Il viaggio di Antonio

di Gianluca Virgilio

Partiva alle dieci di notte con l’auto piena di bagagli, in corpo una buona dose di caffeina, lasciandosi dietro la madre che ancora borbottava per quel figlio che viaggiava col buio; gli aveva caricato l’auto di cibarie e di maglioni, come se dovesse andare in Alaska. Lei non avrebbe dormito tutta la notte pensando a lui che risaliva da solo l’Italia nella Panda bianca. Le madri non si fanno mai una ragione di nulla. Gli sembrava ancora di risentirla: “Perché non parti di giorno, magari con qualche amico, così viaggi alla luce del sole, in compagnia? Perché non parti di giorno?”: risentiva la voce della madre che si era lasciato alle spalle rivedendola nello specchietto retrovisore.

Antonio risaliva l’Italia, un paese dopo l’altro, senza alcuna fretta, rollando ogni tanto una canna mentre teneva il volante stretto fra le lunghe gambe. Musica a tutto volume, sparata nelle orecchie. Non avrebbe preso l’autostrada, perché – diceva – quel percorso obbligato l’avrebbe fatto addormentare. Preferiva le provinciali o le statali, che penetravano nei paesi e ne attraversavano le piazze deserte; qualche volta era lui che ci entrava di proposito, evitando le circonvallazioni, col pretesto di risparmiare benzina. In realtà era incuriosito dalle luci che lo attiravano come una falena. A una certa ora, mi diceva, non c’è più nessuno in giro, i camionisti dormono dentro i camion nelle piazzuole di servizio al bordo della strada, le auto diventano sempre più rare e le piazze dei paesi sembrano sporche e abbandonate: neanche gli spazzini si sono ancora svegliati.

Brindisi, Monopoli, Polignano a Mare, Mola di Bari, Bari, Giovinazzo, Molfetta, Bisceglie… costeggiando l’Adriatico, gli facevano compagnia, in lontananza, le luci delle paranze in mare, sulla terra quelle dei semafori a ogni incrocio, luci arancione quasi sempre, ottimo lasciapassare per i pochi viaggiatori. Perché avrebbe dovuto spendere trentacinquemila lire per pagare l’autostrada?

Le luci della città gli tenevano compagnia. Ma tra città e città il buio lo impensieriva, le campagne scorrevano interminabili e irriconoscibili  ai lati dell’auto che si dava a una corsa più veloce: aumentava il rischio di travolgere qualche animale notturno, una volpe, un cane, un riccio… presenze inopinate della notte negli spazi interurbani. Bastavano pochi minuti di buio pesto, appena rotto dai fari dell’auto, per fargli sentire la solitudine del suo viaggio. Allora, premendo sull’acceleratore, sperava al più presto di vedere altre luci, un fanale, un lampione, un semaforo, e con le luci finalmente qualche presenza umana come appiglio salvifico al proprio essere in fuga.

Foggia, San Severo, Termoli, Vasto, Ortona, Francavilla, Pescara… Mi raccontava che durante questi viaggi aveva conosciuto molte donne, che ritrovava sempre al medesimo incrocio, spesso sotto il medesimo lampione. Erano sole anch’esse, e sfinite, e avrebbero voluto andare a dormire, se non fosse che ancora avevano fiducia, alle quattro di notte, di fare qualche lira. Si fermava a parlarci, chiedeva il loro nome, il costo delle varie prestazioni, infine aveva fatto amicizia e mangiava con loro il panino con la carne fritta preparato dalla madre. Lo lasciavano andare, il più delle volte senza averci ricavato niente, se non un panino: scomparivano al buio nello specchietto retrovisore della Panda bianca.

Montesilvano, Roseto degli Abruzzi, San Benedetto del Tronto, Porto San Giorgio, Civitanova Marche, Ancona, Falconara … Le conosceva tutte le puttane dell’Adriatica SS 16, conosceva tutte le tariffe. Ci credo io che i suoi viaggi durassero  quindici ore! Ma a lui non importava di arrivare presto, non c’era nessuno ad aspettarlo. Che ci poteva fare lui, se sua madre a quell’ora ancora non dormiva? Risaliva la penisola e ci pensava ogni tanto, con un senso di pietà che metteva a tacere volgendolo in stizza. Alle cinque del mattino anche le ultime puttane erano andate a dormire. Allora Antonio accostava l’auto, si fermava dietro un muro, e tirava fuori un cucchiaino, un limone e un accendino, una siringa e una polverina bianca. Come un sacerdote amministrava il suo culto. Quindi stendeva il sedile e si addormentava. Mi raccontava che spesso sognava suo padre, che lo guardava e non gli diceva niente. Si faceva qualche ora di sonno e poi, col sole già alto, percorreva gli ultimi chilometri: Senigaglia, Fano, Fossombrone, Urbino.

(2015)

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