‘Itali-e-ni’, di Paolo Vincenti

di Paolo Rausa

Itali-e-ni (Besa, Nardò 2017) è il nuovo libro di Paolo Vincenti. Raccoglie in queste pagine sofferte e leggere, come sa essere lui, un anno di riflessioni su tutto, sulla vita politica, sui vizi degli itali-e-ni, senza la a, sul disordine sociale e mentale della nostra esistenza. Per quanto nella premessa egli ci tenga a voler mettere in avvertimento il lettore che si tratta di argomenti trattati in maniera ironica e istrionica tuttavia si capisce, inoltrandosi nella lettura, che non tralascia nulla di quanto si svolge sotto i nostri sensi, dalla televisione alla carta stampata, dai comuni cittadini ai politici, per denigrarli e metterli alla berlina. Fa bene a richiamare antecedenti illustri nella satura lanx latina di Quintiliano – Satura tota nostra est!, egli diceva rivendicando con orgoglio un genere che finalmente non dipendeva dall’universo e dalla cultura greci. Un genere che nasce con Lucilio, campano del II sec. a.C., cresciuto in quel contesto in cui maturano i fescennini e il teatro popolare osco e poi latino, con i tipi che riconosciamo in Plauto fino a De Filippo. E poi Orazio, gli scontenti, il viaggio Roma Brindisi, il seccatore ‘Ibam forte via Sacra, sicut meus est mos…’. Memorabili satire, sempre con il sorriso in bocca, come diceva Jean de Santeul ‘Ridendo castigat mores’.

Memore di queste lezioni della storia e della letteratura, Paolo Vincenti si inoltra a descrivere con disgusto e con ironia le più popolari manifestazioni, gli spettacoli televisivi, penetra nella pseudo informazione della carta stampata, nelle difficoltà del Paese-Italia di uscire dalla mediocrità e avviarsi lungo la via del progresso, non come allontanamento dall’umanità – ammonisce il Galileo  di Bertold Brecth – ma inteso in senso pasoliniano, come effettivo avanzamento sociale e morale.

Il quadro che ne esce dalle pennellate graffianti e inesorabili di Paolo Vincenti è veramente  desolante come è ben descritto nella ‘Terra desolata’ di T.S. Eliot, ‘The wast land’, una terra che all’arsura delle condizioni climatiche aggiunge quella dei sentimenti e ancor più preoccupante quelle delle prospettive di pace e di sviluppo sociale compatibile. Lo preoccupano le condizioni del pianeta che ogni anno vede accorciare il tempo trascorso per ricostituire le riserve di energia che l’umanità impazzita consuma nel suo ‘folle volo’, quello di Ulisse e di Icaro, ebbri di curiosità ma privi del senso del limite.

Questo saggio fa seguito all’altro di argomento simile, l’Osceno del villaggio’. Una preoccupazione per i comportamenti irresponsabili da parte della classe dirigente di questo paese che non sa dirigere la nave Italia che si trova quindi ‘senza nocchiero in gran tempesta’, come scrive Dante nel Canto VI del Purgatorio.

Il compito dello scrittore non è indicare una via ma di mettere alla berlina atteggiamenti riprensibili, non da una posizione ex cathedra, non dall’alto di una sua presunta superiorità morale ma come uomo libero pensante, preoccupato della deriva che rischia il nostro Paese.

Codesto solo oggi possiamo dirti/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo…’ Paolo Vincenti non risponde, come Montale in ‘Ossi di seppia’, a chi gli chiede la parola risolutrice. Ognuno è chiamato a dare il suo contributo perché si diradi la nebbia che impedisce di vedere il porto del benessere e della felicità ‘Tutti abbiamo diritto alla felicità’ – sostiene l’autore, e con ciò è consapevole del fatto che sono molti ad impedire il nostro viaggio verso la serenità. E qui elenca con la sua tipica precisione, circostanziando vocaboli ed espressioni che riguardano tipi umani che egli aborre e che passa in rassegna, i ciarlatani, i cialtroni, gli ipocriti, le oscenità di piccola convenienza, i cortigiani/clienti, i vanagloriosi, i saputoni, i politici di paese, gli invidiosi, i fighetti… tutto l’armamentario di vizi e stravizi della condizione attuale dei nostri concittadini che si guardano e ammirano il loro ombelico, l’omphalòs. Una Commedia umana, così ben descritta da Honoré de Balzac. Qui confluisce tutto l’astio e l’inclemenza per una condizione grave in cui si trova l’Italia.

Del resto nessun argomento  sociale sfugge all’attenzione del nostro autore che si sofferma sulle unioni civili, sulle tasse, sulle feste che si rincorrono l’una dopo l’altra, sul referendum ambientale e quello costituzionale dello scorso 4 dicembre discernendo sui vari quesiti, sul ruolo della magistratura sugli -ismi della politica, il berlusconismo e il renzismo, sulle prediche dei grillini e sulla loro incapacità di rappresentare un’alternativa credibile e affidabile… sempre con approfondimenti personali, che vanno oltre le apparenze per cercare di sondare ragioni e difetti, interessi reconditi, malaffare e corruzione. Un turbinio di sensazioni che lasciano poco sperare in una redenzione pasquale. Una mondo che possiamo guardare attraverso i suoi occhi, il suo pensiero dissacrante, gli sberleffi alla Dario Fo, l’irrisione verso il potere tronfio ed inefficace, tutto descritto con dovizia di particolari. Una nuova e condensata ‘Enclyclopédie’  di Direrot e D’Alembert, non alle soglie dell’Illuminismo ma della decadenza irreversibile se non si svegliano le coscienze. Ecco infine il ruolo dello scrittore e del pensatore: far riflettere!  Basta una canzone e prende il via il racconto di Paolo Vincenti, vario di argomenti come la satura lanx. ‘Sono solo canzonette, non mettetemi alle strette’ cantava Edoardo Bennato. Quelle canzonette dipanano la storia che si svolge sotto i nostri occhi come i tappeti delle ‘Mille e una notte’, gli Stromata alla greca, i tappeti che i vù cumpra snodavano per narrare come i banditori, come i cantastorie vicende immaginarie eppure vere come dice Esiodo delle Muse, ripreso da Ovidio nelle ‘Metamorfosi’. ‘Nessuno conserva la sua immagine’ si legge su strisce di carta che sventolano su cippi confitti sulla spiaggia di Tomi, il mondo estremo, dove morì esule duemila anni fa, il 17 d.C. Nessuno si può tirare indietro. ‘Anche se voi vi credete assolti siete per sempre coinvolti’ canta Fabrizio De André nella canzone del maggio francese, quando ‘sbocciavano i fiori del nostro amore’.

La libertà dunque e l’esercizio della democrazia  ci salveranno? Solo un caso salverà la repubblica dice Sass R. Sustein, docente alla Harvard University. Noi che crediamo nelle idee e nel confronto del pensiero, sollecitati dalle riflessioni a volte amare a volte irridenti di Paolo Vincenti, dobbiamo garantire ovunque la libertà di espressione, ma anche favorire ‘una cultura in cui le persone siano propense ad ascoltare quello che gli altri hanno da dire’, e fare in modo che siano creati ‘spazi in cui cittadini con esperienze, prospettive e visioni diverse, siano in grado di incontrarsi e consultarsi a vicenda’.

[in www.Italiaexpress.it  luglio 2017]

 

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