Il libro nero dei colori

di Paolo Maria Mariano

Domenica, 30 marzo 2014. Il prete che officia la messa in Orsanmichele è sintetico ed efficace, ed è solito fare così. Parla del miracolo dell’uomo nato cieco. A quell’uomo chiedono ancora e ancora come sia successo che abbia riacquistato la vista. Risponde che l’ha già detto. Di quanto è successo sa solo una cosa: non vedeva e ora invece sì. Non risponde come gli altri avrebbero voluto. Lo cacciano.

Il prete ricorda come spesso siamo ciechi, anche se i nostri occhi vedono. S’interrompe e poi, dopo alcune preghiere di rito, prima di preparare alla comunione, ritorna con una frase – a scriverla poteva bastare un rigo appena – che porta altra luce sul significato della grazia di cui ha letto prima. Accanto a lui, nell’altra navata (Orsanmichele ne ha solo due, uguali l’una all’altra, una con l’altare), c’è la Madonna delle Grazie di Bernardo Daddi, luminosa e beata nel tabernacolo dell’Orcagna.

Dopo la messa, uscendo dalla chiesa, ci s’incammina in una giornata di sole. E il sole illumina le strade di Firenze, le pietre colorate del Duomo, il marrone terrigno del Palazzo della Signoria: Orsanmichele è proprio tra i due, Il Duomo e il Palazzo, in via dell’Arte della Lana. È un parallelepipedo alto che un tempo fu chiesa, poi loggia per il mercato delle granaglie (Arnolfo di Cambio l’architetto della loggia nel 1290) e poi ancora chiesa, completata nel 1350. Oggi l’edificio è anche museo, al piano superiore alla chiesa. Sul retro, Orsanmichele è costeggiata da via dei Calzaiuoli, piena di gente a quell’ora del mezzodì. Più lontano la luce fa risaltare il verde delle colline intorno: Firenze è in una specie di conca attraversata dall’Arno.

Camminando verso Piazza della Signoria e poi girando da una parallela di via dei Calzaiuoli, andando per stradine in ombra e tornando indietro, si arriva a un negozio di giocattoli, elegante, con un reparto di libri per bambini. Lì Simone – non il nome maschile italiano ma la versione femminile francese, si legge Simón – m’indica un libro con la copertina nera e le pagine di carta dello stesso colore. Ci sono poche scritte in bianco sulle pagine di sinistra, quelle di destra contengono serigrafie di foglie cadute in autunno, delle onde del mare, di erbe, di fragole, della pioggia, di cavallette: rilievi neri su carta nera. Simone lo guarda e riguarda e poi me lo passa: è stata per lei una sorpresa fin dal titolo. È Il libro nero dei colori (Gallucci e IASA Edizioni, 2010), edizione italiana di un originale in lingua spagnola, premio New Horizons nella Fiera del Libro per l’Infanzia di Bologna nel 2007, Prix Littéraire de la Citoyenneté e Top Ten Children’s Books nella New York Times Book Review nel 2008. Al momento dell’incontro con il libro tutto questo è ignoto sia a Simone sia a me. Lo scopro dopo, cercando chi siano le due autrici: Menena Cottin e Rosana Faria, entrambe venezuelane, la prima formatasi nella scuola di design di Caracas, e perfezionatasi nella Parsons School of Design e nel Pratt Institute di New York, l’altra un’ex alunna della Scuola Cristobal Rójas di disegno e dell’Istituto di Disegno gestito dalla Fondazione Neumann di Caracas.

Le autrici immaginano Tommaso, un bimbo non vedente, e raccontano come potrebbero essere per lui i colori che non può vedere. Per Tommaso il colore giallo sa di mostarda ma è morbido come le piume dei pulcini. Così è scritto in bianco su una pagina mancina, in basso. In alto c’è la stessa frase in Braille, quell’alfabeto per chi non vede o è ipovedente, che s’ingegnò a costruire Louis Braille perché, privato della vista a tre anni per un incidente nella bottega del padre sellaio e per la successiva infezione, voleva poter scrivere oltre che leggere. Di fronte alla pagina scritta nei due alfabeti, ci sono in rilievo piume di pulcini. E così si va avanti a coppie di pagine. E si scopre che il rosso è acido come le fragole e dolce come l’anguria, ma fa male quando esce dal graffio di un ginocchio, e si possono toccare, sulla pagina destra, fragole in rilievo, nere sulla pagina nera, perché non hanno colore per chi non vede, ma trasmettono i colori al tatto.

Sui cataloghi di vendita s’indica in 3-5 anni l’età adatta a leggere il libro. Va bene, ma non è solo questo. È un libro che fa riflettere anche chi non è più bambino, ricordandogli la grazia che ha nel poter vedere non solo con gli occhi ma soprattutto con la mente e il dovere che ha di esercitare questa grazia, un dovere che ha un contenuto etico di posizione nel mondo. Il libro nero dei colori suggerisce questo indirettamente e con levità, con poche parole e poche immagini tattili, nere, che sono poi, in essenza, colme di colori.

 

 

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