurlo mentalmente in italiano. Si deve pensare in inglese, se si vuole avere un posto nella comunità scientifica internazionale. E’ per questo motivo che anche le Università italiane hanno deciso di offrire corsi interamente in lingua inglese. All’Università del Salento abbiamo cominciato con il corso di laurea magistrale Coastal and Marine Biology and Ecology. Il primo corso del genere lanciato in Italia. Uno dei pochi corsi che attrae studenti da fuori regione e da fuori Italia.

All’italiano ci teniamo moltissimo, però. Oltre ad insegnare nella magistrale, in inglese, insegno anche nella triennale, in italiano. E faccio esami scritti. Ogni anno, con orrore, mi trovo di fronte al disastro della lingua italiana in chi viene dall’istruzione superiore. Diciamo che almeno un 15-20% dei miei studenti fa errori di ortografia, grammatica e sintassi. E ritengono un’ingiustizia essere giudicati negativamente per questo. Che c’entra con la zoologia come scrivo in italiano? C’entra, c’entra.

Gli studenti della magistrale in inglese, però, sono marziani. Perché hanno capacità di comunicazione e di apprendimento molto superiori rispetto alla media, ed è difficile dare voti bassi, anche volendo, per differenziare. Non è merito nostro se sono bravi, arrivano già così, selezionati dalla loro curiosità e dalle loro capacità. Tutti hanno diritto di avere accesso all’istruzione, ma sono i meritevoli ad andare avanti. La magistrale è “avanti”, ed è giusto mettere questi studenti di fronte a come sarà la loro vita, se vorranno fare i biologi marini in un mondo globale.

Insegnare in inglese è totalmente inutile per chi voglia fare giurisprudenza (a parte il diritto internazionale) o lettere antiche. Ma in altri campi è essenziale, non per un vezzo provinciale dei docenti, ma per il bene degli studenti.

Non ci sono paragoni con Darwin, e leggerlo nella sua lingua, con la sua prosa, è Cultura con la C maiuscola. Una Cultura non apprezzabile da chi non conosca l’inglese tanto da apprezzarne le sfumature. Perché per noi la zebra bruca come la giraffa, per loro no. E’ bene saperlo, ed è bene saperlo bene, se si vuole competere con il resto della comunità scientifica, a livello internazionale. Questo vogliamo dare ai nostri studenti, e non c’è altro modo.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, martedì 7 marzo 2017]

 

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