«L’odio spezzato» di Simonetta D’Urso

di Gigi Montonato

Il racconto perfetto, se e quando esiste, si basa sull’equilibrio di scrittura e storia, posto che non c’è romanzo senza una storia. Non sembri pleonastico ricordarlo, oggi circolano tanti “romanzi” e così poche storie. Quando prevale la scrittura, l’andatura è lenta e appaga l’autore nel trasporto del racconto. Quando a prevalere è la storia, la rapidità coinvolge l’autore in un altro genere di compiacimento, la vicenda nell’ansia di parteciparla al lettore.

Nel romanzo di Simonetta D’Urso, L’odio spezzato (Galatina, Editrice Salentina, 2018, pp. 127, € 12,00), prevale la storia; la scrittura è di servizio, essenziale. La rapidità comprende e racchiude tre generazioni di personaggi in poche pagine, quasi in circolarità di eventi. Il romanzo si apre con un segreto e si chiude col suo svelamento.

Due cognate, Palmina e Teresa, abitano a Roma durante l’occupazione nazista del 1943-44. Atmosfere da “città aperta”. I bombardamenti hanno distrutto case e palazzi, devastato le strade, dappertutto regna la rovina. Ognuno cerca di mettersi in salvo. Una donna, per strada, supplica Teresa di prendere con sé un fagottino con dentro un bambino; poi si rivelerà una bambina. E’ un’ebrea disperata, che, conscia di non poter sfuggire alla caccia nazista, cerca di mettere in salvo la figlioletta. Teresa porta a casa quel fagottino, a cui si sente da subito indissolubilmente legata e vince le perplessità iniziali della cognata, preoccupata che ne scoprano la provenienza.

Da quel momento per Teresa e Palmina inizia un’esistenza diversa, hanno una ragione di vita in più per continuare a lottare. La chiamano Luisella, per una è figlia, per l’altra è nipote. Le due cognate trovano lavoro e rifugio in un convento, dove la madre superiora ha tanta comprensione. Lì sono raggiunte dalla notizia che Mario, marito di Teresa e fratello di Palmina, è caduto in combattimento. Arrivano gli Americani. Roma è liberata.

Le due cognate cercano la madre della bambina, ma apprendono che è stata uccisa. Tornano al loro paese. Fanno tutti i lavori che possono, finché di Teresa non si innamora il ricco proprietario terriero presso cui lavora. Si sposano, accudiscono Luisella come una figlia; che studia e diventa maestra di scuola. E’ una sola famiglia. Passano gli anni. Palmina muore. Muore anche il marito di Teresa. Luisella si sposa con un medico del paese e mette al mondo dei figli. Muore anche Teresa, ma prima scrive una lettera e svela a Luisella la verità sulla sua origine. Luisella legge la lettera, consegnatale dal parroco, che ne era l’affidatario, in un tumulto di sentimenti, che ha fine quando sente il clakson dell’auto che annuncia l’arrivo del marito e dei figli. Non vuole che essi sappiano. L’odio, da cui origina la triste vicenda di persecuzione e morte, è stato vinto dall’amore.

Come se un nuovo sole avesse scacciato le improvvise nubi, Luisella ritrova la serenità e la gioia nel pensiero della madre che l’ha salvata e cresciuta, e prova una dolcezza sconosciuta e infinita per la madre naturale. Si rafforza in lei la fiducia nell’avvenire e getta nel fuoco la lettera.

Il romanzo ha un’indubbia valenza ideologica, è un invito a credere nella bontà delle persone e nel combinarsi positivo delle cose, anche quando tutto ha l’avvio tragico nell’odio, in guerre, persecuzioni, morti e uccisioni. E’ dedicato “agli operatori di pace”. Fa passare in secondo piano il pur importante ideale borghese della promozione sociale, che nel romanzo appare del tutto marginale.

L’esempio di una famiglia che si forma nei modi meno prevedibili, eppure serena e coesa, presenta la bontà del modello tradizionale, con ruoli precisi. Un esempio classico di una famiglia allargata come si poteva intendere in altri tempi. Tra i vari componenti non c’è legame di sangue, ma quanta forza d’amore li tiene insieme! E’ l’amore che fa giustizia di preconcetti e stereotipi: non ci sono invidie, gelosie, maldicenze; in casa e nel paese ognuno partecipa della gioia dell’altro.

Perfino sul piano estetico il romanzo concede l’essenziale; perciò ben si presta ad un soggetto per sceneggiato televisivo o per un film. Il racconto è congegnato in tutte le sue parti. Intreccio e trama si sovrappongono. A parte il flash back iniziale, il resto procede fino alla fine in sequenza di eventi logico-temporali. I personaggi sono appena abbozzati nei loro tratti essenziali e tutti ricadono funzionalmente in una visione positiva della vita.

E’ un romanzo classico, dall’impianto solido e ordinato, edificante, come oggi se ne leggono pochi. Certo, l’intento di dare il primato ai buoni sentimenti è prevalente. Ma proprio per questo, in un momento di crisi esistenziali diffuse, il recupero della bontà umana rafforza la fiducia nella vita e conferma il valore della scrittura nel raccontarla e sostenerla.

L’odio spezzato è sprone per spezzare l’odio ovunque si concretizzi e si manifesti. La scrittura resta, anche nell’era internettiana, la forza più vera della rappresentazione dei sentimenti e dei valori umani. La pace, eterna prospettiva degli uomini, è intento dichiarato.

[“Presenza taurisanese”, a. XXXVI n. 7/8 di luglio-agosto 2018, p. 9]

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