Dopo l’ultima catastrofe

di Ferdinando Boero

Il vento ha spazzato via migliaia di abeti, abbattuti come fuscelli. Intere foreste sono state spazzate via. Si leva pressante la richiesta degli amanti della natura: ripiantiamole subito, facciamo in modo che non ci vogliano secoli per ricostituire quel che la natura ha cancellato in pochi secondi. Il rimboschimento è una pratica molto diffusa e le foreste italiane ne sono spesso il risultato, soprattutto quelle di conifere: pini e abeti. 

I rimboschimenti massivi prevedono la messa a dimora di migliaia di piccoli alberi, tutti della stessa età e, spesso, della stessa specie.Quella moltitudine di alberi cresce e, tutti assieme, gli alberi invecchiano. Sono piantati ben vicini gli uni agli altri, e quando crescono non permettono che ne arrivino altri. Nelle foreste naturali gli alberi hanno età differenti e sono spesso di specie differenti. I vecchi muoiono e cadono, liberando spazi che sono colonizzati da giovani alberi, e la foresta non è fatta di individui tutti della stessa età e della stessa specie. 

In Bavaria una foresta di abeti è stata devastata da un parassita. Non dal vento, come da noi, ma il risultato è stato identico. Migliaia di alberi sono caduti al suolo: un’ecatombe. 

I gestori della natura bavarese hanno fatto una scelta coraggiosa: non han fatto nulla. Incuranti delle pressioni di chi voleva la foresta entro brevissimo termine, hanno lasciato che la natura facesse il suo corso. Gli alberi caduti sono rimasti al loro posto, e hanno contribuito alla formazione di humus. Poi sono arrivate le piante colonizzatrici, è iniziata una successione ecologica. Le specie pioniere hanno aperto la strada alle altre e il bosco ha ripreso forma. Prima come boscaglia e poi sono arrivati i grandi alberi. Lo sappiamo che le cose stanno così: i terreni abbandonati dagli agricoltori presto ridiventano bosco, e sono colonizzati da una ricca fauna, con la ricostituzione delle piramidi alimentari, al cui apice arriva il lupo e, magari, anche linci e orsi. 

Una foresta artificiale, formata attraverso rimboschimento, non è come una foresta naturale, formata attraverso una successione ecologica. Chi vuole la foresta “subito” non conosce i ritmi della natura e la vuole soggiogare ai propri desideri. Magari, poi, ci potrebbero essere anche interessi economici: rimboschire costa molto e fa guadagnare molto. Far fare il lavoro alla natura non costa nulla e, quindi, nessuno guadagna soldi da questa attività. 

Vengono in mente i costruttori intercettati dopo il terremoto de L’Aquila: non ridevano dei morti, no, ridevano al pensiero degli affari che avrebbero fatto con i soldi destinati alla ricostruzione. Il terremoto diventa un business molto redditizio, per qualcuno. E anche i rimboschimenti. 

Le case non ricrescono da sole, ed è giusto ricostruirle, magari meglio di quanto non abbiano fatto i costruttori del passato. Ma i boschi sì, i boschi ricrescono, si ripopolano. La natura si riprende quel che le viene tolto, lo fa molto meglio di quanto possiamo fare noi, con l’intenzione di restituirglielo. 

Prima di cedere al fervore del restauro ambientale con il rimboschimento sarebbe bene fare un salto in Baviera per vedere il risultato del “non far niente”. Non sta ricrescendo la stessa foresta di un tempo. La foresta abbattuta, se naturale, si è sviluppata sotto certe condizioni climatiche. Ora le condizioni sono cambiate, il clima è diverso. La nuova foresta sarà ricostruita da un insieme di specie che si adatterà al clima in cui si troverà a crescere. In ecologia questo si chiama proprio “climax” e significa armonia tra la componente vivente e il clima prevalente. Un clima che sta cambiando rapidamente e a cui le foreste di oggi, quelle mature, non sono adattate. Ripiantarle perché le loro caratteristiche siano identiche a quelle del passato sarebbe un errore. 

[“Il Secolo XIX” del 5 novembre 2018]

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