La rinascita dalle macerie di una civiltà

di  Antonio  Errico

Se una civiltà crolla, che cosa accade, chiede Paolo Conti a Andrea Carandini nel corso di  un’intervista sul “Corriere della sera”. Carandini, ottant’anni, professore di Storia dell’arte greca e romana, risponde così: si torna indietro nella Storia. A uno stadio anteriore. Poi dice che siamo sommersi dalle immagini, che ci si fotografa anche nei momenti più intimi, privati, perfino – almeno un tempo – imbarazzanti. La scrittura e la lettura, dunque l’apprendimento e lo studio, sembrano non avere più senso. Nel Medioevo si era ricchi di immagini proprio perché erano tutti analfabeti.

Carandini esprime la paura che ci si stia avviando verso un Neo-Medioevo supportato dalla Rete, un VII-VIII secolo dopo Cristo ma on line, senza l’alba di una nuova civiltà.

E’ umano, inevitabile, naturale, che le affermazioni di Andrea Carandini provochino qualche inquietudine, almeno qualche disorientamento.

Se è vero che il Medioevo  è stato un  tempo buio, anche se non  tanto buio quanto talune volte si dice, è anche vero che quel tempo è passato.

In natura e in cultura indietro non si torna. Ma molti fenomeni della natura e della cultura rispondono alla condizione della ciclicità. Se nell’osservazione e nell’analisi delle situazioni culturali che stiamo vivendo  si adotta questo criterio, per cui quello che è stato una volta può essere un’altra volta, allora Carandini può avere ragione. Può avere una ragione anche la sua paura, anche la nostra paura, il suo e il nostro disorientamento.

Non è tanto l’eccedenza delle immagini  a fare paura; forse non è neanche il predominio della Rete.

Probabilmente la condizione che sconcerta, che destruttura i nostri codici di lettura, i nostri metodi di interpretazione, che scompagina i canoni culturali che abbiamo assunto come riferimento sottraendoci le possibilità di riconoscimento, è costituita dal processo e dall’esito di manipolazione della realtà.

Una manipolazione costante, incessante, totale, che non tiene al riparo niente e nessuno, a volte consapevole, a  volte inconsapevole, che coinvolge il nostro essere anche negli aspetti più profondi, che ci costringe ad una continua dislocazione, ad un trasferimento in universi generati appositamente per consentire il rifugio quando  si sconfina nei territori  dell’ alienazione.

Non è la Rete che fa paura; non è neanche la virtualità che tutto pervade.

È la nostra progressiva perdita della capacità di confrontarci criticamente, il nostro consegnarci senza alcuna condizione  ad una realtà deformata.

Ma la condizione che inquieta più di ogni altra è la figurazione di un Neo- Medioevo, senza l’alba di una nuova civiltà.

Forse si potrebbe guardare il paesaggio senza necessariamente vedere in esso le catastrofi. Oppure trovare il modo per intravedere anche nelle catastrofi le possibilità di una rinascita della civiltà.

Ancora una volta la metafora funzionale, la rappresentazione significativa, la sintesi sostanziale del processo che dalla catastrofe conduce al rinnovamento, lo si può trovare in quella straordinaria interpretazione che Walter Benjamin sviluppa dell’Angelus Novus di Paul Klee. Dice: “C’è un quadro di Klee che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che gli non può chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.”

Allora, in questo modo, non c’è un ritorno indietro, ad uno stadio anteriore, ad un passato identificato con un Medioevo. Quello che accade è una relazione fra passato e futuro che si rende concreta con il passaggio attraverso il presente. Certo, può anche verificarsi il crollo di civiltà, ma il crollo non determina la distruzione, la fine; semmai si pone come causa di un nuovo e diverso progetto, di un’altra cultura che propone forme e modelli e linguaggi differenti dai precedenti, molto spesso non ancora assimilati, soprattutto non ancora rapportati alle esistenze.  La sola cosa che conta, nell’ambito dei processi di cambiamento, è fare in modo di non subire la forme, i modelli, le idolatrie, le finzioni,  i linguaggi,  ma riuscire in ogni contesto a governarli da emittenti e da riceventi.  

Sarebbe semplicemente falsamente consolatorio e pericolosamente ingenuo pensare che le civiltà possano restare per sempre identiche  a se stesse.  Non può essere così, per fortuna. Le civiltà hanno mutamenti a volte lenti, a volte rapidissimi, che richiedono una calibratura delle conoscenze e delle competenze, vale a dire molteplici  modalità di lettura e di interpretazione dei fenomeni e delle storie che attraversano il mondo, che pretendono nuove visioni, nuove metodologie di organizzazione del pensiero, nuove categorie. 

L’angelo della storia non intende rimanere imprigionato tra le  macerie. Non le ignora, non ignora quali eventi le hanno prodotte né le loro conseguenze. Ma si alza in volo. Tende le sue ali verso un altro tempo. Forse si promette di evitare di fare gli errori già fatti, di produrre altre macerie.

Però sa anche, perfettamente, che non di rado la Storia, lo sviluppo, il progresso sono una ricostruzione sulle macerie. L’angelo della Storia sa che le civiltà si fondano sulle logiche collettive ma anche sui desideri di ciascuno, perfino sugli istinti di sopravvivenza, sulle nostalgie e sulle prospettive, sulle paure e sulle speranze, sulle ragioni, sulle passioni, sui sentimenti. Sa che, in fondo, è sempre stato così e che così sarà per sempre.

Allora tutto diventa meno drammatico; quello che cambia non ha più l’impeto di un’onda travolgente. Sembra tutto più normale perché era tutto previsto, tutto assolutamente coerente con l’andare e il venire dei tempi.

Mentre tutt’intorno è buio, l’angelo della storia immagina l’alba che si alza, risplendente.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 30 settembre 2018]

Questa voce è stata pubblicata in Prosa e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *