Senza coscienza gli uomini saranno dei robot

di Antonio Errico

All’inizio del penultimo capitolo del suo recente saggio intitolato Conoscenza ignoranza mistero, Edgar Morin pone due citazioni. La prima è di Ito Toshiharu (che con umiltà confesso di non conoscere e di cui non sono riuscito nemmeno a trovare notizia) che dice così: “Nella loro forma ultima, i robot non saranno né gli schiavi né gli avversari dell’umanità, ma l’umanità stessa, trasfigurata. Gli esseri umani non saranno soppiantati dai robot: diventeranno dei robot”. La seconda è di Paul Valéry, datata 1932. Dice: “Mai l’umanità ha riunito tanta potenza e tanto smarrimento, tanta preoccupazione e tanto gioco, tanta conoscenza e tanta incertezza. L’inquietudine e la futilità si spartiscono i nostri giorni”.

L’affermazione di Valéry in un certo senso può anche funzionare come una consolazione. Ribadisce che, in fondo, l’esistere e il mondo, l’esistere nel mondo, si risolvono in una coesistenza di contrasti, di contrari, di ambivalenze, di diversità, certezze, incertezze, inquietudini, smarrimenti, noto ed ignoto, trasparenze e opacità. Abbiamo conoscenza di qualcosa ma quello che non conosciamo sopravanza; possiamo confidare in alcune certezze che però sono costantemente insidiate da incertezze d’ogni sorta; i nostri contesti di serenità confinano con quelli dell’inquietudine.

E’ sempre stato così, sarà così per sempre, inevitabilmente, per la semplice ragione che l’umano si compone di contraddizioni, si sviluppa attraverso le incoerenze e le contrapposizioni, considera ogni conoscenza come passaggio verso una conoscenza ulteriore; è questa sua inquietudine, quest’ansia di conoscenza connaturata, inguaribile, la condizione che costituisce la radice profonda del progresso. Anche la futilità che diceva Valéry è espressione esclusiva dell’umano. Gli animali non sono mai futili; non possono esserlo. Soltanto gli uomini possono e sanno essere stupendamente futili, forse perché qualche volta la futilità può anche servire a salvarsi la vita. In qualche caso si è futili davanti al mistero, per non farsi sopraffare dalla sua enormità. In qualche caso si è futili finanche davanti al destino, per non consegnarsi alla disperazione della sua ingovernabilità.

Di quello che diceva Paul Valéry, dunque, si aveva in qualche modo consapevolezza.

Invece non si è completamente consapevoli del concetto espresso da Ito Toshiharu. Si pensa che sia fantascienza. Un evento impossibile. Non potrà essere mai che gli umani si trasformino in robot. Tuttavia, nella convinzione dell’impossibilità, ci ritroviamo ad avere paura. Abbiamo paura del nostro pensiero capace di concepire, di ipotizzare, pur confinandola nella sfera dell’assurdo, la post-umanità di cui parla Morin, e cioè una condizione di superamento dell’umanità attuale.

Ma gli uomini non vogliono superare la loro umanità. Gli uomini vogliono continuare ad essere imperfetti, a fare danni e poi a ripararli, e poi a farne altri e a riparare gli altri. Vogliono elaborare bellezze e poi deturparle per elaborarne altre ancora. Gli uomini vogliono ricordare e dimenticare, amare e anche odiare come soltanto gli uomini possono amare e odiare. Vogliono avere simpatie, antipatie, malinconie, allegrie, compassioni, emozioni. Passioni. Vogliono piangere e ridere, vogliono essere futili, mediocri, banali, non vogliono essere intelligenti come i robot. Vogliono avere scienza e insipienza, saggezza e incoscienza. Sarà questo a salvarli dalla post-umanità, dalla trasformazione in robot.

Però forse è opportuno che si consideri il rischio determinato da quella che Morin definisce regressione etica, psicologica, affettiva che procede parallelamente alla progressione scientifica, tecnica, economica. Dice che la (o le) metamorfosi biologica- tecnica- informatica necessita soprattutto di essere accompagnata, regolata, controllata, guidata da una metamorfosi etica-culturale- sociale.

Allora occorre bilanciare, contemperare, armonizzare i saperi e i processi attraverso i quali evolvono i saperi.

Non ricordo più dove ho letto, qualche tempo fa, che fra non molti anni si verificherà una situazione che la storia non ha mai conosciuto. Verranno generazioni che non saranno più in grado di leggere e capire opere d’arte che per secoli e secoli sono state fondamentali per la civiltà. Si ignoreranno Beethoven e Bach, Dante e Cervantes, Michelangelo e Magritte, Chaplin e Nietzsche.

Nessuno può sapere come sarà. Io vorrei dire che sarà molto triste.

La scienza, la tecnica, l’economia orientano il mondo. Ma anche la letteratura, la pittura, la musica orientano il mondo. Anche il sogno ad occhi aperti. Se il mondo andasse soltanto verso una direzione sarebbe noioso come un mondo popolato da robot. Gli uomini non vogliono che il loro mondo diventi noioso come un mondo di robot. Non vogliono andare sempre verso la stessa direzione. Vogliono percorrere strade diverse, cambiare opinione, cambiare modo di fare, di vivere, di raccontare le storie. Gli uomini, che sono fatti male, malissimo, che hanno innumerevoli vizi e scarsissime virtù, che sono fragili, insicuri, sinceri, bugiardi, onesti, manigoldi, stolti, saggi, sono comunque creature meravigliose. Non potranno mai diventare dei robot. Se dovesse cominciare a verificarsi una condizione che in qualche modo possa far sospettare la metamorfosi, ad un certo punto avranno un guizzo di creatività, un assalto di lucidissima, salvifica follia, un istinto di sopravvivenza. Si ribelleranno. Butteranno via un po’ di macchine, tenendosi soltanto quelle che servono veramente alla scienza, al benessere, al progresso, alla libertà, alla dignità, alla vecchia umanità. Dice Morin, a conclusione del saggio, che la trinità senza freni di scienza, tecnica, economia nasconde un avvenire catastrofico. Che per evitare l’inumanità della post-umanità è necessaria una profonda riforma intellettuale e morale. Che la vita ha un bisogno primordiale di qualità. Dice che la comunità di destino di tutti gli umani sulla Terra esige una coscienza comune di Terra-Patria che invilupperebbe le patrie senza sopprimerle.

Ecco, dunque, forse si può dire così: se riusciremo a conservare una umana coscienza resteremo quelli che siamo, nel bene e nel male; se quella coscienza dovessimo perderla, una nuova Circe ci trasformerà, invece che in porci, in incoscienti e noiosi robot.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 4 marzo 2018]

 

 

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