Alice nel Paese delle Lettere 6.Turbolenze a Letterlandia

di Tazio Purzleber

La sopravvivenza delle lettere di piombo era minacciata più che da qualunque sciopero a oltranza dei tipografi, con la cui associazione era stato stipulato, secoli prima, il Patto di Piombo, firmato nella sede dell’associazione che si trova in cima al Monte Testa Piatta, da cui c’è una magnifica vista sulla Terra degli Editori.

Che cosa dovevano fare a Letterlandia? I vassoi erano la premessa di un atto di guerra? Le antiche famiglie l’intesero così. Le nuove no. Erano preoccupate ma anche più aperte e fiduciose. Si cominciò a litigare sul che fare, cioè, su come reagire al pericolo, se tale era: linea dura o morbida? Rifiuto delle lettere prigioniere o compromesso? Sabotaggio dei vassoi o collaborazione? Siccome non si trovava un punto d’incontro e non c’era neppure una chiara maggioranza a favore di una qualunque linea d’azione, prevalse almeno per il momento l’idea di uno splendido isolamento. La “serenità” da ristabilire, ovvero la convivenza pacifica tra le famiglie, e dunque la vita tranquilla e operosa delle vere lettere, il ritorno all’ordine: tutto questo poteva essere garantito unicamente, e molto semplicemente, chiudendo i valichi delle montagne che separavano Letterlandia dalla Terra dei Vassoi Luminosi, ove prosperavano gli intrusi, i barbari, le false lettere.

Naturalmente, questo significava chiudere anche il passo verso la Terra degli Editori, ove ormai viveva un popolo sempre più selvaggio, e tuttavia l’unico ancora in grado di garantire lavoro. Con l’isolamento, nessuno avrebbe più sfruttato le bellezze della valle e le sofisticate conoscenze che le famiglie custodivano. Le segrete regole della composizione perfetta sarebbero rimaste lì per sempre. “Gli editori se ne accorgeranno!”, ovviamente a loro spese, o meglio: a spese della qualità dei loro libri e quindi a spese dei lettori. E se i lettori non fossero accorti della differenza? Dunque, un argomento di dubbia efficacia alla luce dei fatti e perfino la candida Alice, quando venne a sapere di questa reazione, scosse la testa. Ne venne fuori la solita piccola H e Alice le disse: “Ti rendi conto che se le frontiere saranno chiuse anche tu diventerai inutile e sarai costretta a stare sempre ferma? Proprio come io su questo sasso?”.

Una Z le rispose: “La pura bellezza delle lettere dev’essere preservata! Intanto le frontiere restano chiuse, poi vedremo.” Ma chiuse per quanto? “Bisognava guadagnare tempo per capire come combattere la minaccia nel modo più efficace”. La chiusura era stata messa in atto con determinazione e intransigenza. Il tempo guadagnato non bastava mai. Ce ne voleva ancora e poi ancora.

Prima che Alice arrivasse, uno slogan come “L’isolamento è deperimento!” si era fatto strada in ogni famiglia delle lettere, seguito da un altro:  “Il futuro è maturo!” Come prevedibile, la reazione fu immediata, e dura. Chi era disposto a collaborare con i barbari che usavano i vassoi fu confinato nella grotta di famiglia per molti mesi, con conseguenti problemi di salute, a causa dell’umidità delle grotte. Quelli che si pentivano, davvero o per finta, potevano lasciare il confino. Peccato che fossero subito riconoscibili: come entravano in contatto con l’inchiostro lasciavano un’impronta non più nitida.  Derisi dalla famiglia, preferirono vivere come senzatetto, mendicando i più umili impieghi, come un depliant aziendale della Compagnia dei Poli.  A dire il vero, i loro problemi erano anche d’ordine fisico, perché con il carattere indebolito non riuscivano più a mantenere la posizione verticale rispetto ai righi; e così quelli di loro che erano lettere in tondo s’inclinavano, avvicinandosi sempre più al corsivo e le lettere già corsive tendevano ad appiattirsi costringendo gli improbabili lettori a ruotare le pagine di 90° in senso antiorario, costringendoli a leggere le righe in verticale, dal basso verso l’alto, producendo, come effetto collaterale, la sensazione che anche il menu di un ristorante fosse un’opera di ardua comprensione. Se non bastasse, quelli che avevano aderito a slogan così rivoluzionari erano bollati, non metaforicamente, come “collaborazionisti”; e così marchiati per sempre, entrarono in uno stato di depressione. Nessuno si preoccupò di aiutarli perché non c’era tempo, anche se di lavoro ce n’era poco. “Se lo sono meritati”, disse impettita la Z ad Alice.

Inizialmente, a rallegrarsene fu quella sparuta minoranza di famiglie formata da ideogrammi: lo intesero come un primo ravvedimento, doveroso da parte di chi le aveva snobbate. Poi, vedendo tutte quelle lettere sdraiate che venivano additate, rifiutate, derise, senza che fossero autorizzate a possedere un senso autonomo, gli ideogrammi furono presi da compassione. Alla fine, alcuni ideogrammi si proposero di aiutarle, di nascosto dalla propria famiglia. Infatti, avendo respinto fino a quel momento ogni contatto con le famiglie delle lettere, questi ideogrammi non potevano pretendere di essere ascoltati dai carattere alfabetici in un momento del genere e i loro simili li presero per traditori. Così, gli ideogrammi più compassionevoli si accartocciavano, uno dopo l’altro, assumendo la forma di una spirale e quelli meno compassionevoli, vedendoli accartocciarsi, e non potendo sopportare la vicinanza di figure geometriche, si fecero eremiti, ognuno con il senso che possedeva. Il risultato fu che nessun libro a ideogrammi poteva essere realizzato, con una conseguente, ulteriore, fetta di mercato persa. A tutto beneficio dei Vassoi Luminosi.  Quando questo fu raccontato ad Alice, le dispiacque per le lettere “depresse”, che lei intendeva come “tristi”, e poi perdere la fetta di qualcosa, che lei non capiva cosa fosse, è sempre spiacevole.

Per coerenza con l’isolamento, precedenti commesse di lavoro, che erano state sospese, furono annullate dagli Editori, anche se, non potendo comunicare l’annullamento, Letterlandia lavorava per nulla e nello stesso tempo perdeva la faccia ogni giorno di più.

Ben presto si generò un clima oppressivo, di rancore di chiunque verso chiunque. C’era una sola cosa su cui tutti andavano ancora d’accordo: se la tradizionale tipografia era l’unica fonte di sostentamento di Letterlandia, il punto-cerchio restava il simbolo dell’unità delle famiglie e, standogli vicini, prima o poi il punto-cerchio avrebbe fatto sentire la sua voce ispiratrice.

“Anche zia Molly ci tiene tanto alla tradizione nel preparare i biscotti così come le ha insegnato la nonna. È giusto, le tradizioni sono importanti, ma è giusto provare anche a fare i biscotti in un altro modo, no? Per esempio, a me la cannella non piace e la zia la mette dappertutto perché è tradizione. La zia vorrebbe che ci fossero regole per ogni cosa. Le sue regole, naturalmente. Ma se la zia ci tiene tanto, vuol dire che ha paura che quelle regole siano violate. Quando mi provo a dire ‘E se facessimo così …’, lei esclama ‘Impossibile!’ …  come se avesse paura del cambiamento, e non importa quale. Strano, come si fa ad aver paura di qualcosa se è impossibile? Se invece è possibile violare le regole, zia Molly dovrebbe ammettere che, se per tutto ci sono delle regole da seguire, allora ci sono delle regole anche per ogni possibile violazione delle regole. Una sera che nonno Russell era da noi a cena, ha spiegato, con tono scherzoso, che questo non può funzionare. Mi dispiace, non so ripetere il suo ragionamento. Ero ancora piccola. Però ricordo che mi divertii ad ascoltarlo. Zia Molly non la prese bene, perché in realtà il nonno non scherzava. Infatti, è tradizione della nostra famiglia che ogni nonno parli seriamente quando scherza e viceversa. Non me sembra che gli zii rispettino la tradizione. Chiederò a mamma e papà quando tornano dal mare. … E quando nonno Russell scherzava, il bello era che era più convincente. Questo, devo confessare, mi mette un po’ in imbarazzo, non so perché … Credo di essere un po’ stanca. Volevo dire … Che cosa volevo dire? Ah, che, quando in un posto le regole non si possono cambiare, vien voglia di andare in un altro”.

Purtroppo, quest’ultimo pensiero non fu di alcun conforto ad Alice.

“Io, qui, non volevo venirci. Invece è qui che mi ritrovo anche se non ho violato una sola regola della zia. E le sue regole sono tante, oh, ce n’è una per ogni singola cosa, non una per tutte le cose, e regole così rigide che non so da dove venga il carattere dolce della zia”. Alice stava cominciando a capire che la rigidità non produce dolcezza. “Che zia Molly sia un miracolo, come dice lo zio? Un altro? Ma per lo zio uno era già troppo, no?” Le tornò il mal di testa.

Una volta ancora aveva cercato di parlarsi per chiarire i suoi stessi pensieri e per mettere ordine nell’apparenza disordinata del mondo, fiduciosa che fosse solo apparenza, a dispetto delle idee dello zio. E, a dire il vero, spesso ci riusciva: faceva un modellino mentale della situazione e il solo farlo l’aiutava. Questa volta, no. Il risultato, questa volta, fu diverso e quanto mai controproducente. Alice era sconsolata e, tra l’altro, dispiaciuta di come aveva fatto passare la zia ai propri stessi occhi. Ma torniamo alle vicende di Letterlandia.

 

***

 

In quel clima soffocante, prodotto dalla chiusura al mondo esterno, la vita delle famiglie non era più serena come un tempo. Non solo venne meno il tranquillo ordine interno alle famiglie e tra una famiglia e l’altra, ma ci fu perfino chi, pur di non essere messo al confino, decise di fuggire da Letterlandia. Varcare le alte e ruvide montagne? Superare asperità indicibili senza nessuna indicazione? Era chiaro: non tornarono più. La loro sorte era segnata in anticipo. I resti di chi non era riuscito nell’impresa furono recuperati molto dopo. Ma alcuni, pochi, ce l’avevano fatta. Giunti nella Terra dei Vassoi Luminosi si trovarono anch’essi a mendicare, con ancor meno successo. Furono informati che non c’era un solo editore disposto a stampare libri, riviste e giornali utilizzando un po’ di lettere di piombo e un po’ di lettere da vassoio. Ormai quest’ultime erano le uniche lettere e così non riuscirono neppure a farsi riconoscere. Potevano rivolgersi però ai fabbricanti di soldatini. Allora provarono a tornare indietro. I loro resti non furono mai ritrovati, perciò questa ricostruzione è, in buona misura, ipotetica e le testimonianze su sui è basata sono frutto di giornalisti che più che ai fatti guardano ai sentimenti.

Ignorando le sventurate fughe (presunte), i custodi della tradizione dichiararono che, con lo splendido isolamento e il confino imposto ai dissidenti, l’ordine era stato ristabilito a Letterlandia. Presto, tutto sarebbe tornato a essere come prima. In effetti, con orari ridotti, si tornò al lavoro, presumendo di anticipare quali sarebbero stati i futuri ordini, onorati a tempo record, perché il lavoro da fare era già stato fatto. Per un po’ la trovata aveva funzionato. L’idea guida era stata: i classici non hanno età e ogni generazione ne vuole una nuova edizione.

Ma se poi i classici non fossero stati più apprezzati, o se come “classici” fossero stati considerati altri testi? Qualche dubbio al riguardo cominciò a insinuarsi e il malcontento riprese. Il prezzo pagato all’orgoglio delle vere lettere e all’antica tradizione della stampa si stava rivelando più alto del previsto. La calma momentanea non resse più. L’economia che da secoli aveva permesso a Letterlandia di fiorire crollò. Era evidente che il lavoro effettivamente compiuto in anticipo, in vista di pubblicazioni future, era stato, più che una scommessa, un’illusione: si era seminato senza la minima certezza che ci sarebbe stata una raccolta. Una raccolta immaginaria contro lettere immaginarie? Stiamo scherzando?

Di giornali, riviste, libri, stampati come un tempo, ce ne sarebbero stati sempre meno. Anche l’economia sommersa, cioè il lavoro nero fatto di contrabbando per editori senza scrupoli, finì. La crisi, una crisi senza precedenti, era sotto gli occhi di tutti.

Ovviamente, una fetta, legale, di mercato – quella cosa che ad Alice dispiace che vada persa – era sempre meglio che nulla. E così, per le più  basse ragioni, non per sincera speranza di un’integrazione con i vassoi, ogni giorno c’erano manifestazioni di protesta, lunghe strisce illeggibili di lettere. Gli scioperi non si contavano più, così come le assemblee spontanee intorno ai sassi più insignificanti, con la conseguenza che gli ultimi libri in corso d’opera vennero fuori pieni di errori, soprattutto perché pieni di vuoti. Non si poteva più ignorare che in ogni famiglia c’erano state defezioni. Chi contestava la chiusura delle frontiere cominciò ad ammirare il coraggio e la nobiltà d’intenti dei reclusi, dei mendicanti e degli emigrati, ahimè spariti nel nulla, giungendo perfino a chiamarli “Eroi della Miscela”. Chi non voleva saperne, se prima li chiamava “collaborazionisti” ora li indicò come “I Traditori”. Quest’epiteto fu esteso anche a chiunque ne ricordava la memoria, o quanto meno voleva dar a intendere che gli premeva mostrare di conservarne la memoria, perché era chiaro, ai sostenitori dell’isolamento, che non gliene importava nulla.

Alice pianse. Quelle lettere che avevano sofferto, quelle che si erano perse sulle montagne, quelle che per lavorare dovevano sciogliersi in un soldatino. Sapere che le lettere scappate via erano state prese per traditori la fece indignare. Asciugandosi le lacrime, si disse: “Tutto questo deve finire”.

Un dettaglio: il significato del termine “epiteto” era stato spiegato ad Alice dallo zio, il quale le aveva spiegato anche un’altra cosetta: che la realtà è per molti quello che vogliono credere che sia, e la cosa per un po’ funziona pure, se non fosse che a un certo punto c’è sempre un bambino che si accorge del trucco. “A parte il fatto che questo non torna con altre idee dello zio, è come nella favola di Andersen! Sì, i vestiti nuovi dell’imperatore sono invisibili … perché non ci sono”. Lo stesso si poteva dire delle ordinazioni invisibili di nuovi libri: si voleva credere che ci fossero ma non c’erano.

Lo scandalo scoppiò e l’economia andò giù a picco, tutti quelli che si facevano vanto di ricordare gli ignoti “Eroi della Miscela” si ribellarono. Lo splendido isolamento doveva finire, con le buone o con le cattive.

(continua)

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