La letteratura tradotta in Italia

di Walter Nardon

Nell’ambito degli studi letterari, lo sviluppo di un’impresa che si propone di mettere a punto uno strumento istituzionale, destinato a tutti, può suscitare una certa partecipazione emotiva, tanto più che questi fenomeni nella maggior parte dei casi avvengono in modo quasi impercettibile. Ciò che si prova davanti a un progetto come questo, infatti, è dovuto sia alla fiducia nel futuro degli studi che l’impresa esprime – fatto già di per sé non scontato –, sia alla dedizione degli attori in gioco, che come quasi sempre accade nell’attività di ricerca devono lavorare con silenziosa assiduità prima di poter conseguire e pubblicare i risultati di un progetto destinato a dare frutto soprattutto nel lungo periodo.

Se vi interessa lo studio della letteratura, andate a dare un’occhiata a questo sito: www.ltit.it il portale LTit – Letteratura tradotta in Italia. Si tratta di una banca dati digitale, ancora in via di sistemazione, dedicata alla letteratura tradotta in Italia nel Novecento, che mette in rapporto le opere originali con le varie traduzioni uscite nel corso di questo secolo. Per essere più chiari, se vi interessa capire che cosa ne sia stato nel nostro paese del Faust di Goethe o del racconto A Painful Case dai Dubliners di Joyce, nel portale potete trovare le date e le sedi di pubblicazione delle varie traduzioni, i nomi dei traduttori, le edizioni in volume, come pure sintetici profili sull’attività dei traduttori e mediatori culturali. Naturalmente, il portale non mette a disposizione i testi (va tenuto conto che molte traduzioni, opportunamente riviste, sono ancora in commercio) ma non è difficile orientarsi: alcuni possono addirittura essere reperiti con grande agio e legalmente in rete, ad esempio sul portale LiberLiber del Progetto Manuzio, dove potrete consultare un’edizione della traduzione del Faust del 1960. Come detto, il lavoro è in corso d’opera: per la letteratura tedesca arriva fino al 1950, mentre per le altre letterature i dati sono in via di inserimento.

Nato dal progetto Storia e mappe digitali della letteratura tedesca in Italia nel Novecento: editoria, campo letterario, interferenza, finanziato dal MIUR nel 2013-2018 e coordinato a livello nazionale da Michele Sisto, il progetto Letteratura tradotta in Italia è stato poi esteso – e il portale lo testimonia – alle letterature angloamericane, alla letteratura russa e alle letterature scandinave. Il progetto ha coinvolto l’Istituto di Studi Germanici di Roma, l’Università per Stranieri di Siena e l’Università di Roma La Sapienza, che hanno costituito tre unità di ricerca di cui sono responsabili, rispettivamente, Michele Sisto, Anna Baldini e Irene Fantappiè. Destinata com’è a crescere, quest’impresa assumerà probabilmente un’importanza maggiore.

La questione che il progetto e il portale pongono è radicale ed è delineata nel volume La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione. 1900-1920 (Macerata, Quodlibet, 2018) firmato dai tre responsabili assieme a Daria Biagi e Stefania De Lucia. Il libro funge infatti non solo da Introduzione alla letteratura tedesca in Italia, ma anche da introduzione generale al progetto. Il nodo è questo: in che modo le traduzioni hanno influenzato la letteratura italiana? Ossia, in che misura il repertorio dei testi resi disponibili in traduzione ha contribuito a definire le norme, i generi, gli stili, i modelli che rappresentano storicamente la letteratura? E quindi: quali testi vi si sono poi avvicinati?

Per quanto una pratica solitaria della letteratura possa rimanere ingenua, non è possibile fare qualche passo avanti in questa disciplina senza rendersi conto che non nasce unicamente da un particolare uso della lingua, ma anche dal rapporto con ciò che si è letto, e che spesso è stato scritto prima della nostra comparsa. A questo proposito vorrei ricordare che, se lo stile è una modalità di visione (Proust), più che una somma di scelte sintattiche e lessicali, può influenzare un lettore anche al di là della barriera linguistica; ma può influenzarlo, naturalmente, solo se questo stile, e dunque più propriamente il testo, viene tradotto.

La letteratura italiana deve molto alle traduzioni e ai volgarizzamenti, fin dalle sue origini: nel Duecento la riscrittura in toscano dei componimenti dei siciliani è risultata decisiva; ma i processi di ricezione e appropriazione delle opere si sono sviluppati anche in modo più fortemente diacronico, penso ad esempio ai volgarizzamenti dei classici latini nel Trecento e nel Quattrocento, oggi ignoti se non agli specialisti, o a operazioni che hanno poi mostrato una diversa incidenza nelle vicende letterarie delle epoche successive come le traduzioni di Annibal Caro o, per Omero, di Ippolito Pindemonte e – con maggior fama – di Vincenzo Monti, che Foscolo detestava. E proprio Foscolo, traducendo il Viaggio sentimentale di Sterne, ha contribuito a introdurre in Italia una forma narrativa legata più allo sviluppo tematico che a una vera e propria trama: non si può fare a meno di ricordare che la complicata storia del romanzo nel nostro paese, più di quanto non accada per altri generi, non è comprensibile se non considerando la letteratura come un fenomeno sovranazionale.

Il volume La letteratura tedesca in Italia. Un’introduzione 1900-1920 mette in luce molte questioni: il conflitto per l’egemonia fra i maggiori gruppi letterari dei primi vent’anni del secolo, gli sviluppi delle case editrici emergenti e di quell’espressione editoriale di estremo rilievo che era il progetto di una collana. Tutto questo animato dalle vicende degli esponenti più attivi nel dibattito culturale: Croce, Prezzolini, Papini, Soffici e Borgese, osservati nella prospettiva del loro rapporto con la letteratura tedesca, oltre che con le maggiori riviste del periodo. Anna Baldini racconta questa vicenda nel primo capitolo, che descrive la rete di alleanze e conflitti determinati da questi e altri autori attorno alle riviste «Leonardo», «La Voce» e «Lacerba». Michele Sisto si occupa invece delle case editrici dell’epoca e delle ragioni di editori storici come Treves, Sonzogno e Bocca davanti alla pubblicazione dei classici della letteratura tedesca, proprio mentre il repertorio si stava rinnovando sotto la spinta di nuove e all’epoca piccole case editrici come Laterza di Bari e Carabba di Lanciano.

La traduzione come strumento di importazione di una «postura autoriale», ossia di un modo di stare dentro la letteratura, o per meglio dire di un nuovo modo di stare dentro la letteratura – che i traduttori vogliono introdurre o valorizzare in ambito italiano – è al centro dello studio di Irene Fantappiè, nel quale cui possono seguire le sorti di Novalis, Schopenhauer, Hebbel e Kraus intesi come modelli di atteggiamento all’interno del campo letterario.

Ad integrare l’aspetto sociologico dell’indagine interviene la parte del libro dedicata all’analisi delle traduzioni, che permette anche di puntualizzare alcuni dettagli negli orientamenti culturali dell’epoca, problematizzando dei punti talvolta incrostati dai luoghi comuni della storia letteraria. Paradossalmente, ad esempio, fu proprio in seno al gruppo della rivista «La Voce», poco favorevole al genere del romanzo, che prese vita il progetto della prima traduzione integrale in italiano dei Wilhelm Meister Lehrjahre di Goethe, romanzo che come ricorda Daria Biagi nel suo contributo sarebbe poi uscito in due volumi nel 1913 e 1915 presso Laterza, col titolo Le esperienze di Wilhelm Meister, a cura di Rosina Pisaneschi e Alberto Spaini.

Stefania De Lucia indaga invece l’interesse di Prezzolini per i mistici tedeschi e le sue traduzioni, da quella dei Frammenti di Novalis, autore per il quale avvertiva una particolare predilezione, al Libretto della vita perfetta d’ignoto tedesco del secolo XIV.

Completano il volume una serie di apparati, in cui si possono seguire ad esempio le “traiettorie” di due traduttori (Rosina Pisaneschi e Alberto Spaini), di due mediatori culturali d’eccezione (Papini e Prezzolini) e di un editore (Rocco Carabba di Lanciano).

Data la varietà delle prospettive e degli oggetti presi in considerazione, il gruppo di lavoro si è servito di più metodi, fra i quali tuttavia spicca per rilievo e inquadramento generale della ricerca la strumentazione concettuale messa a punto dal sociologo Pierre Bourdieu. Le nozioni di campo letterario, di capitale simbolico e di traiettoria ritornano perciò come codice condiviso del gruppo di lavoro, per il quale il volume offre opportunamente un glossario finale. La prospettiva di Bourdieu sugli studi letterari – tracciata soprattutto a partire dalle Regole dell’arte e non priva di qualche rigidità – ha permesso di considerare il valore di un’opera come il risultato del conflitto di numerose forze che agiscono materialmente nel campo di produzione letteraria; questo sforzo ha permesso di sfrondare il dibattito editoriale di troppe eredità romantiche inerenti sia il testo, sia le intenzioni dei vari autori. Estendendo l’analisi a più letterature – come promette il sito – e incentrando l’attenzione sull’attività dei traduttori e sulla circolazione dei testi, questa ricerca consente di rimediare in parte a una critica che è stata mossa a Bourdieu, ossia quella di aver costituito il campo letterario e la sua polarizzazione interna sulla sola base della letteratura francese del secondo Ottocento.

Non si può che salutare un progetto come questo con gratitudine e, una volta tanto, ringraziare il Ministero che nel 2012 l’ha finanziato.

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