Le rivolte tradite

Le dinamiche innescate nel Meridione con le vicende dell’Unità d’Italia e quelle nei Paesi arabi con le rivolte della “primavera araba”

di Giuseppe Spedicato

Negli ultimi decenni, si è assistito in quasi tutto il Nord Africa ad un peggioramento delle condizioni di vita in ampi strati della popolazione. Vi è stata una forte crescita della disoccupazione giovanile (in particolare di quella dei giovani più istruiti) e del lavoro precario. La crisi finanziaria internazionale ha ulteriormente aggravato la situazione: il sistema del welfare è stato duramente colpito ed a causa dell’aumento del prezzo dei beni alimentari è crollato il potere di acquisto di buona parte della popolazione di questi Paesi. Ovviamente il malcontento di tutta la popolazione ed in particolare dei giovani, è fortemente cresciuto e ciò ha portato alle note vicende della “primavera araba”. La situazione di difficoltà in cui si sono trovati questi Paesi viene da lontano, è il risultato di politiche fallimentari, di forti inefficienze pubbliche e di una dilagante corruzione. I giovani si sono ribellati perché a loro era chiaro che senza un mutamento delle strategie di sviluppo non vi poteva essere alcun cambiamento e queste potevano essere possibili solo a condizione di cambiare radicalmente l’assetto politico. Come sappiamo la “primavera araba” sembra ora essersi trasformata in un “inverno arabo”. Anche questa rivolta, come tante altre nella storia, è stata tradita. A rivoltarsi, ad essere uccisi ed imprigionati, sono stati i giovani, la società civile araba, ad approfittarne sono stati gli “islamisti”. I giovani arabi continuano ad emigrare. La popolazione però ora è cosciente della propria forza e nulla sarà come prima.

Le dinamiche che troviamo descritte in Sicilia dopo l’Unità d’Italia, sono per certi versi simili alle attuali dinamiche nei Paesi arabi. Le critiche che gli autori siciliani muovono alla “modernità”, portata dai piemontesi, che avanza nel Meridione, sono simili alle critiche che gli “islamisti” indirizzano alla “modernità” occidentale, che tenta di  attecchire nei paesi arabi. Sintetizzando possiamo dire che entrambi ritengono che con il “modernismo” nulla cambia e se cambia, cambia in peggio. La critica diverge solo nel fatto che la critica meridionalista considera la vecchia tradizione – incarnata dalla corrotta ed incapace nobiltà terriera – superata e meritevole di aspre critiche, ma nonostante ciò migliore del “modernismo” portato dai piemontesi, incarnato dalla nuova borghesia nazionale. La critica “islamista”, invece, considera la propria tradizione la salvezza contro il peggio che avanza. In entrambi i popoli regnano fatalismo, indifferenza, pessimismo, modesto senso civico. In entrambe le realtà è consueto ascoltare considerazioni come: “sarà sempre così”, “purtroppo siamo fatti così pertanto non riusciremo mai a darci un’organizzazione efficiente”. In entrambe le realtà si accusa il “modernismo” di produrre l’anarchia, perché scardina le gerarchie preesistenti – come mettere in discussione il potere del padre in seno alla famiglia e la liberalizzazione dei rapporti tra i sessi – che vengono sostituite con il caos ed il dilagare dell’egoismo, incentivato dalla forte competizione che impone il nuovo sistema economico. Sia i nostri meridionalisti che gli “islamisti” ritengono preferibile un ordine imperfetto, anche molto imperfetto, al caos.

Nonostante questi tratti comuni, tra noi e “loro”, di questi Paesi e culture non sappiamo nulla, tanto che la “primavera araba” ci è giunta inaspettata, eppure il nostro sviluppo non può che essere legato anche, se non soprattutto, alla rinascita del Mediterraneo. Non riusciamo a dialogare neanche con gli arabi che vivono nelle nostre città, se lo avessimo fatto avremmo potuto ascoltare il mondo come lo vede un giovane arabo disperato. Costui vede che noi occidentali li abbiamo colonizzati, derubati, massacrati (basti pensare ai tremendi massacri italiani in Libia), umiliati. Vede che in seguito noi abbiamo avuto un ruolo nel fare andare al potere i loro dittatori. Vede che quando le forze progressiste arabe, negli anni Sessanta e Settanta, hanno tentato di conquistare il potere sono state represse nel sangue e che i regimi arabi hanno sostenuto la crescita dei movimenti “islamisti” al fine di contrastare la crescente cultura progressista e democratica. Vede che tutto ciò è avvenuto grazie anche al nostro appoggio. Vede che pretendiamo che facciano come noi, che seguano il nostro esempio di “modernismo” e si chiede: perché noi ci dobbiamo omologare alla loro cultura? Perché dobbiamo rinunciare alla nostra identità? Perché dobbiamo avallare il nostro genocidio culturale? Con cosa sostituiremo la nostra cultura? Vede che grazie al “modernismo” Marrakech è diventata una capitale del turismo sessuale, dove gli arabi ricchi e gli occidentali vanno per sfruttare la povertà di tante ragazze ma anche di tanti minori. Vede che noi consideriamo criminali e assassini i fondamentalisti islamici ma sono sotto i suoi occhi i massacri in Iraq, in Afghanistan, il dramma palestinese…..  Ricorda i racconti dei suoi nonni su quanto accaduto nel periodo coloniale. Vede che nel suo Paese vi è la possibilità di cambiare, lui ed i suoi amici si ribellano, ma dall’altra parte ci sono i ricchi del suo Paese che preferiscono gli “islamisti” a lui ed ai suoi amici e vede che anche per l’Occidente forse è meglio così. Non può che farsi l’idea che l’inverno dei popoli, arabi e non, ha molti estimatori nel mondo.

Noi meridionali la visione del mondo che ha il giovane arabo disperato non dovremmo avere difficoltà a comprenderla. Noi viviamo da sempre nella periferia di un impero. L’impero nel corso dei secoli ha cambiato nome numerose volte, ora si chiama Unione Europea. Per sopravvivere abbiamo dovuto ripudiare o nascondere la nostra identità. Siamo diventati spagnoli, francesi e tanto altro ancora e ciò per ricevere qualche briciola dai potenti di turno, che mai potevano capire, ammesso che lo avessero voluto, le nostre ragioni. Anche noi abbiamo rifiutato il “modernismo” europeo, abbiamo solo finto di accettarlo, resta da capire se lo abbiamo rifiutato perché estraneo alla nostra vera cultura, se ci siamo ribellati per sopravvivere, oppure perché siamo semplicemente incapaci di accettarlo. La differenza con il giovane arabo, è che noi non sappiamo più quale è la nostra identità, la confondiamo con il folclore, mentre lui ne ha ancora un ricordo anche se manipolato. Questo ricordo gli fa chiedere una riflessione profonda sulle conseguenze della colonizzazione nei paesi arabi. Chiede a noi occidentali di fare i conti con la storia. Noi invece abbiamo rimosso ogni cosa, anche quale era la nostra cultura sino agli anni Sessanta. Se andiamo in campagna non sappiamo distinguere le piante spontanee commestibili dalla semplice erba ed i nostri nonni erano tutti contadini.

Vi è anche un altro inquietante punto di contatto tra le due realtà. Con l’Unità d’Italia l’aristocrazia meridionale, che aveva una cultura fortemente antidemocratica, si impadronisce del metodo democratico con il fine di sabotarlo. Molti aristocratici infatti, divengono parlamentari del nuovo regno. Lo stesso fenomeno avviene nei Paesi arabi con la “primavera araba”. I movimenti “islamisti”, anche questi con una cultura non democratica, si costituiscono in partito politico, partecipano alle elezioni politiche (accettano formalmente il metodo democratico), le vincono e molto probabilmente instaureranno un sistema politico non democratico. In entrambe le realtà si dubita fortemente che la democrazia possa attecchire e dare buoni frutti. In entrambe le realtà dominano classi dominanti ciniche e criminali.

Come è stato già detto, noi non poniamo la dovuta attenzione a quanto accade nel Mediterraneo ed in tutto il mondo arabo, se lo facessimo, forse, potremmo ricavarne degli interessanti suggerimenti per migliorare il nostro sistema economico-finanziario. Faccio riferimento alla cosiddetta “finanza islamica”. Si tratta di un sistema nel quale i precetti di natura religiosa governano quelli della finanza. Accade pertanto, che non si possono finanziare settori considerati illeciti, come produzione di alcol, pornografia etc. ed inoltre ogni transazione finanziaria deve essere legata ad una transazione reale. In questo sistema, di conseguenza, sono impossibili le speculazioni perché non si possono fare soldi dai soldi (nel nostro sistema finanziario non solo è lecito fare soldi dai soldi ma è anche lecito fare soldi dal nulla), ma dalla produzione di beni o servizi. A scoraggiare le speculazioni contribuisce anche il divieto dei prestiti ad interesse. I capitali versati in banca vengono investiti in attività reali (che devono anche essere ritenute lecite) e banca ed investitore condividono rischi e profitti. Se l’investimento andrà a buon fine entrambi godranno dei risultati in caso contrario, entrambi ne pagheranno le conseguenze. Ovviamente la banca islamica pone molta attenzione nel collocare gli investimenti. Con ciò non si vuole affatto affermare che il sistema della “finanza islamica” manchi di problemi, né si vuole sostenere che possa essere importato così com’è applicato nei Paesi arabi, si vuole invece sostenere che una componente etica sarebbe molto utile al nostro sistema.

18 novembre 2013

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