Italieni 6

di Paolo Vincenti

Satura 4

Cose da Italiani 1 Il giornalista del Fatto Quotidiano (ribattezzato “Falso quotidiano” dall’ex premier Renzi) Marco Lillo, autore del libro “Di padre in figlio. Le carte inedite del caso Consip e il familismo renziano” (Paper First 2017), sperava che non arrivasse mai questo giorno. Ovverosia il giorno in cui la magistratura avrebbe fatto luce su una serie di incongruenze nell’inchiesta talmente palesi da far sorgere il sospetto di una enorme montatura e di un discreto complotto ordito ai danni di Matteo Renzi. Lillo sapeva infatti che in questo caso il suo libro avrebbe smesso di vendere. E così accade. I fatti che vengono fuori man mano che procede l’inchiesta giudiziaria e si rivelano inquietanti depistaggi da parte del Generale dei Carabinieri Del Sette e del Capitano Ultimo, smentiscono in buona parte il castello accusatorio eretto da certa stampa che spesso e volentieri si sostituisce alla magistratura e traccia percorsi investigativi, ipotizza reati, commina condanne. Ciò nonostante, siccome i tempi della giustizia in Italia sono biblici, i giornalisti d’assalto e i libri di inchiesta, come “Orgoglio e vitalizio” di Primo Di Nicola, Antonio Pitoni e Giorgio Velardi (Paper First 2017), avranno modo di vendere a iosa.

 

Cose da Italiani 2 L’ex premier Enrico Letta annuncia alla stampa il suo ritiro dalla politica. Non ci mancherà. Ora potrà stare ancora più sereno, lontano dagli squali e dai delfini, e dedicarsi alla sua seconda carriera, cioè quella di docente e scrittore. Il guaio è che il suo addio alle scene è velleitario, durerà l’espace di un matìn. Certi giovani vecchi come Letta assomigliano alla peperonata e ai cibi pesanti: si ripropongono.

Cose da Italiani 3 Quando a settembre ripartono i palinsesti televisivi e riprendono le trasmissioni di maggior ascolto interrotte con la pausa estiva, mi viene sempre di ritornare sul grande potere di seduzione che ha quel Moloch della tv. Come nei soporiferi umori dopo un sovrabbondante pranzo domenicale, i nostri sensi sono annebbiati, la nostra capacità di discernimento ridotta, così nell’iper informazione massiccia da cui oggi siamo bombardati, ci sentiamo sazi, sovraccarichi, quasi nauseati dal flusso continuo di notizie 24 ore su 24, e perdiamo ogni giudizio critico, accettiamo supinamente tutto quello che ci viene ammannito dai media. Apprendiamo dei fatti che accadono in Italia e nel mondo ma non sappiamo cercarne la causa, non abbiamo capacità eziologica, nessuna voglia di approfondimento. In questa all news continua non distinguiamo più nulla. Nei talk show politici che riprendono su tutti i canali televisivi riprende anche il bazar del consenso, sfila la più brutta e volgare rappresentazione del nostro essere italioti, quella politica, fra potere e volontà di rappresentazione, che ha prodotto guasti enormi al Paese, e ognuno dice la propria ed è una gara a chi la spara più grossa. Non c’è scampo alla televisione fasulla e taroccata. Dovremo davvero ingollare ancora il beverone e sostenere il pensiero unico allineato che ci ammanniscono i talk show politici?

Cose da Italiani 4  La vendemmia quest’anno viene anticipata a causa del grande caldo dell’estate e della mancanza di pioggia. Sarà scarsa quantitativamente ma il grado zuccherino e quindi la gradazione alcolica molto alti. La conseguenza è che si anticipano i lavori di raccolta e i voucher scarseggiano, non sono sufficienti per tutti i lavoratori extracomunitari. E qual è il problema? I neri lavorano a nero!

Cose da Italiani 5  Massimo Giletti passa a La 7. La Rai non ha rinnovato il suo contratto e chiuso dunque una lunga collaborazione fatta di trasmissioni di successo come “L’arena”(puah!). Ora il conducator con lauto stipendio sbarcherà sugli schermi di Cairo e da lì continuerà  la sua battaglia contro malversazioni e privilegi, soprusi e piccola grande corruzione. Non conosciamo ancora quando andrà in onda per poter disattivare quel giorno la visione di La7.

SETTEMBRE 2017

 

La nemesi del cacciatore

Una morte più letteraria non poteva fare, Scott Van Zyl, cacciatore professionista del Kenia che organizzava spettacolari e costose battute di caccia in alcuni stati dell’Africa del sud a vantaggio di ricchi e annoiati occidentali in para con armi e safari. A soli 44 anni, l’abile professionista è stato ucciso da un coccodrillo nella provincia di Limpopo e, oltre ai suoi sconsolati clienti, lascia moglie e figli. La sua stessa vita sembra un romanzo di Ernest Hemingway, e fare l’accostamento ai racconti hemingwaiani è quanto di più naturale sia venuto in mente alla stampa nel dare la notizia della sua morte. Van Zyl organizzava le batture di caccia ad elefanti, zebre, leopardi, ma anche a specie molto rare come lo gnu, l’alcefalo, il cudù, il damalisco, fra le scontate proteste delle associazioni animaliste, che lo accusavano di essere uno sporco assassino, poco più che un bracconiere, un mercenario, e le altrettanto stucchevoli difese d’ufficio delle associazioni venatorie che la menano sul fatto che i cacciatori siano i migliori amici dell’ambiente, rispettosi delle regole e dei limiti di legge. Fatto sta che Van Zyl cacciava anche i coccodrilli, in particolare il coccodrillo del Nilo, che è la più grande specie di rettile dell’Africa, lungo ben 6 metri e pesante 700 chili, e questo coccodrillo lo ha divorato. È  la legge della giungla, subito ci viene in mente Tarzan, con il suo insegnamento universale. Nella natura, il più forte mangia il più debole, ma si può andare ancora più indietro nel tempo, rispetto a Burroughs e al suo “uomo scimmia”, risalire alle origini della nostra civiltà. “Nemesi” era nella mitologia greca  la dea della giustizia riparatrice, figlia di Fortuna (con la quale i latini la identificavano) e di Giove, interveniva a vendicare un torto o punire un’intemperanza.  Questo aspetto fornì alla fertile fantasia dei greci spunto per elaborare una efficace teoria che è molto simile alla legge del taglione della Bibbia (“occhio per occhio, dente per dente”).  “Nemesi” infatti significa castigo, punizione, vendetta. Chi compiva un atto di insubordinazione, di estrema arroganza, si macchiava di tracotanza, superbia, e questo veniva punito dagli dei, gelosi (il significato di νέμεσις in greco è proprio “gelosia” oltre che “vendetta”) del fatto che un umano volesse ergersi a dio. E l’esecuzione della vendetta era demandata a questa divinità: Nemesi, appunto, come giustizia, che distribuisce equamente premi e castighi. Il concetto di nemesi ha dato spunto a migliaia di storie raccontate in letteratura oppure ancora nel cinema e in televisione. La nemesi è anche il titolo di una serie di puntate di fumetti dell’Uomo Ragno oltre che la definizione che viene data dalla Marvel ai principali nemici dei suoi super eroi, i vari villain che rappresentano il loro doppio opposto.  E come non riconoscere nella triste avventura del grande cacciatore Van Zyl una nemesi e finanche un monito, un insegnamento universale? I Greci parlavano di ubris e tisis: a fronte della superbia umana vi era sempre una punizione divina, delitto e castigo, per dirla con Dostoevskij. E Van Zyl ha trovato la morte proprio sbranato dal coccodrillo nilotico che lo ha avvolto fra le sue spire aggiungendo il cacciatore alla sua lunga collezione di trofei, ossia persone ingollate, prima di essere abbattuto dalle forze dell’ordine (doppia vendetta, quindi).  “Breve la vita felice di Francis Macomber”: questo titolo del racconto di Hemingway potrebbe applicarsi al cacciatore bianco passato da carnefice a vittima.

SETTEMBRE 2017

 

E la chiamano estate

È stata l’estate degli stupri e degli incendi.  Che cosa agita la mente degli stupratori e che cosa quella dei piromani è materia per esperti del settore. Gli psichiatri indagano la mente dei disadattati, dei disagiati, neurolabili, ossessi, le forze dell’ordine intervengono prontamente sui luoghi dei delitti ma l’azione investigativa non riesce ad essere più stringente per prevenire gli scempi. L’italia brucia, soprattutto al sud, in Sardegna e in Sicilia. Ettari ed ettari di boschi distrutti, il verde che si ritira, i terreni che diventano nere voragini. Quasi tutti gli incendi sono dolosi, opera di piromani seriali, professionisti, e il patrimonio paesaggistico di cui è depositaria la nostra terra viene ridotto, umiliato, barbaramente violentato. I canadair volano sugli incendi, dalla Basilicata all’Umbria, dalla Calabria alla Puglia, troppo vasta l’emergenza, almeno quanto la follia incendiaria di affiliati e sodali delle ecomafie. I droni ci passano sulle teste, le Procure indagano e intanto gli incendi si propagano. Brucia l’Italia, fra urla e disperate invocazioni di aiuto. Brucia l’Italia, fra le risate sardoniche di chi specula sull’abbattimento delle foreste, gli impresari della malavita, i palazzinari mafiosi, ma anche gli stupidi mentecatti, quelli che incendiano senza nessun disegno prestabilito, solo per assecondare la loro nevrosi. Affonda l’Italia nella vergogna, dilaniata dalle grinfie dei piromani e degli stupratori.

È stata l’estate del Fenicottero rosa, tanto di moda.

È stata anche l’estate della malaria, con il caso della povera bambina di Trento morta in ospedale a causa del terribile morbo trasmesso dalla zanzara anofele. È stata una estate caldissima dal punto di vista metereologico, ma calda anche dal punto di vista sociale e politico, con una incontrollata ondata di sbarchi di immigrati sulle nostre coste. Il nostro Paese è letteralmente invaso dagli extracomunitari in fuga dai loro paesi d’origine e i numeri sono quelli di un esodo biblico, un fenomeno epocale, di fronte al quale  il governo italiano e tutti i governi europei arrancano. Le fughe di massa dai pesi della fame e della guerra hanno determinato un incremento criminale, una escalation di disordini e tensioni perché a volte gli immigrati vanno ad ingrossare le file della malavita locale che già prospera. E qui sta il punto. Non tutti gli immigrati scappano dalla guerra e dalla fame, si sa, e non tutti sono regolari, ma anzi la maggioranza di quelli che arrivano sono clandestini. I numeri delle statistiche hanno un certo limite di approssimazione ma comunque, pur nelle lievi differenze fra i vari istituti di ricerca, raccontano di uno sconvolgimento che non si era mai visto in Italia nell’ultimo secolo, un incremento demografico con il quale bisogna fare i conti. Il caso della bambina Sofia morta di malaria, diventando mediatico, ha dato adito ad una serie di polemiche politiche sull’origine di questa malattia. In effetti, questa estate abbiamo assistito ad una incredibile recrudescenza di malattie che credevamo debellate da anni, come la lebbra e la tubercolosi (soprattutto in Lombardia), la scabbia e infine la malaria. Anche se nel caso di Sofia il contagio è stato autoctono, alcuni medici hanno avanzato l’ipotesi che queste malattie siano collegate ai flussi migratori, nel senso che gli stranieri che giungono in Italia potrebbero essere già infettati oppure potrebbero essere a rischio gli aeroporti, zone di transito internazionale, dove molto difficile è eseguire disinfestazioni e bonifiche. Ciò è bastato a scatenare un clima da caccia all’untore. La paura fa presto ad impossessarsi della gente e a renderla cieca di fronte a certe situazioni. Anche se il Ministero della Salute non si è ancora pronunciato, sulla zanzara anofele, alcune forze politiche, come la Lega Nord, subito hanno ventilato connessioni fra le malattie e l’immigrazione; il leader Salvini si è detto convinto che a portare la scabbia o la tubercolosi siano i neri ed è stato tacciato di razzismo e xenofobia. Certo, l’ignoranza che alligna nel profondo, specie delle classi sociali più basse, porta ad un clima di sospetto, complottismo, diffidenza, che fanno presto a diventare paura xenofoba, se non panico, e i genitori che portano i figli a scuola vogliono essere tranquilli che i bambini non corrano alcun rischio. In questo senso, l’obbligo della vaccinazione (altro tema caldo di quest’estate) non ha fatto che alimentare i loro sospetti. I più sprovveduti si chiedono: se la Ministra Lorenzin vuole sottoporre i bambini ad una sfilza di vaccini che in nessun altro paese europeo se ne vedono, un motivo occulto ci sarà; non sarà forse riconducibile alla presenza degli stranieri, anche se non ce lo dicono per non creare panico? Questo e tanto altro porta l’emigrazione da cui siamo investiti.

È stata l’estate di Gabbani, con “Tra le granite e le granate”, di “Volare” di Fabio Rovazzi feat. Gianni Morandi e di “Despacito” di Luis Fonsi feat. Daddy Yankee.

Ma è stata anche l’estate delle spiagge affollate e delle feste di piazza, dei festival della letteratura e delle sfilate di moda.

È stata l’estate del terremoto di Ischia. È stata l’estate delle stragi di Barcellona in Spagna e di Turku in Finlandia. Il sogno dei fondamentalisti islamici, la follia di imporre nel mondo il dominio del terrore, diventa concreta e tragica realtà e ci arriva nelle case attraverso le immagini dei telegiornali mentre siamo a tavola a mangiare, oppure in ufficio o al mare a rilassarci. E non c’è scampo, perché i nuovi combattenti sono ragazzi europei, lupi solitari come vengono definiti, che si sono radicalizzati. Cresciuti grazie al web nel culto della guerra santa, la jiiad, perseguendo una missione per la quale sono disposti a sacrificare la stessa vita. “No tiengo miedo”, gridano i giovani nella piazza di Barcellona, “io non ho paura”, proprio ad esorcizzare quella paura che invece ci ghermisce, ci invade. La paura di tutti noi di finire vittime del fanatismo islamico che ci costringe a cambiare stile di vita, abitudini. E i luoghi di adunate sociali, discoteche, feste all’aperto, concerti, diventano obbiettivi sensibili, location di potenziali attentati.  Il folle disegno dei jiiadisti di islamizzare l’occidente si alimenta della crisi di lavoro e nella mancanza di valori, nel vuoto di idee in cui è precipitata l’Europa e nella strumentalizzazione politica, nell’incapacità dei governi di fronteggiare una emergenza sociale senza pari, e infine in una sorta di mutamento antropologico che sta interessando l’umanità. Perché le giovani generazioni, senza referenti importanti, nessuna cultura di base, senza valori fondazionali del loro essere al mondo, senza appartenenze, nella “società liquida” per dirla con Zygmunt Bauman, mutano obbiettivi e intenzioni come cambiano le scarpe e le magliette.

SETTEMBRE 2017

 

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