Progettare un testo

di Paolo Maria Mariano

In un articolo che il 13 aprile 2014 ha occupato per intero la prima delle pagine culturali della Neue Zürcher Zeitung, influente quotidiano zurighese, Andrea Köhler ha discusso l’effetto di stagnazione che hanno sulla letteratura statunitense le scuole di scrittura creativa e le forme d’influenza sociale che agiscono sugli orientamenti delle case editrici, soprattutto nella città di New York, provvista di alta concentrazione di editori. Die McStory-Schmieden è il titolo e richiama la confezione di una letteratura precotta, un panino nelle catene di luoghi per un pasto veloce con alto sapore e bassa qualità. Warum stagniert die US-Literatur è il sovra-titolo e si chiede perché la letteratura statunitense stagni, sempre che lo faccia in realtà. La questione non è puramente americana per il diffondersi in Europa sia di scuole di scrittura creativa sia di agenzie letterarie, che si pongono come filtro iniziale tra l’autore e l’editore, sul modello americano. È anche un problema italiano dove è molto diffusa l’aspirazione alla scrittura, forse più per l’immagine sociale offerta che per l’urgenza dettata da una concreta ispirazione e da una riflessione letteraria non superficiale, per la quale serve la lettura che invece non è intensa allo stesso modo, viste le scarse notizie che si hanno su lettori forti e tantomeno su quelli fortissimi.

La letteratura è materia di sottrazione. Il contenuto estetico della pagina scritta è legato alla capacità del testo di raggiungere espressioni universali, alla necessità delle parole usate, al ritmo della frase, alla sua musicalità interna. Per questo si deve spesso sottrarre, eliminare il superfluo: il periodo stucchevole, l’ordinata e pedante sequenza di parole, l’aggettivo che stona, che non genera un’immagine che aggiunge significato, semmai può perfino irritare. Al contrario si può anche aggiungere, nel senso di cumulare, ma farlo in maniera esorbitante, sia nelle cose descritte, come faceva Victor Hugo, sia nello stile, com’è per il fluente ossessivo ripetersi di Thomas Bernhard. Il giudizio su cosa aggiungere e quando fermarsi o su ciò che si deve togliere è questione strettamente correlata alla sensibilità e alla cultura dell’autore. E il giudizio, soprattutto quello finale sul valore estetico complessivo di uno scritto, è anche un atto etico, sia da parte dell’autore sia da quella del critico, che confronta se stesso con l’opera.

D’altra parte, essenzialità non significa sciatteria, semmai cogente necessità delle scelte lessicali per la situazione descritta, per l’immagine che si vuole suggerire, per il significato, per la fluidità del rincorrersi delle parole, per il senso di avvolgimento che lo scritto dovrebbe dare al lettore.

Non si tratta di distinguere tra il realismo e la fantasia. C’è, in ogni caso, una sottile mistura dei due. Che cosa sia lo stesso realismo, poi, è questione che rimane in un certo qual modo misteriosa. La scrittura sta ai fatti come il silenzio alle parole – è la parafrasi di un pensiero di Herta Müller ed è un pensiero appropriato. Ogni narrazione è per sua natura solo una rappresentazione di fatti o di un fatto, non è il fatto stesso. Così come ogni modello matematico di eventi fisici non è il fenomeno, anzi esso stesso è proprio una narrazione, una forma di letteratura. Entrambe, letteratura e scienza, sono motivate in origine dal tentativo di cogliere la struttura intima di ciò che ci circonda, o di parte di esso. Entrambe hanno un essenziale substrato ontologico. Entrambe diventano arte quando le loro manifestazioni raggiungono strati profondi di quel substrato e non si limitano al compito scolastico della confezione pulita. Così è per quei lavori scientifici che sono variazioni piuttosto ovvie su temi noti, o per quelle narrazioni condite dall’inutile ostentazione di presunti pseudo-problemi interiori, o di relazione. Così è, quindi, per ciò che porta a un superfluo allontanarsi da ciò che tende a essere universale.

Si può imparare a fare letteratura? La domanda vale anche per altri campi dell’attività intellettuale. In realtà non è chiara fino a quando non si definisce cosa s’intenda con fare. Se si tratta di costruire un testo corretto, con una certa cura della struttura della narrazione, una buona fattura artigiana per così dire, le scuole di scrittura creativa, una versione per gli scritti delle antiche botteghe dell’arte, possono andare bene (si tratta di una valutazione di media, naturalmente). Il loro compito può essere comunque sopperito da letture attente, seguite dalla riflessione sulla struttura dei testi, e da una personale ricerca del proprio modo di progettare un testo.  I due modi non sono del tutto equivalenti. Con la ricerca personale s’impiega più tempo ma si evita di essere costretti da regole imitative e si è più liberi di cercare la propria strada espressiva. Se si parla di letteratura di valore alto, di arte quindi, allora le scuole di scrittura creativa non servono. Bisogna avere qualcosa dentro, quel germe che non si può definire e che deve essere corroborato dallo studio, con l’accortezza che questo non lo tarpi.

Per progettare un testo che possa aspirare ad avere un significato che permanga nel tempo, a meno di miracoli, come avvenne per le sorelle Brontë, è necessaria competenza, conoscenza della storia e delle opere dei singoli uomini. È necessaria la capacità di distinguere, di andare in profondità. Ognuno può farlo nei limiti delle proprie capacità. L’aspetto essenziale è che il suo fare esprima quella misura che faccia percepire anche al lettore distratto ma non malevolo un senso di dignità composta e di consapevolezza da parte dell’autore.

Questo vale anche se si pensa al progetto di un dipinto, di una composizione musicale, di un edificio, di una città, soprattutto di un programma politico. È bene avere il pudore di evitare valutazioni raffazzonate, di suggerire la ricerca di slogan superficiali, d’inseguire la moda del mercato invece di crearla o almeno provarci, per evitare non tanto di essere ridicoli – saper far ridere è una qualità spesso non banale – quanto di essere mediocremente patetici.

 

 

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