Che cosa non va nelle tesi di Ferdinando Boero a proposito dello sciopero dei professori universitari

di Stefano Cristante, Guglielmo Forges Davanzati e Angelo Salento

Nella prima parte del suo articolo pubblicato su questo giornale il 7 settembre [Lo smantellamento del sistema universitario italiano], Nando Boero fornisce una descrizione accurata delle condizioni drammatiche nelle quali versa l’Università italiana, soffermandosi, in particolare, sul sottofinanziamento e sull’ipertrofia normativa. Nella seconda parte del medesimo articolo, Boero si sofferma sulle ragioni dello sciopero dei professori universitari, sollevando non poche perplessità relative al fatto che questo sciopero non riguarda la messa in discussione delle devastanti politiche formative messe in atto negli ultimi anni, ma solo la rivendicazione dello sbocco degli scatti stipendiali da parte dei docenti. Boero ritiene che gli scatti non debbano essere legati all’anzianità di servizio, ma al ‘merito’. E “l’impressione che stiamo in sciopero per meri motivi stipendiali” lo porta a concludere che trattasi della conferma dello “scarso valore morale dei professori universitari”.

Qui occorrono alcune precisazioni, soprattutto per evitare di far passare all’opinione pubblica l’idea che l’attività dei docenti non è valutata: il che porterebbe, pressoché inevitabilmente, a far credere che si tratta di una categoria di nullafacenti. Tesi alla quale lo stesso Boero, peraltro, si oppone. Entriamo nel merito della questione, a partire dal fatto che ai docenti universitari è chiesto di fare didattica, ricerca e la cosiddetta terza missione (ovvero i rapporti con il territorio).

1) A seguito della riforma Gelmini, con l’istituzione dell’Agenzia Nazionale per la Valutazione della Ricerca (ANVUR), il Ministero – non i professori – ha deciso che oggetto di valutazione è la sola attività di ricerca. La valutazione avviene sulla base della sede delle pubblicazioni, non del loro contenuto, e la sede delle pubblicazioni è stabilita dall’ANVUR con un elenco di riviste, per singoli settori disciplinari, ‘calate dall’alto’, selezionate, cioè, senza alcuna interlocuzione con le associazioni scientifiche. Sul sito www.roars.it è possibile trovare un’ampia documentazione che attesta come questa modalità di valutazione si basa su gravissimi errori di metodo, è unica al mondo, oltre a essere, con ogni evidenza, profondamente illiberale. A ciò si può aggiungere che il costo di funzionamento di questa Agenzia, che ovviamente grava sulla fiscalità generale, non è mai stato reso noto. È inoltre prassi diffusa, in altri Paesi, valutare il contenuto di un articolo, non il suo contenitore (cosa alquanto ovvia, se non fosse che in Italia si è scelta una strada diversa), limitandosi ad accertare il carattere di scientificità della rivista che veicola il contenuto attraverso criteri essenziali: essere dotate di un comitato scientifico e pubblicare tramite procedure di revisione fra pari (peer review).

Non sappiamo se il collega Boero intenda sostenere le ragioni dell’ANVUR quando si appella alla necessità di differenziare gli stipendi sulla base di criteri di merito, almeno per quanto attiene alla ricerca. E non sappiamo se, in caso diverso, abbia in mente criteri di valutazione diversi.

2) Boero lamenta che i docenti universitari non sono valutati sulla base del giudizio formulato dagli studenti, o, meglio, che le schede di valutazione che gli studenti oggi compilano non contengono la domanda – a suo avviso fondamentale – “il prof. viene regolarmente a lezione o si fa sostituire?”. È palese, ed è certamente opinione di chi scrive, che gli studenti vadano coinvolti nei processi decisionali in Università. È altrettanto palese che se un docente si fa sistematicamente sostituire a lezione, occorre appellarsi ai regolamenti vigenti e mettere in atto le dovute sanzioni. Tuttavia, se il prof. Boero immagina che, a seguito di risposta negativa, il docente così valutato debba avere una decurtazione in busta paga, noi crediamo che sia fuori pista. Per due ragioni. Come lo stesso Boero fa a più riprese rilevare, ritenendo ciò (giustamente) un’aberrazione, i parametri di valutazione dell’attività dei docenti sono esclusivamente quantitativi, la mera presenza in aula non dice nulla sulla qualità della lezione. In più, se a qualche lettore di questo articolo è capitato di compilare schede di valutazione (p.e. per i servizi offerti dalle Ferrovie dello Stato), può interrogarsi se le risposte date siano state sufficientemente ponderate da fornire all’Istituzione un credibile criterio di valutazione del servizio. La nostra esperienza, in Università, ci suggerisce che ciò accade molto raramente e che la valutazione degli studenti risente anche di variabili che non attengono all’effettivo merito del prof. e/o al carico di lavoro che effettivamente ha sostenuto.

3) Sulla cosiddetta terza missione, si attende dall’ANVUR qualche spunto. Per quanto si sa, su fonte ufficiale (www.anvur.org) l’Agenzia ritiene di poterla quantificare in alcuni settori (p.e. attraverso il numero di brevetti in ambito ingegneristico) con notevoli difficoltà in altri ambiti disciplinari. E’ dunque, al momento, un buco nero: si sa che siamo tenuti a farla, non si sa esattamente in quali forme.

Il punto più critico della tesi di Boero è la sua contestazione del fatto che lo sciopero sia finalizzato al recupero degli scatti, un “mero motivo stipendiale” a suo dire. Ricordiamo che gli scatti di anzianità sono stati bloccati per tutte le categorie del pubblico impiego a partire dal 2011 e restituite (non implicando risorse aggiuntive) a tutti nel 2015: non ai docenti universitari. Ricordiamo al collega Boero e a chi ci legge che chi lavora in Università è un lavoratore come gli altri e che, probabilmente, è proprio il non percepirsi come lavoratori – ma come intoccabili depositari della Conoscenza – che ha contribuito a farsi trattare in questo modo e a comunicare all’opinione pubblica la sensazione di un ceto privilegiato di nullafacenti, con stipendi elevatissimi. Ricordiamo ancora che lo stipendio di un ricercatore universitario con venti anni di anzianità si aggira intorno ai 2000 euro netti mensili.

E infine: se anche si riconosce (e non abbiamo difficoltà a farlo) che lo sciopero per il recupero degli scatti è una forma minimale di conflitto a fronte delle devastanti politiche degli ultimi anni, e che essendo pensato per minimizzare i danni agli studenti – che perderanno un solo appello nella sessione autunnale – è di fatto uno sciopero a metà, quali altre forme di protesta il collega Boero immagina ed eventualmente propone?

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, sabato 9 settembre 2017]

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