La prevalenza del ciarlatano

di Paolo Maria Mariano

Sia nel Grande Magazzino sia nelle Edizioni del Taglione, Benjamin Malaussène, personaggio creato da Daniel Pennac, fa di mestiere il “capro espiatorio”. È un uomo buono che finisce sempre per sembrare responsabile di qualche misfatto … e riceve uno stipendio proprio per fare questo. I clienti insoddisfatti possono sfogarsi con Malaussène e vederlo rimproverato dalla direzione. La responsabilità non è né della direzione, che falsamente mostra di comprendere il disappunto del cliente, né di quest’ultimo, che si è lasciato ingannare: la colpa è di Malaussène e tutti sono contenti, nessuno si sente in una condizione di minorità. Il successo straordinario, ottenuto da Pennac con Malaussène, è da attribuirsi proprio all’abilità dello scrittore francese di cogliere un aspetto essenziale degli umani: il desiderio di trovare un capro espiatorio per giustificare le proprie mancanze. Se mi è caduta qualcosa di mano, la colpa è vostra che mi stavate intorno e mi avete distratto … non è mia che mi sono distratto … o più semplicemente è una cosa che capita ed è inutile farla lunga.

È questo uno dei motivi che spingono molte persone nei “cenacoli” di chi, pingue narcisista, fallito nei suoi iniziali propositi di vita, si autoproclama “veggente”, si atteggia a nuovo “profeta”, uso alla distorsione di simboli e concetti religiosi a vantaggio dei fini propri e di quelli dei sodali, fosse solo la vanagloria … ma non è solo quella … e, con le sue carni molli, e drappi da paccottiglia a creare atmosfera, resta lì, falsamente mite e amichevole, falsamente modesto e rispettoso, apparentemente comprensivo e consolante, lasciando parlare, limitandosi ad allusioni sussurrate, per poi utilizzare per il vaticinio quello che gli è stato appena detto (direttamente o indirettamente, per sola postura dell’interlocutore), oppure gli è stato riferito da terzi, e afferma quello che si accorge gli altri vogliono sentirsi dire. I numeri sono impietosi. Un rapporto EURISPES del 2011, sviluppato su sollecitazione dell’Associazione Telefono Antiplagio, indica in dodici milioni il numero d’italiani che si rivolgono ogni anno a “veggenti” e affini: 51% donne, 38% uomini, 11% adolescenti. Al 2011, l’incasso totale era stimato a quell’anno in circa 6 miliardi di euro annui, con un’evasione fiscale del 98%. Nel 2013 si registra un incremento degli introiti pari al 13%. E si era in anni di grande recessione economica.

È un po’ quel neopaganesimo, camuffato con simboli cristiani, che Marino Niola, in un articolo su Repubblica del 25 agosto 2017, rivede nel tarantismo; il problema, però, non è tanto la natura delle cose, quanto l’uso che di esse si fa.

Nell’aprile del 2016, nell’omelia di una messa in Santa Marta, Papa Francesco ha definito questi (diciamo) “operatori” quali «delinquenti e contrabbandieri di verità» (si veda La Stampa del 19 aprile 2016; nello stesso articolo si trova un nuovo dato sul giro d’affari pertinente: 4,6 miliardi di euro annui). Lo stesso tema appare nel libro intervista del Papa, Il nome di Dio è misericordia, Piemme, 2016. Sul tema il Papa è tornato nell’angelus del 13 agosto 2017.

C’è da chiedersi come mai tante persone si offrano a “veggenti”, e perfino ne diventino sodali. L’indicazione del 13% di laureati tra i frequentatori, che appare nel rapporto EURISPES, non deve lasciare molto stupiti perché la percentuale di “analfabeti di ritorno”, non di rado con ruoli non banali di responsabilità sociale, non è trascurabile. Tullio De Mauro indicava percentuali molto alte, inquietanti invero, di chi, nel campione statistico d’italiani osservato da lui e dai suoi collaboratori dell’Università di Roma “La Sapienza”, al momento della rilevazione aveva difficoltà a comprendere un testo italiano di media/alta complessità. Non si tratta però solo di una questione d’ignoranza, che comunque ha un ruolo non trascurabile. Si tratta soprattutto di psicologia.

La prevalenza del pensiero magico – ad esempio la tendenza ad attribuire l’origine dei propri problemi all’intervento di azioni “magiche” esterne, operate da persone che hanno sentimenti malevoli – caratterizza stati di patologia mentale come il disturbo schizotipico; ma anche volendo lasciare da parte le patologie psichiatriche, dalla psicologia non ci si allontana. Jean Piaget rilevava come il pensiero magico sia associato allo stadio pre-logico, quello pre-operatorio che caratterizza il comportamento dei bambini, stadio che non ci abbandona ma che di norma non è predominante nell’età adulta, semmai accompagna e vivifica la razionalità. Al contrario, se avanzate obiezioni al “cenacolo”, vedrete che chi vi è immerso vi dirà «non voglio fare con te discorsi razionali», dichiarando così, e senza scampo, la sua schiavitù psicologica, per lo meno momentanea. Nel suo Psicopatologia della vita quotidiana, Sigmund Freud indica nell’aderenza alla superstizione il modo di giustificare un desiderio inconscio difficilmente confessabile anche a se stessi.

In alcuni articoli apparsi negli anni ottanta del Novecento (si veda per esempio quello pubblicato nel Journal of Personality and Social Psychology, vol. 44, 1983, pp. 1029-1037), J. J. Tobacyk ha collegato l’adesione a “veggenti” e affini all’alienazione sociale, rilevando una distinzione tra chi si comporta in tal modo e il credente religioso sostanziale, quello che vive lontano da quelle pratiche: per Tobacyk il primo è in essenza un egoista giacché socialmente alienato, l’altro no. Il frequentatore di “veggenti” ha fede debole, sostiene il Papa nell’angelus del 13 agosto 2017, e questo anche se il “personaggio” cui ci si rivolge “ossequiosi” adotta simboli cristiani (e per il suo essere, e per il fine per cui li usa, li insozza … d’altra parte ha buon gioco perché gli interlocutori possono essere o incapaci di vedere o decidono colpevolmente di non farlo, perfino per inconscio e inutile senso di colpa). Vari psichiatri e psicologi indicano in questa tendenza la pratica dell’auto-inganno (Taylor, 1991; Schumaker, 1987; ecc.). Più precisamente, l’individuo cerca istintivamente di sostituire coincidenze con relazioni causa-effetto per reggere lo stress che circostanze minacciose per la propria salute, il lavoro, gli affetti o altro gli inducono. L’individuo cerca Malaussène per attribuirgli l’origine dei propri problemi. Deve accusare qualcuno per non sentirsi in una situazione di minorità; in questo modo s’illude di governare gli eventi; così sostiene H. Matute (si veda l’articolo in Learning and Motivation, vol. 25, 1994, pp. 216-232): meglio illudersi di poter esercitare controllo con pratiche “misteriose” che sentirsi impotenti.

Il desiderio di controllo sugli altri è dell’ansioso ma anche del narcisista: la mancanza di raggiungimento dell’obiettivo che si pone si traduce in frustrazione, e questa in aggressività, ma anche quando l’obiettivo sia raggiunto, l’attenzione si sposta su un altro, analogo, per proporre di nuovo lo schema usato. È anche il desiderio del manipolatore, di chi percepisce la propria esistenza in vita dal solo fatto che gli altri ne seguono le indicazioni (chi partecipa al “cenacolo” cerca di trascinarvi altri). È il desiderio per il quale si abdica all’etica e si umilia la ragione, per andare nella notte in cui tutte le vacche sono nere.

Il ricorso a “veggenti” e affini è indice di disagio interiore. È proprio del “disperato impuro”, per come lo descrive Juan Carlos Onetti in La vita breve, Einaudi, 2010: «Il disperato impuro e debole […] proclamerà la propria disperazione sistematicamente e pazientemente; si trascinerà, ansioso e falsamente umile, finché troverà qualunque cosa disposta a sorreggerlo e che gli serva per convincersi che la mutilazione che egli rappresenta, la sua pusillanimità, il suo rifiuto ad essere compiutamente l’anima immortale che gli è stata imposta non sono d’ostacolo a una vera esistenza umana. Finirà per trovare sempre la sua opportunità e sarà sempre in grado di creare il piccolo mondo di cui ha bisogno […]. Non c’è nessuna salvezza per il disperato debole» (p. 236). A questo, Onetti contrappone il “disperato forte”, quello che «può ridere, può andare per il mondo senza implicare gli altri nella sua disperazione perché sa che non deve attendersi aiuto né dagli uomini né dalla propria vita quotidiana; senza saperlo attende il momento in cui potrà guardarla negli occhi, ucciderla o morire» (p. 237).

Quando tutta la pantomima del “veggente” è usata per successiva manipolazione di altri e per irritante calunnia, l’atto in sé esprime personale fallimento etico ed esistenziale di chi lo compie.

In merito pare drasticamente conclusivo il passaggio dell’angelus del 13 agosto 2017, quello in cui il Papa afferma che quando ci si aggrappa a questi individui «si comincia ad andare a fondo». E la discesa sembra, purtroppo, non avere fine … con Malaussène che sta lì a guardar cadere.

 

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