Solo la creatività permette di essere liberi

di Antonio Errico

I fulmini incendiavano gli alberi e l’uomo aveva paura. Poi si accorse che avvicinandosi ai rami incendiati, sentiva un po’ meno freddo. Ma quando i fulmini non incendiavano gli alberi, lui sentiva freddo. Allora pensò che doveva trovare un modo per fare il fuoco e sentire meno freddo. Non poteva fare i fulmini ma poteva fare il fuoco. Provò e riprovò in tanti modi, per molto tempo. Provò e riprovò senza riuscirci. Poi una volta, mentre sbatteva due pietre per chissà quale motivo, si accorse che le due pietre sbattute producevano scintille, e le scintille cadevano nell’erba secca, e l’erba bruciava. Poi un’altra volta si accorse, ancora per caso, che lo stesso effetto poteva ottenerlo strofinando due bastoni. Da quel momento cominciò a governare il fuoco, ad usarlo per riscaldarsi, per difendersi dagli animali, per illuminare le caverne, per cuocere la carne, per cacciare spingendo la preda nelle buche. Così si liberò dal bisogno del fuoco.

L’homo erectus era creativo, dunque. Non meno di Michelangelo e di Arthur Rimbaud. Non meno di chi realizzò la prima navicella spaziale e di chi ha inventato internet. Fra la sua creatività e la nostra non c’è nessuna differenza sostanziale dei processi. Quello che cambia sono soltanto gli strumenti.

Allora la creatività non è altro che un uso o un riuso delle cose che già esistono. Un ripensare il pensato, un rifare in altro modo il già fatto, una diversa combinazione degli elementi, un ricomporre il composto, un riformulare, ristrutturare. Soprattutto: un riconsiderare, uno sguardare le cose e le storie in modo diverso, obliquo, trasversale, in particolare un diverso modo di considerare se stesso rispetto alle cose e alle storie, un dislocarsi, un riposizionarsi.

La creatività non è un’opzione possibile, ma una necessità. Era necessario che l’homo erectus trovasse il modo per governare il fuoco e per utilizzarlo a suo vantaggio. E’ necessario che noi, oggi, qui, si trovi il modo per ricollocarci rispetto a quello che accade intorno e che inevitabilmente comporta una trasformazione di quello che ci accade dentro. Il tempo che stiamo attraversando ha necessità urgente di una riconsiderazione soggettiva e collettiva delle nostre posizioni concettuali e pratiche rispetto alla tecnica e in particolare alla tecnologia. Ma è soltanto un esempio. Quindi ha bisogno di creatività: di un pensiero che si svincola da quello che ha elaborato finora per rielaborarlo evitando di restarne sempre più condizionato quando addirittura non sovrastato. Perché, sempre per esempio, la tecnologia ci sta sovrastando: condiziona, indirizza i nostri gesti, i nostri comportamenti, il nostro pensiero: spesso, sempre più spesso, allargando progressivamente le sfere, gli ambiti, i contesti, pervadendoli, improntandoli. Ci stiamo abituando, ci siamo già abituati a pensare nel modo in cui è programmato un sistema, un programma, una piattaforma, e ci comportiamo secondo lo schema, il modello, le modalità che il sistema ci impone. Tutto questo determina, come naturale conseguenza, una conformazione del pensiero e del linguaggio ai sistemi che la tecnologia impone. Ma poi si va oltre, perchè la conformazione del pensiero e del linguaggio, si sa, comporta l’elaborazione di una idea del mondo, degli esseri, dell’esistenza, la tessitura di un immaginario e la costruzione di una visione della realtà.

Allora abbiamo bisogno di operare uno scarto rispetto all’immaginario e alla visione che la tecnologia ha composto e compone, ha imposto ed impone. Ne abbiamo bisogno per una semplice ragione: perché si deve salvare la vita del pensiero; si deve salvare la sua libertà, la sua bellezza. La libertà e la bellezza del pensiero e del linguaggio si nutrono di espressioni plurali, molteplici, asistematiche, poco o per nulla aderenti alle forme comuni, schematizzate, ai format, alle preconfezioni, alla serialità, alle semplificazioni; si sviluppano attraverso concetti progressivamente approfonditi e con parole non costrette in formule applicabili acriticamente, senza processi di verifica, realizzando coerenze sostanziali e aderenze semantiche alla realtà o alla finzione che si intende tradurre.

Questo tempo richiede una creatività forse del tutto diversa da quella definita dai canoni. Richiede la consapevolezza della necessità di una creatività comune, collettiva, condivisa. Una creatività sociale, vorrei dire, realizzata attraverso il passaggio dalla persona alla comunità, che recepisce, interpreta, integra e fa interagire le diverse forme della creatività di ciascuno. Se c’è una cosa alla quale non si dovrebbe mai rinunciare è proprio la libertà di pensiero, perché da quella dipendono tutte le altre. Per cui è assolutamente mortificante sospettare che le macchine che l’uomo costruisce con il suo genio, poi debbano assoggettare il suo pensiero. Però ci ritroviamo, ormai, in una condizione per la quale l’opposizione e la resistenza individuali non possono produrre più esiti se non quelli di destinare alla marginalità e all’emarginazione sociale e culturale colui che si oppone. C’è bisogno quindi di una opposizione e di una resistenza culturali collettive e complessive, di una rinnovata consapevolezza della superiorità dell’intelligenza umana rispetto a quella artificiale che quella umana progetta e costruisce.

La creatività è sempre un’innovazione di sistemi, forme, strumenti, che deriva da una innovazione dei concetti. Per esercitare la creatività che ciascuno ( ciascuno, senza eccezioni ma con differenze) ha come risorsa, come patrimonio inestimabile nella propria mente, nella propria esistenza, occorre consapevolezza dell’inevitabile condizione di una libertà di pensiero. Dal tempo dell’homo erectus non è cambiato niente, in fondo. Egli scoprì come si produce il fuoco utilizzando la sua tecnologia, che era costituita dalla combinazione di pietre con pietre, di bastoni con bastoni, e con essa migliorò il modo di essere nel suo mondo. Forse ora noi dobbiamo imparare ad essere nel nostro mondo diversamente dal modo in cui siamo ora. Non per tutto diversamente, ma diversamente per ogni cosa che limiti la nostra libertà di pensiero e di parola. Ecco: il diversamente si chiama, con parole diverse, creatività.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, domenica 22 aprile 2018]

 

 

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