È qui la festa?

di Luigi Scorrano

Si comincia da un punto periferico per conquistare progressivamente il centro o al’inverso, si parte da un’immersione nel centro per seguire un percorso verso la periferia? C’è un ordine che determina la collocazione degli oggetti, delle piccole meraviglie che spesso sono semplici meraviglie domestiche. Guardate nella cucina di casa le cose di ogni giorno, gli oggetti delle abitudini quotidiane: perdono quasi ogni interesse: mettiamo gli occhiali di un tempo diverso in cui ci apparvero in una luce di scoperta … e allora l’incanto della memoria esercita la sua seduzione. Una musica addormentata negli strumenti di cattiva qualità si ridesta in una lucentezza che non riuscivamo più, come in giorni lontani, a catturare. E la melodia si sprigiona, pura e incontrastabile, dallo splendore dei metalli sonori, dal remoto mormorio del cuore.

La trombettina! Ritrovarla! e la gioia del mondo si condensa nel suo suono elementare, nella sua nota sempre uguale ma che all’orecchio fanciullo dà l‘impressione di uno strumento che suoni un appello, che chiami a raccolta tutti gli strumenti del mondo e guidi una favolosa orchestra in cui tutti gli strumenti hanno voce, e ciascuna inconfondibile. C’è un’aria scanzonata in questo affollamento di strumenti che suonano da soli, al richiamo della trombettina della fiera che il bambino si riporta (si riportava!) a casa dalla fiera. Persino le parole, nella giornata di fiera, avevano un comportamento eslege, fantasioso, allegramente anarchico! Oh, riprendere  quel suono, quella bufera di note caprioleggianti senza timore. Lontano, un nitrito di superbi cavalli. E un immaginoso poeta, Corrado Govoni, poneva sotto una campana di chiaro di luna una manciata delle sue parole  in libertà. Altro tempo! Idillio? Un tragico quotidiano, l’orribile dolore della vita che non concede sconti speciali per conquistarsi una lacrima in meno. La grande orchestra universale assottiglia la sua voce nella tardiva lamentazione d’un dimenticato organetto di Barberia.

La trombettina della fiera come reliquia d’una magia perduta. Una bambina corre, sola, per i campi portandosi il suo acquisto da fiera, quella trombettina di latta azzurra e verde e la sua povertà scalza e, a suo modo, felice. Il richiamo della trombettina  si spande nell’aria, tocca tutte le cose, dà consistenza alla fantasia dal momento che nell’oggetto così amorosamente conquistato si condensa l’essenza della fiera, un sogno infantile, una vasta realtà: una realtà d’incanti che solo chiare pupille rivedono nel loro nitore. Gira l’anello della giostra; annitriscono i cavalli ornati superbamente  per esprimere una maestosità di passo, di portamento. L’orchestra, i suoi lucidi ottoni, è d’oro: illude l’occhio e il cuore. E se sulla fiera è caduta la pioggia, questa ha portato più luce e freschezza.

La giostra, ecco! con i suoi cavalli di legno, e dove tutto è artificio d’arte : i bambini più grandicelli si succhiano gl’indici e gli altri intrecciano le dita paffutelle per attaccarvi  selle e ali. E accatastano sogni, e vanno e  vengono veloci, insonni, poiché gli angeli non dormono, non dormono mai, e cantano, e la melodia che essi cantano si espande su tutta la terra come l’acqua di una benefica pioggia. La giostra si gode il ritmo lento della folla che piega ora in uno  ora in altro lato e si vede nel  suo moto il mondo, che gira, aspra i suoi cardini,  stride trascinando i pianeti nelle sue corse sul mondo.

Negli oggetti della fiera di paese si moltiplicavano gli incanti del mondo. Poteva cadere la neve in un’accaldata pianura anche in pieno agosto: cadeva dentro una sfera di vetro, al centro una statuetta devota, molto colorata, e rigirando la sfera si vedeva, nell’acqua che vi era chiusa dentro, la nevicata magica, la nevicata che non veniva dal cielo né da altro riconoscibile luogo ma era frutto della nostra dolce immaginazione. E aggiungi, tra tante meraviglie la trottola colorata che girava alla velocità del  nostro gareggiare. Dove correva  col suo rumore di latta la trottola che percorreva solo un giro e poi l’altro e l’altro ancora in uno spazio inventato  per la nostra illusione. Nostra! perché i sogni di quei momenti appartenevano a tutti.  Sfilavano i cavalli, fieri, superbi, toccati  appena, talvolta, dalla sferza dei guidatori. Sul loro passo le immagini chimeriche moltiplicavano; le avventure dei libri entravano senza difficoltà nella vita: le case si trasformavano in castelli, i giochi infantili diventavano  sfide clamorose e   gli eserciti levavano il loro grido di guerra e d’avventura e correvano a conquistare il premio: il dolce preparato dalle madri,  occorre dirlo? iniquamente diviso. Poi veniva il sonno pacificatore: ma nel sonno la giostra continuava a funzionare, i cavalli a sfilare, le guerre a riaccendersi, le grida di vittoria a perforare il silenzio.

Giugno; e si fa fiera. Allegria e nostalgia. Quanti contrasti procedono a braccetto: e sappiamo che la sera viene per tutti.  L’ora del silenzio suona da campanili misteriosi ora che i campanili non hanno più voce. Giugno! fervore di opere campestri, la messe è matura, l’uva deve ancora attendere, il fico comincia ad esporre la sua delicata mercanzia. Viene da tempi remoti qualche nozione confusa: un tempo la campagna si apriva anche al nostro passo inconsapevole: oggi  il nome dei frutti di stagione ci viene incontro dalle pagine sapute di un libro o d’una rivista a trarci d’impaccio e se proprio ci teniamo a ricordare la parola che ci conforta verso ciò che sapemmo e non sappiamo più. Fiduciosi apriamo i libri, convinti  interroghiamo, sicuri riponiamo l’informazione ricevuta alla velocità oggi richiesta. Il nostro sonno diventa più tranquillo? La giornata di fiera passerà e noi saremo passati, e le facce di amici perduti diventeranno ombre, incerte immagini: come la giornata di fiera che già deraglia nel clamore del’estate, per luoghi amati più di quelli d’un tempo: amati, amari? per noi, vittime dei sogni. Ad ogni passo lascio un brano di cuore: amare chi non c’è non è proprio insensato? Eppure  io sono stato innamorato d’una giovane freschezza , di una primavera intempestiva.

Le casalinghe, tutte! la pubblicità ce le mostra felici con il naso infilato nella biancheria appena ritirata dall’asciugatoio. Lavata a mano dicono orgogliose, ma qualche dubbio ci angustia: non ci sono, forse speciali detersivi che abbiano gli stessi effetti del (presunto?) lavaggio a mano? Eppure mi lasciano perplesso quelle signore che lavano a mano quando potenti detersivi succhiano ogni impurità dal bucato:  sento il familiare profumo. E a quello s’accompagna il familiare profumo che credemmo perduto, e risorse vittorioso a spandere nell’aria una memoria tenera, un richiamo per il cuore. Ma passerà l’estate, settembre esporrà i tesori maturati in una ricca stagione, il verde comincerà ad apparire un poco stanco, le foglie si avvieranno alla loro malinconica caduta. Dietro i vetri delle finestre vedremo colare le lacrime delle prime piogge; nel cielo, prima terso e lucente, ora sempre più grigio per intere giornate. Sosteranno sempre più di frequente le nuvole: qualche squarcio d’azzurro colorerà il cielo ingannevolmente. Busseremo a una porta dietro la quale ci sembrerà d’aver udito un suono allegro e scoppi di risate. Al mondo, c’è, dunque ancora vita, la bella vita sovrana, la vita desiderata e vissuta, amata, circondata dalla grazia ancora d’un colore sereno. Ci tenterà la voglia di bussare e, a chi verrà ad aprire, di chiedere: È qui la festa? 

La festa, certo! Si va, però, alla ricerca della festa perduta, alla festa di giorni lontani quando la meraviglia del mondo ci faceva sgranare gli occhi indugianti su tutte le cose o soffermarsi su quelle che delle tante ci parvero le più degne di essere guardate, accarezzate, amate, desiderate. La nostra trombettina: quello che veramente potresti portarti a casa una volta che ci ritorni e hai con te quello che desideravi e pensi che potrai farne un amuleto da opporre ai dolori che verranno. Sarà quello ad accompagnarti, se lo vorrai, dentro i tuoi giorni felici dentro i tuoi giorni tristi. Da quello scaturirà la tua gioia o la consolazione del tuo dolore, e tu guarderai quell’amuleto avuto in dono (un dono paterno!) che ti parve davvero uno schermo contro ogni pena, contro ogni malinconia che volesse invadere la tua vita. La festa, e la fiera, si condensavano in un segno, in un segno visibile, tangibile. Durerà? andrà in mani diverse? resterà a guardia dei tuoi sentimenti? che cosa ti dirà quando passati tanti anni guarderai quel giocattolo che ancora emette un suono di lontananza e ti tocca il cuore! Il cuore, già! non ci fosse, talvolta! e non fornisse lui la risposta alla domanda: dov’è la festa?

C’è un tono, una curvatura del sentimento fatta d’ombra più che di luce e che evoca la luce del giorno che si sbriciola verso la fine, lentamente e poi e poi decisamente, verso di essa. Un languore della luce, un venir meno della fierezza in qualunque modo essa si esprima. Come la diremo? Ne hanno registrata ampiamente la presenza, ne hanno studiato le più sottili vibrazioni, hanno costruito un edificio che appare sempre un po’ lontano, nebuloso: e un luogo di silenziose lacrime, di malinconie profonde, di misteriose enunciazioni, delle dolci malattie che consumano le fibre  più dure, del rodìo dei pensieri che tormentano l‘anima: E solo con l’anima questi pallidi cantori di una vita eternamente languente sanno e vogliono parlare, confidare i propri pensieri, offrire al silenzio che amano le lacrime nascoste, il brivido mortale che annuncia il lento avvicinarsi della fine e, a fronte, la voglia di mostrare al mondo forza e coraggio. E un’arma: l’ironia, che sorride e irride, che guarda con pena a chi crede di aver scoperto tutto quello che nella vita era necessario scoprire. Anch’essi scoprono, pur dalla specola di una triste meraviglia, che anche coloro che non appartengono alla loro devozione sentono la vita come travaglio (operoso, tormentoso) che durerà. E anche chi non l’ha si inventerà il coraggio di vivere. Hanno coniato per loro un’etichetta ,,, Forse … “crepuscolari”. Siedono presso tacite fontane, scoprono dolci vene d’acqua: rabdomanti di forze sotterranee: primavere del cuore, sacerdoti che un rito tutti unisce in un rito eucaristico, e si nutre – questo – dell’eucaristia del silenzio.

Ma sulle creste dei monti corre il riso dell’aria quando azzurro è il mattino e tutto strepita di gioia sotto la volta del cielo che intenerisce appena schiuse foglie, schiuse foglie sognate dalla luce che tutto sogna, che tutto rivela. Donne siedono dolci e tese, ascoltano melodie della terra in cui fermarono il passo. Le vestiva ancora la notte con la seta del cielo, con il velluto delle nuove gemme: diamanti e zaffiri sulla loro fronte, sul loro petto disponeva il sole che s’annunciava  già con la sua luce. Tenue luce, bambina che ride radiosamente, mentre s’innalza il profilo dei monti e nuvole leggere si muovono come una flotta di fantastiche lievi imbarcazioni, fantastiche galee navigano verso lontani porti del mondo; con lo sguardo seguono galee partite al navigare da selve a lungo lavorate negli arsenali di terre dotte al navigare, e folli talvolta se le tenti l’avventura. Dov’è, chiedi, la festa? Vicina a te più che tu non lo creda. Dolce ricordo ti sarà la fiera ma caro segno ti sarà la gioia della vita: Avrai tu la tua fiera ben ricca di ricordi, avrai la festa tua le tue emozioni, i dolcissimi giorni memorabili che vorresti rivivere. Il passato non puoi afferrarlo quando più ti piace: Stringerai ancora nella mano robusta d’uomo quello che strinse quando quello che da ogni fiera tornava a casa con un dono nella tenera mano pargoletta: era quella la festa che diletta tornerà nei tuoi amabili pensieri.

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