Di mestiere faccio il linguista 25. Il cellulare a scuola

di Rosario Coluccia

Non molti lo sanno, ma esiste un «Piano Nazionale per l’educazione digitale». Si tratta di un documento di indirizzo emanato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale (il burocratese non è mio). La ministra Fedeli ne ha parlato in questo fine luglio arroventato. «Il 15 settembre partirà un gruppo di lavoro con le migliori e i migliori esperti del Paese per rivedere le indicazioni nazionali e intervenire su cosa le nostre studentesse e i nostri studenti studiano a scuola». A questo verrà affiancato un gruppo che servirà a chiarire l’utilizzo di smartphone e tablet degli studenti in classe, intervenendo sulle attuali circolari, che risalgono a un periodo troppo lontano da oggi, «e promuovendo un uso consapevole e in linea con le esigenze didattiche. Questo gruppo avrà 45 giorni per pubblicare delle linee guida chiare ed efficaci per le scuole».

La ministra usa la lingua in modo politicamente corretto, è attenta a non fare discriminazioni di genere: «le migliori e i migliori esperti del Paese», «le nostre studentesse e i nostri studenti». Il gruppo degli esperti è stato scelto con cura, ne conosco alcuni, sono eccellenti. In un convegno dell’Accademia dei Lincei che si è tenuto a Roma lo scorso 14 luglio sono state esposte alcune linee di discussione. Conoscendo la qualità degli esperti coinvolti, sono sicuro che le indicazioni sui contenuti e sui programmi saranno meditate e attentamente ponderate, la scuola italiana avrà elementi su cui riflettere e operare. Aspettiamo con fiducia, dunque.

In attesa delle indicazioni che verranno, colpisce l’accenno all’uso di computer e tablet in classe da parte degli studenti, al fine di promuoverne «un uso consapevole e in linea con le esigenze didattiche». La novità rispetto alle condizioni attuali è netta. Finora dettava le regole una circolare del 15 marzo 2007 diffusa dall’allora ministro Giuseppe Fioroni (anche lui attento, lo dico a margine, a indicare paritariamente studentesse e studenti): «è del tutto evidente che il divieto di utilizzo del cellulare durante le ore di lezione risponde ad una generale norma di correttezza che, peraltro, trova una sua codificazione formale nei doveri indicati nello Statuto delle studentesse e degli studenti». In sostanza. Nessuna opposizione alle nuove tecnologie in linea di principio, ma suggerimenti per uno svolgimento efficace e corretto dell’attività in classe. L’uso del cellulare e di altri dispositivi elettronici può rappresentare un elemento di distrazione sia per chi lo usa che per i compagni e una mancanza di rispetto per il docente (una vera e propria infrazione disciplinare). La violazione delle regole comporta sanzioni adeguate alle circostanze, fino al ritiro temporaneo del telefono cellulare durante le ore di lezione, in caso di uso scorretto dello stesso.

Queste disposizioni del ministero si riflettono nei regolamenti degli istituti scolastici. Ecco un paio di esempi. Istituto comprensivo statale – Diso: «È vietato l’uso del telefono cellulare durante lo svolgimento delle lezioni» (rivolto ai docenti). «È proibito qualsiasi uso del telefono cellulare. Se gli alunni portano con sé telefoni cellulari, devono spegnerli prima di entrare a scuola e possono riaccenderli soltanto all’uscita. Agli alunni che, nonostante il divieto, faranno uso del cellulare in classe verrà ritirato il telefono, che sarà restituito ai genitori dal dirigente scolastico o da un suo delegato» (rivolto agli studenti). Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci” – Maglie: «I docenti si impegnano a […] non usare mai in classe il cellulare. Gli studenti si impegnano a […] non usare mai in classe il cellulare o altri dispositivi elettronici non previsti dall’attività didattica».

A dispetto delle formule, la cronaca riferisce episodi singolari. Nel gennaio di quest’anno uno studente di 18 anni ha denunziato la propria scuola di Treviso. Usava il cellulare durante le lezioni, i professori hanno sequestrato l’oggetto, intendevano restituirlo direttamente ai genitori, il ragazzo ha reagito con l’avvocato. Sequestro illegittimo e abuso di potere, queste le ipotesi di reato formulate dall’accusa. In favore della scuola si è schierata l’assessora all’istruzione della Regione Veneto: «A scuola non deve prevalere il codice civile o il codice penale. Queste sono le regole del vivere.  In una comunità educativa, e questo la scuola dovrebbe tornare ad essere, ci devono essere regole interne».

L’Italia è la patria del diritto, si sa. Più sottile è la vicenda giuridica riguardante l’alunno di una scuola media di Forlì sorpreso dall’insegnante mentre, durante una lezione, guardava foto hard sul cellulare. Come punizione, il docente si fa consegnare il telefono, chiedendo che a ritirarlo venga uno dei genitori. Effettivamente a scuola si presenta la madre dell’alunno, ma lo fa in compagnia di un avvocato, accusando il professore di furto. Nella disputa, la madre difende il figlio sostenendo che le foto incriminate non erano poi così hard, dato che la signora così scrupolosamente ispezionata dal ragazzo sul cellulare «aveva anche il perizoma».

Occupiamoci di cose serie. Il modello scolastico finlandese è considerato il più moderno ed evoluto del mondo. In questi mesi, dalla Finlandia arriva l’invito a introdurre e utilizzare durante le lezioni il cellulare, strumento ritenuto indispensabile per una nuova metodologia didattica che tende a eliminare le materie tradizionali per procedere senza schemi e senza compartimenti stagni. Un esempio. In una scuola media finlandese si passa da una lezione su Pompei e sull’eruzione del Vesuvio che la distrusse al confronto con la civiltà dell’antica Roma per arrivare alla Finlandia attuale, paragonando le terme romane con le moderne spa o il Colosseo con gli attuali impianti destinati allo sport. I monumenti antichi vengono modellizzati grazie a una stampante in 3D. Le ricerche vengono favorite dalla rete.

Non è tutt’oro quel che luccica, non è detto che l’uso massiccio di pc e internet a scuola garantisca miglioramenti nella resa degli alunni. Al contrario, l’uso delle tecnologie può determinare una caduta nella capacità di scrivere a mano, con grafie quasi incomprensibili o strane mescolanza di stili e caratteri nelle stesse parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Gravi anche i problemi di apprendimento. La ridotta capacità di tracciare i caratteri influenza l’organizzazione del messaggio scritto. L’abuso dei mezzi digitali può comportare l’attenuazione, e talvolta la perdita, della capacità di coordinare il pensiero con l’attività necessaria per tracciare i segni. Inoltre l’intervento del correttore automatico riduce la consapevolezza ortografica e il ricorso ossessivo alla funzione copia e incolla limita la capacità di sviluppare una linea argomentativa coerente. Il rischio non si restringe agli alunni più piccoli. L’OCSE (test PISA rivolti a quindicenni di tutto il mondo) ha di recente constatato che «non ci sono prove solide che un maggiore uso del computer tra gli studenti porti a punteggi migliori in matematica e lettura». Anzi. I quindicenni che mostrano la migliore riuscita in lettura e in matematica sono quelli che a scuola utilizzano le tecnologie informatiche meno della media dei loro compagni. Per questo in alcune scuole svizzere e statunitensi l’uso delle tecnologie è inibito fino ad una certa età o fortemente limitato.

Mi cimento con un compito improbo, riassumere in poche righe il risultato di ricerche e di libri importanti, che sostengono tesi diverse e spesso contrapposte. Il dibattito è aperto, dovremo discuterne ancora. Ma una voce va ascoltata con attenzione: quella dei professori che quotidianamente traducono nelle classi i modelli educativi proposti e sperimentano sulla loro pelle la contraffazione dei rapporti genitori-scuola da cui nascono gli episodi grotteschi che abbiamo visto prima, con genitori che non accettano che i loro pargoli vengano separati, neppure per qualche ora, dalle loro protesi digitali.

Mi permetto un consiglio (non richiesto) alla ministra: si procuri l’opinione dei professori. È facile, basta distribuire ai professori un questionario molto ben fatto, acquisirne le risposte garantendo il rispetto rigoroso dell’anonimato (l’anonimato assicura libertà di giudizio). Gli esperti del gruppo di lavoro avrebbero ottimi materiali su cui riflettere.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 13 agosto 2017]

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Linguistica, Scolastica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *