I resti di Babele 6. Castelli di sabbia

di Antonio Errico

Forse Castel del Monte fu innalzato così: come quel  castello di sabbia sulla spiaggia impastato da un bambino. Con la stessa maestria, con la stessa sapienza, con la stessa distanza da tutto il mondo che formicola intorno. Fu costruito con la stessa passione per le forme, con la stessa tensione per l’esattezza della geometria, con la stessa sfida nei confronti del tempo,  con il senso dell’armonia dello spazio, con l’ansia di una perfezione. Forse anche con l’intenzione di riverberare un mistero.

Negli occhi del bambino che costruisce il suo castello c’è uno stupore infinito. C’è un senso della magia che si confonde con il senso della realtà, la fantasia che conforma la materia, il viaggio con il pensiero che attraversa in un istante sconfinati territori immaginari.

Costruendo il castello fa esperienza del creare con la materia originaria: il fango, la sabbia. I suoi movimenti sono misurati, precisi. Tutto il tempo a venire è a sua disposizione. Non si meraviglia di una parte di quella costruzione che smotta, che occorre rifare, con più cura, con più attenzione. Sta elaborando un universo conchiuso  nella miniatura di un castello con torri, merli e mura, e fossati, archi e passaggi segreti, solo con una paletta e un secchiello. E’ attento ai dettagli; percepisce che sono questi a fare la differenza tra un castello e un altro castello, tra una vita e un’altra vita: i dettagli, il particolare inimitabile,  che non ha precedenti. Sono i particolari che danno un corso anziché un altro alla storia di un uomo e alla storia del mondo. Sono i particolari  che fanno la forma e la sostanza di un castello, di un destino,  di un amore. Il particolare è ogni cosa che non ha rassomiglianza con un’altra. Così il bambino vuole costruire un castello che non rassomigli a nessun altro castello del mondo.

Un  tramonto gonfio di vento dilaga sulla spiaggia. Nessuno guarda il bambino e il bambino non guarda nessuno. E’ solo con il suo castello dentro quel tramonto. Le onde scivolano fino alle mura della sua fiaba. Non la invadono, ma la insidiano. Allora lui fortifica le mura aggiungendo sabbia alla sabbia, la compatta, l’assesta con le mani. Non aumenta l’altezza ma lo spessore. Probabilmente pensa che quel castello possa resistere agli attacchi barbari del tempo anche quando il tramonto si sfibrerà e la spiaggia sarà aggredita dal buio, e il vento spingerà più forte le onde, che forse non si fermeranno, e aggrediranno le mura, e distruggeranno il castello. Però quella sabbia non ritornerà più  la sabbia che è stata. Perché è stata castello. Perché ha avuto una storia diversa. Come un uomo, una donna che hanno vissuto una storia diversa e non possono più ritornare quelli che erano prima.

Il castello esisterà per sempre nella mente dell’uomo di cinque anni che ora lo costruisce.

L’uomo di cinque anni  non conosce “Castles Made Of Sand”, quella canzone di Jimi Hendrix che dice: i castelli di sabbia cadono nel mare, si sciolgono nel mare, scivolano nel mare, alla fine. Per lui quel castello  può riuscire anche ad arginare il mare. E’ un simbolo di potenza, una scommessa con la natura, un’epifania dell’intelligenza. Lui è l’architetto del sogno. Innalza il castello soltanto per se stesso, per portarselo dentro, nella memoria, quando i giorni diventeranno più insidiosi della marea che sta cominciando a crescere.

[Gli articoli pubblicati in questa rubrica sono una selezione di quella che dal 2010 Antonio Errico tiene, con lo stesso titolo, su “Nuovo Quotidiano di Puglia”.]

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