La salvezza delle civiltà è nei libri

di Antonio Errico

In una delle prime pagine del romanzo di Sebastiano Vassalli che si intitola Un infinito numero, il personaggio che narra, di nome Timodemo, schiavo di Virgilio, dice che nella biblioteca del poeta, imparò tutte o quasi tutte le cose più importanti che erano state pensate e scritte prima che lui nascesse. In quel meraviglioso universo composto da rotoli di papiro, si abituò a guardare il mondo con cento occhi, anziché soltanto con i suoi, a sentire nella testa cento pensieri diversi anziché soltanto il suo pensiero. Lì, in quella stanza dove tutt’intorno alle pareti, dal pavimento al soffitto, c’erano dei ripiani di legno come in una bottega di panettiere, con i testi latini e greci al posto delle pagnotte, diventò consapevole di se stesso e degli altri. Gli uomini, senza la lettura, dice, non conoscono che una piccolissima parte delle cose che potrebbero conoscere. Ma se leggono possono avere cento, mille vite; se leggono possono conquistare una sapienza e un dominio sulle cose del mondo che appartengono solamente agli dei.

Poi, quando non ebbe più neppure un libro da leggere, quando conobbe tutto quello che la biblioteca gli consentiva di conoscere, Virgilio gli disse che si sarebbero presentati davanti al magistrato perché fosse iscritto nel registro dei liberti. Ma Timodemo era già un uomo libero: il suo ingegno e la sua cultura lo avevano reso tale.

Cambiano i tempi e cambiano le storie; cambiano le forme, i modi, gli strumenti con i quali si attraversano e si esplorano i territori del sapere; soprattutto cambia il sapere: i suoi contenuti, i suoi significati, le sue rappresentazioni. Però forse gli esiti sono sempre gli stessi. Soprattutto resta identico l’esito essenziale, che è la libertà dagli indottrinamenti, dalla superficialità, dalle apparenze, dai falsi miti, dai condizionamenti più o meno consapevoli, più o meno pericolosi. Conoscere significa libertà di scegliere la strada da intraprendere e i compagni di strada, l’idea da condividere, la parte da cui stare; significa essere in grado di distinguere il bene dal male, il giusto dall’ingiusto, la verità e la menzogna, almeno quando la verità è riconoscibile, identificabile, quando si può presumere. Significa riuscire a decodificare, a interpretare i messaggi subdoli, a smascherare i profeti bugiardi, gli imbonitori, i venditori di fumo, a riconoscere quelli che sono i fuochi fatui, a guardare dentro i fatti, sotto le superfici, a cercare l’essenza delle cose, e poco importa se quell’essenza si riesce a trovarla, perché quello che conta veramente è cercare.

I mezzi per cercare sono tanti. Certo, possono essere più o meno funzionali, più o meno efficaci. Spesso, quasi sempre, per capire se e quanto siano funzionali ed efficaci, ci vuole tempo. Ma qualsiasi conoscenza sostanziale, qualsiasi sapere che si riveli fondamentale per la crescita, per la personalità, per l’esistenza, pretende tempo. A volte troppo tempo. A volte più del tempo che si concede ad una vita.

I mezzi per costruire e costruirsi conoscenze sono tanti. Alcuni sono sicuri, altri lo sono di meno. La sicurezza è determinata dai risultati che nei secoli hanno prodotto in favore di ciascun uomo, dell’intera umanità, delle civiltà.

Il libro è uno dei mezzi più sicuri, forse il più sicuro, fino a questo momento. Forse anche altri lo sono, ma per averne la certezza, bisognerà sottoporli alla prova più difficile e meno equivocabile: quella del tempo, per secoli.

I libri danno la possibilità di cento pensieri, cento storie, una sapienza, dice Timodemo. Quindi danno la possibilità di mettere a confronto, comparare, analizzare, di osservare il mondo da una molteplicità di punti di vista, di comprendere il comprensibile ma anche di interrogarsi – con inquietudine o con serenità – sull’incomprensibile, sulle cose che vengono dette del principio e della fine, sui misteri che forse nessuno riuscirà mai a svelare.

Il libro è – ancora- quello scandaglio che consente di misurare la profondità della storia, dei fenomeni, dei fatti, delle circostanze, delle emozioni, dei sentimenti; è ancora la risposta alla necessità di una conoscenza essenziale. Non esiste un altro oggetto che abbia lo stesso potere; non si può sapere se esisterà un giorno.

I libri consentono di essere accorto e di giudicare.

In un passo della Tempesta di Shakespeare, Calibano rivolgendosi a Stefano e parlando di Prospero dice: “ E’ sua abitudine dormire il pomeriggio. Allora lo puoi uccidere, dopo avergli preso i libri. Puoi sfondargli il cranio con un ceppo, o sventrarlo con un palo, o tagliargli la gola col coltello. Ma prima prendigli i libri. Senza i libri è uno sciocco come me”.

Calibano non dice se i libri di Prospero fossero pochi o molti e probabilmente non ha importanza che i libri di un uomo siano molti. Possono anche essere pochi, ma mai uno solo. Gli uomini che leggono un solo libro fanno paura, perché hanno un solo pensiero, una sola visione, un’unica prospettiva.

Non ha importanza che i libri di un uomo siano pochi o molti; è indispensabile che siano molti i libri di una civiltà, che siano molti e portino idee diverse, perché ogni progresso è l’esito di un confronto fra idee diverse. Forse anche la possibilità di salvezza delle civiltà è consegnata al confronto fra idee diverse.

Negli anni della guerra fredda, la Radio realizzò un programma in cui si proponeva ad una decina di scrittori e critici italiani di rispondere a questa domanda, che purtroppo vale anche ai giorni nostri: nella dannata ipotesi che una guerra atomica faccia scomparire anche gli ultimi resti della nostra civiltà, gli americani hanno creduto opportuno prendere alcune precauzioni. Tra l’altro una commissione sta compilando l’elenco delle opere letterarie che, sepolte in un luogo sicuro in un paese che si presume sopravviverà alla catastrofe, testimonieranno ai posteri lontani i caratteri della vita e della civiltà da Omero ad oggi. Se lei facesse parte di quella commissione, quali libri italiani sceglierebbe?

Riccardo Bacchelli rispose così: Provvediamo, vi scongiuro, a metterne quanti più si possa e il più possibile al sicuro. Così avremo fatto quel che ci compete, e in salvo avremo messo, nulla e tutto, la coscienza.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, mercoledì 12 aprile 2017]

 

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