Le finestre del sapere da dove guardare il mondo

di Antonio Errico

Solo per esempio: la luna. Come si fa a dire se la luna appartenga alle discipline umanistiche o a quello scientifiche. Leopardi l’ha interrogata, per tutta la vita. Forse per tutta la vita non ha fatto altro che interrogare la luna, avendo per risposta altre domande, che ha rivolto a noi, mascherandole, qualche volta, da risposte. Probabilmente è difficile per chiunque ritrovarsi a guardare la luna, a pensare la luna, senza farsi venire alla mente un verso di Leopardi, o anche soltanto il suo nome.

Anche Galileo ha interrogato la luna, e ne ha riportato le risposte con un linguaggio di scienza che pare una poesia in prosa.

A quale sapere appartiene, dunque, la luna. Non c’è disciplina che non la richiami. Non c’è arte o scienza alla quale possa essere estranea. Leopardi conosceva l’astronomia e gli astronomi conoscono Leopardi. Se ce ne fosse uno senza questa conoscenza, forse si dovrebbe diffidare.

Eppure spesso si continua ad insistere nella distinzione tra discipline umanistiche e discipline scientifiche, non di rado mettendole in contrasto sul piano della pedagogia, della didattica, delle prospettive che riguardano l’esistenza. Arbitrariamente, pretestuosamente, infondatamente. Si insiste nonostante le dimostrazioni di studiosi eccellenti. Uno per tutti: Jerome Bruner, psicologo di fama mondiale. Negli ultimi tempi, anche Lamberto Maffei ha espresso il suo dissenso assoluto sulla distinzione. Ha detto che lo studio è tutto umanistico, che non esiste una disciplina più umanistica della matematica, o dello studio della natura, degli animali, dell’uomo, perché le discipline curiosity driven sono tutte umanistiche e non mirano direttamente ad altro prodotto che non sia quello della conoscenza e del gioco giocoso dell’intelletto. Lo ha detto quattro anni fa, a pag. 89 del suo “Elogio della lentezza”. Lamberto Maffei è uno che sa bene come funziona la mente. E’ stato direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del laboratorio di Neurobiologia alla Normale di Pisa, presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei, è professore emerito di neurobiologia.

Però si continua a distinguere; anzi, peggio, a separare. Da una parte le materie che diciamo scientifiche, dall’altra quelle che diciamo umanistiche.

Se non fosse pericolosa, la cosa sarebbe innocua. Ma è pericolosa e quindi non è innocua.

Il sapere è una casa che ciascuno costruisce per sé, giorno dopo giorno senza riuscire mai a portarla a compimento: resta sempre qualcosa da completare, qualcos’altro da cominciare, altro ancora da modificare, da ristrutturare, rinnovare. Mentre costruisce la casa, apre delle finestre per far entrare la luce, per poter guardare fuori e rendersi conto di cosa c’è, di com’è quello che c’è, di quello che accade.

Può aprire una sola finestra o può aprirne più di una.

Se ne apre una soltanto, entrerà una certa luce e potrà vedere sempre la stessa strada, le stesse insegne, lo stesso orizzonte. Se ne apre più di una, entrerà molta più luce e potrà vedere più strade, più insegne, più passanti, più accadimenti, e gli orizzonti saranno diversi a seconda della finestra dalla quale si metterà a guardare. Ci potrà essere una volta in cui gli servirà o gli piacerà osservare e comprendere quello che si vede da quella a levante; ci sarà una volta in cui lo richiamerà l’orizzonte che si può vedere da quella a ponente.

Ecco. Le discipline, in fondo, sono le finestre nella casa del proprio sapere. Da quelle finestre si guarda il mondo e lo si interpreta.

Bisogna scegliere se farlo da una finestra soltanto oppure da molte. Bisogna scegliere se s’intende avere una visione più o meno parziale, nella consapevolezza che non potrà mai essere completa, perché ci sarà sempre una parte che lo sguardo non riuscirà a percepire.

Nessuna rete intricata di discipline potrà mai consentire una completa visione e una definitiva interpretazione del mondo. Meno che mai potrà farlo una disciplina da sola. Ci sarà sempre una parte della luna che rimarrà inaccessibile allo sguardo, che sia quello di Galileo o quello di Leopardi.

Ma poi, si dovrebbe anche considerare che risulterebbe oltremodo noioso guardare sempre dalla stessa finestra, sempre la stessa strada, la stessa insegna, lo stesso orizzonte, guardare il mondo, indagarlo, interpretarlo sempre dalla stessa prospettiva. Si potrebbe arrivare ad un punto in cui si avrebbe l’impressione che di quel mondo non ci sia più nulla da conoscere.

Così potrebbe risultare oltremodo noioso, fra l’altro, adottare nei processi di conoscenza sempre e soltanto una disciplina, gli stessi criteri, la stessa metodologia. Osservare e analizzare un oggetto culturale – qualsiasi oggetto culturale- impiegando esclusivamente limitati strumenti disciplinari comporta inevitabilmente una conoscenza limitata. Ribadendo che la conoscenza illimitata non può esistere, forse si dovrebbe cercare di renderla il più possibile spaziosa.

Si sa perfettamente che l’obiezione immediata è quella della necessità di una conoscenza approfondita e quindi specialistica. E’ vero. Si può capire che in quella strada avviene qualcosa di diverso in ogni momento soltanto osservandola con attenzione continuamente; si può capire che l’orizzonte non è mai lo stesso soltanto scrutandolo costantemente.

Ma nessuno ha detto che non si deve avere una disciplina di riferimento, una disciplina che si privilegia. Si dice, invece, che non si possono escludere le altre, che, insomma, banalmente, una letteratura si può comprendere se si conoscono i contesti della storia in cui essa si sviluppa, e che la storia si può comprendere se si conosce la geografia del luogo in cui i fatti sono accaduti, e che la geografia intreccia elementi di antropologia, di biologia, di botanica, di urbanistica, di politica, di diritto, di economia, e che ciascuno di questi elementi rimanda ad altri, forse all’infinito.

Solo per esempio: la luna. Personalmente ho la convinzione che durante qualche pausa dei suoi studi specialistici, Neil Armstrong abbia letto il “Sidereus Nuncius”. Ma mi piace anche immaginare che durante il suo viaggio verso la luna, avesse in saccoccia una traduzione inglese di quella poesia d’autore italiano che comincia così: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna?

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 15 aprile 2018]

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