Dante e il Novecento

di Antonio Lucio Giannone

L”attualità’ di un classico si misura anche dal modo in cui la sua lezione ha continuato ad operare presso gli scrittori contemporanei. In questo senso si può dire che Dante nel Novecento è stato sempre  attuale, come lo è stato, d’altra parte, anche in altri periodi della letteratura italiana. Il modello dantesco infatti., insieme e in contrapposizione con quello petrarchesco, è stato il  più seguito dai  poeti italiani nel corso dei secoli, anche se si è trattato di un modello irraggiungibile e, per  tanti aspetti , inavvicinabile. Ovviamente ogni età ha avuto i l ‘suo’ Dante,  lo ha vi sto cioè in base suo gusto, alle concezioni, allo ‘spirito’ di quel particolare momento storico. il nostro secolo, per esempio, ha liberato il Poeta dalle incrostazioni retoriche dell’Ottocento e ne ha dato una ‘lettura’ più rispondente alle tensioni, alle inquietudini dell’uomo moderno, ma nello stesso tempo ne ha tenuto presente l’altissima lezione di stile.

Il recente libro di Luigi Scorrano, Presenza verbale di Dante nella letteratura italiana del Novecento, (Ravenna, Longo, 1994) costituisce un’accurata ricognizione del dantismo novecentesco attraverso l ‘esame di numerosi scrittori, poeti e prosatori, che hanno ripreso, in vario modo, l’inimitabile modello. Scorrano non è nuovo a questo genere di  ricerche,  avendo  già pubblicato un volume intitolato Modi ed esempi di dantismo novecentesco (Lecce, Adriatica Editrice Salentina, 1976), e avendo curato, in collaborazione con Aldo Vallone, un commento a La Divina Commedia (Napoli, Ferraro, 1985-1988, 4 voll.), che dà ampio risalto alle presenze dantesche presso gli scrittori contemporanei.  Qui egli prosegue  e allarga la sua indagine,  mettendo  in  mostra  ancora  una volta una capacità quasi rabdomantica di individua re schegge, tasselli, materiali danteschi  anche  nei  luoghi più insospettati e di saperli commentare con finezza, sempre attento al particolare con testo in cui essi si collocano.

Ne viene fuori un’ampia fenomenologia del  dantismo nel nostro secolo, limitata sì alla “presenza verbale” ma che implica necessariamente l’esame delle diverse poetiche degli scrittori, le quali permettono a Scorrano di chiarire i l significato delle singole riprese.

ln D’Annunzio, ad esempio, la presenza dantesca va dal recupero di uno o più elementi lessicali alla citazione di versi tra virgolette, dall’uso antonomastico di personaggi della Commedia, come Ulisse, alla ripresa di passi e immagini tratti da luoghi diversi, finalizzati a raggiungere unità di rappresentazione. E qui tutto viene riportato giustamente dallo studioso, da un lato, alla ben nota tendenza dello scrittore abruzzese a manipolare abilmente i più  disparati materiali  letterari  al  fine di  impreziosire ulteriormente le proprie creazioni e, dall’altro, al tentativo di  “riduzione della figura di Dante a dimensioni e atteggiamenti dell’Immaginifico” (p. 11).

In Pascoli c’è un gioco più sottile, perché a volte la ripresa dantesca è dichiarata, quasi ostentata, a volte è negata, come dimostra Scorrano, che per verificare queste ascendenze ricorre anche all’esame degli abbozzi e delle varianti delle poesie di Myricae.

Anche Pirandello e Papini hanno mostrato numerosi segni di attenzione verso l’opera di Dante. Ma mentre nello scrittore siciliano i riecheggiamenti sono piuttosto rari e limitati alle raccolte poetiche, che costituiscono un aspetto marginale della sua produzione, ben più consistenti sono le tracce dantesche in Papini, il quale in alcuni libri riprende termini, immagini, similitudini e, inoltre, fa costante riferimento a personaggi dell’Alighieri, quasi a voler stabilire un ideale, quanto improbabile, collegamento con la sua opera.

Un minore coinvolgimento ideologico c’è nel dantismo dei ‘rondisti.’ Baldini e Bacchelli, nei quali le riprese di versi e brani sono fondate su una consuetudine di lettura e si presentano perciò quasi spontaneamente  alla memoria.

Una fruizione affatto particolare di Dante nel Novecento è quella di tipo ironico e parodistico, messa in atto da poeti e prosatori,  come Gozzano, Gadda, Testori. Il che non vuol dire mancanza di rispetto nei confronti del sommo Poeta, ma soltanto un uso più dissacrante della tradizione letteraria, il desiderio di “rifare il verso” ad alcuni rappresentanti di essa. Allo stesso modo vengono trattati infatti da questi scrittori anche altri classici della letteratura italiana, quali Petrarca, Foscolo, Carducci, ecc.

Alla linea dantesca del Novecento appartengono tre  fra  i massimi poeti contemporanei,  Campana, Rebora e Montale. Sul primo la presenza  verbale  di Dante non risulta quasi mai occasionale,  tanto è vero che si è parlato di una “struttura  dantesca  soggiacente  ai Canti orfici” (p. 83). Per quanto riguarda Rebora, Scorrano conduce un originale esame sulla rima nei Frammenti lirici, giungendo alla conclusione che  essa è di chiara ascendenza dantesca. Sul rapporto Montale-­Dante, già ampiamente studiato, egli aggiunge ulteriori elementi di riflessione. Più vicini al filone del monolinguismo petrarchesco sono invece altri importanti poeti di questo secolo come Saba, Sbarbare e Ungaretti, sui quali pure sono presenti suggestioni dantesche, sempre puntualmente messe in luce e commentate da Scorrano col consueto garbo e acume. Chiude il libro un’ampia e articolata Nota bibliografica, nella quale, accanto agli studi d’insieme sull’argomento, l’autore registra anche i saggi, le note e gli interventi su singoli scrittori, offrendo così indicazioni utilissime per eventuali, ulteriori approfondimenti.

[Le scritture del testo. Salentini e non, Lecce, Milella, 2003]

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