Niente cultura senza le creature della natura

di  Antonio  Errico

Il primo febbraio del Settantacinque, in una delle sue incursioni corsare sul “Corriere della Sera”, Pier Paolo Pasolini scriveva che nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua, sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno, diceva, è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. Sono diventate un ricordo abbastanza straziante del passato, diceva.

Sono passati quarant’anni. Nessuno ha più visto una lucciola. Probabilmente, fra qualche anno, nessuno vedrà più una rondine. Stanno scomparendo. Come le lucciole. Dicono gli esperti che in dieci anni in Europa sono diminuite del quaranta per cento. Dicono che in Italia si registrano situazioni drammatiche soprattutto nelle zone agricole e umide. Negli ultimi quindici anni è scomparso più del quarantadue per cento degli uccelli tipici delle campagne. Le cause sono quelle stesse che hanno determinato la scomparsa delle lucciole. Il cambiamento climatico, l’uso di pesticidi, la mancanza di insetti. La storia si ripete, perfezionando i suoi processi, non sempre in termini di evoluzione. A volte il perfezionamento si risolve in una involuzione, una decadenza, un declino.

Se Pasolini adottò l’immagine delle lucciole, fu anche per il fatto che esse si costituiscono come occasione, minuscola e grandiosa, di poesia, di letteratura. Basta semplicemente ricordare un verso del canto XXVI dell’Inferno: “vede lucciole giù per la vallea”. Appartengono all’immaginario individuale e collettivo; hanno un potenziale emotivo straordinario; sono cariche di significati simbolici, paradigmatici. Un topos costantemente riattivato.

Anche le rondini sono metafore: creature della natura e  della cultura. Anche per le rondini basterebbe ricordare l’associazione che Guido Gozzano tesse con l’esistenza, nella sua “Signorina Felicita”. “le rondini addestravano le piume/al primo volo, timido, randagio;/e a me randagio parve buon presagio/
accompagnarmi loro nel costume./ “Viaggio con le rondini stamane…”/ “Dove andrà?” – “Dove andrò? Non so… Viaggio,/viaggio per fuggire altro viaggio…”.

Le specie si estinguono. E’ sempre accaduto. Accadrà sempre. Dicono che anche la specie umana si estinguerà. Ma ogni volta che scompare una specie, scompare anche un’espressione della cultura, la condizione di una narrazione, la possibilità di una comparazione. Poca cosa, in fondo, che le rondini scompaiano dalla letteratura. La natura viene prima; la natura è più importante; anzi, essenziale. Ma spesso natura e cultura procedono con lo stesso passo. Quando vanno via coloro che ricordano com’erano le lucciole, si perde anche la memoria delle lucciole. Accadrà la stessa cosa per le rondini. Resterà Gozzano, che le generazioni a venire incontreranno in un’antologia di scuola. Ma non avranno mai visto una rondine, mai la loro superba  umiltà, la loro eleganza leggera, la loro coda lunga, biforcuta, le loro ali aguzze e curve, la loro fragilità, la loro delicatezza. Non hanno mai sentito il loro garrire. Non ne hanno mai osservato un nido.  Non hanno mai potuto riflettere sul loro migrare, per poter comprendere il migrare degli umani. Non possono neppure capire  il significato di quel canto d’amore e nostalgia in lingua grika che è “Aremu rindineddha”, e neppure qual è  il significato di quei versi di Danilo Dolci che dicono così:  “Sono eguali due rondini/ se non sei rondine”: il senso dell’assolutezza, dell’unicità, dell’irripetibilità dell’essere. Non possono capirlo perché non hanno mai avuto il privilegio di vedere un nugolo di rondini che per qualche istante si ferma sulle pietre di un muretto, e ognuna di esse sembra  uguale a tutte le altre ma non ce n’è una che sia uguale all’altra. Come gli uomini non sono mai uguali.

Le generazioni che verranno non potranno neppure capire che cosa succede nel cielo quando capiterà loro di ritrovarsi a pagina 85 di un romanzo di Antonio Moresco che si intitola “La lucina”, con  le rondini che si preparano a migrare, mentre sembra che facciano la solita vita, volando all’impazzata, lanciando grida, solcando l’aria a becco spalancato per inghiottire insetti a badilate.

Chissà se lo sanno dove andranno, si chiede Moresco. Se almeno qualcuna di loro lo sa e riesce a comunicarlo alle altre, oppure se si inventano il viaggio mentre sono già in viaggio. Sembra che niente stia cambiando, che non ci sia ragione per la partenza. Invece no. Invece si lanciano verso un folle viaggio di cui non conoscono neanche la meta.

Rassomigliano agli uomini, le rondini, allora. Rassomigliano agli uomini in un modo straordinario.

Ma poi: che senso ha occuparsi, preoccuparsi della scomparsa delle lucciole, delle rondini, se il mondo è attraversato da fenomeni assai più complessi, da tragedie che non hanno paragone. Si diceva: le specie sono destinate all’estinzione. Che senso ha interessarsi di quella delle rondini. A chi può importare se scompaiono dalla natura, dalla cultura.

Un senso può anche esserci, però. Che come  in altri casi  è una metafora, una premonizione. Sono il simbolo di un processo di sottrazione e dicono che sta avvenendo qualcosa che ci riguarda da vicino, da dentro, nelle profondità della natura. Dicono che un destino ci accomuna, perché uomini e animali respirano la stessa aria, bevono la stessa acqua. Si tratta di fenomeni che hanno la stessa funzione di un canarino nella miniera. Per la loro particolare sensibilità al metano e al monossido di carbonio, i canarini  avvertono immediatamente la presenza di gas pericolosi.

I minatori si portavano dietro un canarino nella gabbietta. Fin quando sentivano il suo canto, capivano che l’aria era pulita. Se il canarino moriva, significava che dovevano risalire rapidamente in superficie, che la catastrofe era imminente.

Allora la scomparsa delle rondini ci riguarda. E’ un segno, un segnale, un avvertimento. Significa che bisogna salvare anche  le rondini se si vuole salvare gli esseri umani. Che sono teneri e fragili, come le rondini.

 

 

 

 

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *