La mia città (esercizio di micro-sociologia)

di Gianluca Virgilio

Per descrivere la mia città, converrà innanzitutto analizzare la sua composizione sociale, distinguendo vari gruppi; poi dovrei dire come i suoi membri vivono, che lavoro svolgono, quanto guadagnano, come spendono i soldi, quale titolo di studio possiedono, cosa fanno nel tempo libero; e ancora, cosa pensano, quali discorsi elaborano all’interno del proprio gruppo e nel dialogo con gli altri gruppi. Mi interesserebbe apprendere che cosa tiene insieme i cittadini di una piccola città – a prescindere dalla messa domenicale o dalla partita di pallone – collocata in una regione del sud dell’Europa, a duemilacinquecento chilometri di distanza da Bruxelles, ovvero dal luogo dove si prendono le decisioni che determinano la vita dell’Unione Europea e, quindi, anche della mia città. Ma per fare questo, dovrei scrivere un trattato di sociologia, che invece lascerò a chi è competente in materia.

Passerò in rassegna, pertanto, solo i gruppi sociali, senza presunzione di esaustività, mettendo in evidenza le maggiori caratteristiche di ciascuno.

Il gruppo più vistoso è quello dei commercianti, un ceto molto esteso e variegato: si va dal piccolissimo commerciante, la cui bottega fa vivere dignitosamente la famiglia, al grande commerciante dal tenore di vita altissimo, passando attraverso numerosi gradi intermedi. E’ gente intesa al guadagno, che non si perde in chiacchiere, con una forte disposizione a costituirsi in categoria al fine di tutelare i propri interessi. Per questo ceto, la cultura cittadina deve essere attrattiva, cioè deve attirare in città numerosi turisti e visitatori, o per meglio dire consumatori. Ben vengano, dunque, tutte quelle manifestazioni cittadine (dalla festa patronale al concerto del cantante famoso alla conferenza del critico d’arte televisivo) che portano in città gente capace di spendere. E’ un ceto che lamenta la crisi come il peggiore di tutti i mali, poiché la crisi riduce il potere d’acquisto delle persone e, dunque, il reddito del commerciante.

Il secondo gruppo è quello degli imprenditori, titolari di fabbriche, di grandi officine, di imprese, costruttori, produttori, industriali, coloro che della materia inerte fanno merci utilizzabili, ma anche banchieri che, come per magia, dal denaro estraggono altro denaro. E’ un gruppo piuttosto circoscritto e rimarrebbe poco visibile, se in un piccolo centro non si sapesse a chi appartiene quel palazzotto ben restaurato o chi ha costruito quella magnifica villa o chi manda i figli a studiare in Svizzera – dove, per necessità, solo per necessità, ha aperto un conto in banca – e il fine settimana, quando ne ha voglia, fa shopping a New York, ecc. La scarsa visibilità suaccennata è indizio di una certa discrezione oppure è dovuta al fatto che spesso queste persone sono assenti dalla città, sono qui e altrove, ubiqui e globali come si conviene ad una classe sociale che è di casa qui come anche dall’altra parte del mondo? Familiarizzano facilmente con i commercianti più fortunati, ritrovandosi nei club privati o nelle ville di loro proprietà al mare, in campagna, in montagna, dove hanno modo di progettare annuali manifestazioni di beneficienza molto apprezzate, cui invitano anche alcuni professionisti. Peccato che ricorrano spesso al lavoro nero e sottopagato dei dipendenti e non esitino a delocalizzare la propria impresa quando stimano di non guadagnare a sufficienza.

Il terzo gruppo è quello dei professionisti: avvocati, notai, ingegneri, architetti, medici costituiscono un ceto medio geloso dello status raggiunto, spesso a partire da posizioni piccolo-borghesi. Il loro contributo alla cultura cittadina è racchiuso nell’ars, ovvero nella professionalità, ch’essi mettono a disposizione di tutti i cittadini, con particolare riguardo ai membri del secondo gruppo. Ai professionisti piace conoscere la storia locale, piena di cittadini illustri, a partire dall’eroe fondatore, nei quali si rispecchiano. La storia locale mostra quale glorioso passato abbia condotto la città nello stato attuale in cui essi operano e si sentono protagonisti; e se lo stato attuale delle cose qualche volta non è all’altezza dei tempi andati, tuttavia potrà sempre tornare ad esserlo in futuro; magari con un impegno maggiore della classe dirigente, da cui però si tengono alla larga, delegando ad altri l’esercizio dell’amministrazione pubblica. Comunque, sono sempre pronti, ove richiesti, ad accettare legittime consulenze, dietro pagamento della dovuta parcella, s’intende. Il luogo dei loro incontri è il salotto, dove talvolta si trasformano in promotori di cultura e protettori di artisti.

Il quarto gruppo è quello dei piccoli artigiani: muratori, elettricisti, idraulici, meccanici, caldaisti, carrozzieri, parrucchieri, estetisti, ecc.: gruppo in ascesa economica, mira a incrementare la propria attività e a trasformarsi nel ceto degli imprenditori di successo, che nel frattempo prende a modello. I piccoli artigiani non si interessano di cultura cittadina né di storia locale. Si limitano ad ammirare la chiesa da tutti indicata come la più antica e la più bella, dove vorrebbero sposare i loro figli per dar lustro alla famiglia. Per il resto, lavorano più di sedici ore al giorno per farsi la piscina e il prato inglese nella villetta in campagna. Spesso dimenticano di rilasciare la ricevuta fiscale, ma non per cattiva volontà, bensì perché non comprendono la ragione per cui dovrebbero farlo. A richiesta del cliente, aggiungono all’importo dovuto un buon venti per cento, motivandolo con le tasse che sono costretti a pagare: prendere o lasciare! Ma questo accade talvolta anche ai migliori professionisti!

Il quinto gruppo è quello della piccola borghesia: ragionieri, insegnanti, impiegati, operatori socio-sanitari, stipendiati vari; gruppo costituito da elementi scontenti del proprio status, potenzialmente sovversivi, ma in atto confidanti nell’ascesa sociale dei propri figli e, quindi, pazienti; vivono del poco, ma di molta televisione, nutrendosi di fiction e della speranza che un giorno il figlio “possa farcela”, il che vuol dire possa diventare un professionista affermato o, insomma, qualcuno coi soldi. Il loro contributo alla cultura cittadina è tutto nell’entusiasmo con cui guardano a distanza ai ceti superiori, ammirando il restauro dei vecchi palazzi nobiliari e reprimendo dentro di sé un ineffabile sentimento di rancore. Considerano con scetticismo la storia dei cittadini illustri e dell’eroe fondatore della città, ma pensano che essa potrebbe tornare utile ai propri figli qualora un giorno si dovessero affermare come professionisti.

Il sesto gruppo è quello dei lavoratori manuali, dipendenti d’impresa, commessi, magazzinieri, donne delle pulizie, operai salariati; si inteneriscono quando vengono chiamati “collaboratori” dai propri datori di lavoro, ai quali spesso non osano chiedere di pagare i contributi. Essendo classificati come “dipendenti di…”, costituiscono un ceto frammentato e diviso, polverizzato dalla loro “dipendenza da…”. Ambiscono a diventare autonomi, alcuni ci riescono, ma i più passano la vita nella precarietà, pensando a come uscirne o, alla fine, rassegnandovisi. I maschi di questo gruppo vanno sempre allo stadio per vedere la partita e, ove occorra, non esitano a menare le mani.

Il settimo gruppo è quello dei contadini, classe da tempo estinta, vive trasformata in una variegata moltitudine di soggetti che lavora o fa lavorare i campi: piccolissimi, piccoli, medi e grandi proprietari. Come si comprende, c’è una bella differenza tra chi ha poche are di terra e chi possiede ventimila ettari; anche in questo caso, nel mezzo ci sono proprietà di diversa grandezza, i cui detentori presentano diversi approcci alla vita, che qui non è possibile passare in rassegna. In città i contadini non si notano, a meno che non si badi alle cassette di verdura poste presso la porta delle case di alcuni di loro. Eppure una parte della ricchezza viene proprio dalla campagna. Questo gruppo così variegato non è affatto l’erede, come si potrebbe pensare, dell’antica cultura contadina, bensì ha un comune sentire che mira allo sfruttamento della terra con qualsiasi strumento la moderna industria metta a disposizione. Faccio rientrare in questo gruppo, sebbene in posizione subordinata, i fornitori di manodopera stagionale, molto richiesti d’estate dai grandi proprietari, gli schiavi neri delle campagne pugliesi.

Ultimo gruppo: l’esercito dei disoccupati, che per il momento vive con la pensione dei genitori, è in cerca di prima occupazione e si industria per entrare quanto prima in uno dei gruppi di cui sopra.

Questa voce è stata pubblicata in Quel che posso dire di Gianluca Virgilio, Sociologia e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *