L’importanza della cultura “inattuale”

di Antonio Errico

Tutte le volte che gli accade di ritrovarsi fra le mani la Commedia di Dante, non riesce ad evitarsi il pensiero che si tratti di un’opera di irrimediabile inattualità. La lingua, i concetti, i contesti, impongono il ricorso a commenti accurati, richiedono la decifrazione di riferimenti storici che sono complessi, tramati di implicito, pretendono una tensione interpretativa che non gli consente di distrarsi neppure un istante. Si rende conto che non può restare nel mondo in cui vive; finchè si confronta con quelle terzine non ci può restare. Non può avere i pensieri che ha solitamente, le consuete categorie, le visioni del mondo, della storia, della vita che ha acquisito, gli stessi concetti di giusto ed ingiusto, di bene e di male, di verità e di finzione. Forse deve anche rinunciare alle idee di letteratura, di poesia, di arte che ha maturato. Deve staccarsene, inevitabilmente. Deve lasciarsi portare in un altro universo, lontano, estraneo, inattuale. Deve accettare il compromesso di non comprendere tutto fino in fondo, a volte di non comprendere neppure una parte.

Allora si dice che probabilmente è proprio la condizione di inattualità che trasforma un’opera in opera d’arte. E’ il suo sottrarsi alle coordinate storiche anche se su di esse si fonda, è la pluralità e la specularità dei suoi significati, il loro costante rigenerarsi, la loro penetrazione in situazioni sociali e culturali diverse, il loro costituirsi come modello di esperienza, metafora, archetipo.

Tutte le volte che gli accade di ritrovarsi fra le mani la Commedia di Dante, avverte la sensazione che l’assoluta inattualità costituisce il motivo della grandezza.

Certo, si ripete che non riesce a comprendere tutto, a volte non comprende nemmeno in parte, si lascia disorientare agli infiniti incroci, si lascia meravigliare dalla musica superba, dall’incanto della geometria, dall’ondulazione dei versi. D’altra parte, non si può chiedere ad una musica di essere attuale. Non c’è attualità in Mozart, in Beethoven, in Bach. Non si può chiedere ad una pittura di essere attuale. Non c’è attualità in Michelangelo, in Caravaggio, Van Gogh. Non ce n’è in Omero, in Shakespeare, in Goethe. C’è tutta l’inattualità possibile, che a volte può essere l’avamposto dell’immortalità.

Forse l’inattualità dell’ opera d’arte dovrebbe insegnarci a ricercare gli elementi di inattualità nell’attuale. Non ai fini della scoperta dell’immortalità di quello che ci circonda, ma semplicemente per capire quale possa essere la sua durata.

Ogni giorno ci si ritrova davanti a qualcosa di nuovo, di attuale: un oggetto, una parola, una proposta, un prodotto, una teoria, un metodo, anche un’idea. Ogni giorno si dismette qualcosa che solo il giorno prima era nuovo, insostituibilmente attuale. Anche una nuova idea: quella per la quale si era giurato di non smettere di crederci mai.

Così siamo costantemente accerchiati, assediati dal nuovo, dall’indiscutibilmente, inesorabilmente attuale. Rispetto a quell’attuale investiamo energie di pensiero, di azione, di economie. Poi di quell’attuale poco dopo resta solo uno stinto ricordo e la dissipazione dei pensieri, delle azioni, delle economie.

Allora dobbiamo imparare a capire quali sono le cose del sempre nuovo attuale che possano assicurare una qualche durata nel tempo. Forse per questo ci serve ragionare sulla Commedia di Dante, anche se ovviamente rappresenta soltanto un esempio. Si può ragionare anche in maniera assolutamente banale, chiedendosi, per passatempo, la ragione per la quale riesce a significare nella sua inattualità. Sempre banalmente si potrebbe rispondere che la sua ininterrotta significazione è determinata dal fatto che non si mai riusciti a capire i significati nella loro profondità, la logica originaria che attiva i meccanismi di funzionamento. Oppure sono riusciti a capirli gli studiosi, forse, ma gli altri, quelli che si lasciano sopraffare dalla musica, che si perdono nelle forme della geometria, non possono fare altro che aggiungere domande alle domande quando si ritrovano al cospetto di quella maestria. Molte stratificazioni restano impenetrabili; molte altitudini irraggiungibili; restano molti enigmi. Resta tutta la sua maestosa inattualità.

All’uomo che quando si ritrova fra le mani la Commedia, inevitabilmente pensa alla sua inattualità, qualche giorno fa hanno regalato uno smartphone dell’ultima generazione, assai prossima alla generazione a venire, quindi di incontestabile e incontenibile attualità.

Dopo poco più di un’ora aveva esplorato il menù, aveva capito perfettamente come funziona l’apparecchio, si era anche divertito con i giochini che gli occhieggiavano dal dekstop. Cominciava ad annoiarsi. Dopo poco più di un’ora avvertiva il desiderio di uno smartphone più nuovo, più attuale di quello che era diventato di un’attualità superata nel tempo di neppure un’ora e mezzo.

Dovremmo imparare a scoprire l’inattualità dell’attuale, cioè quello che dura oltre il presente che corre, che può andare oltre le mode, che può proporre significati da adottare nella nostra conoscenza, nella nostra esperienza.

Innumerevoli sono i libri strillati come di grande attualità di cui non è rimasta traccia nella storia o di cui è rimasta solo traccia irrilevante. La Commedia era inattuale già nel Trecento: perché nel Trecento rappresentava quello che sarebbe accaduto nel 2018, quello che accadrà nel 2030, e dopo ancora.

Nell’attuale con cui costantemente ci confrontiamo coesistono elementi profondi ed elementi superficiali. Si deve imparare a distinguere, per non farsi sedurre e imbrogliare dal superficiale.

Non è facile capire quale sia davvero il livello delle nostre competenze rispetto a questo argomento. A volte si ha l’impressione che ci si lasci intontire dalla grancassa battuta dalla banda dei vecchi e nuovi media di massa, dal vociare dei social, dal cianciare assordante delle chat.

Dovremmo imparare a distinguere, a capire. Soprattutto quando quello che si definisce attuale riguarda i fatti della cultura, perché quelli sono fatti che determinano la sostanza di una civiltà.

Quando in poco più di un’ora, l’uomo ha scoperto tutto quello che c’era da scoprire sullo spartphone dell’ultima generazione, quando ha sentito la noia crescergli dentro, ha preso a rigirarsi fra le mani la Commedia di Dante. Ancora più incuriosito, ancora più affascinato dalla sua irreparabile e stupenda inattualità.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 14 settembre 2018]

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