Un’ammenda per un’ammenda

di  Evgenij Permjak

Un altro caso accadde con un sottufficiale di polizia. Diavolossaev riusciva a trovare il modo per contrastare ogni sopruso. Era molto abile a difendere un poveraccio dalla polizia.

Ascoltate…

Un larice dalle nostri parti viene considerato una pianta-regina. Ne crescono certi giganteschi che con uno solo è possibile costruirsi la metà di un’isba. L’unica cosa è che la scure dev’essere affilata spesso. Perché un larice è duro-duro, come una pietra. Però, per centocinquanta anni almeno, non viene intaccato né dall’umidità, né dalla muffa. Per la fila inferiore delle rotonde travi portanti, incastrate agli angoli dell’isba, un larice è la pianta perfetta! Non è necessaria una particolare accortezza: è sufficiente mettere queste travi direttamente sul terreno e la costruzione durerà a lungo, senza creare problemi agli abitanti della casa per molte  generazioni.

Pensò bene, quindi, un povero cristo – un operaio delle miniere d’oro – di sistemare sotto la sua vecchia isba una nuova fila inferiore di travi di larice. La faccenda accadde nei nostri vasti boschi di Tagil. Dunque, quest’uomo riuscì ad abbattere un larice, lo divise in ceppi da travi e caricò il tutto su un carro per portarlo via, ma ecco comparire una guardia forestale.

Arrivò e si mise a dire all’uomo che quel bosco apparteneva all’erario della corona e che senza il pagamento dell’ammenda, non lo avrebbe lasciato libero. L’ammenda era di una tale entità che, se anche il poveraccio avesse venduto ogni suo bene, non sarebbe bastato per coprire la metà della somma richiesta. In quegli anni le guardie forestali erano assai abili e svelte a multare esosamente. Una mano lavava l’altra, insieme alla polizia. Cinquanta copechi consegnavano all’erario e altri cento rubli se li mettevano in tasca. E così ingrassavano.

La guardia forestale portò il nostro povero cristo dal sottufficiale di polizia, cosicché fosse lui a farsi dare la somma dell’ammenda.

A lungo il sottufficiale di polizia tormentò il poveraccio, cercando con ogni sorta di minaccia di spaventarlo. Per farsi dare almeno qualche moneta d’oro, provò di tutto. L’uomo invece continuò con la sua linea: «Non ho neanche un soldo bucato. Non ho di che pagare.»

«Se non hai di che pagare, allora vai dritto dritto in gattabuia.»

Finì in galera il pover’uomo. Sua moglie levò lamenti per tutta la miniera. Non c’era da scherzare, sette figli aveva attorno al tavolo e l’ottavo stava nella culla. E la farina per il pane era agli sgoccioli, appena appena sarebbe bastata sino all’arrivo dei primi geli. La gente del vicinato, naturalmente, si mise a consolarla. In qualche maniera cercò di aiutare la povera madre disgraziata. Chi portava qualche uovo, chi le frattaglie del gallo cedrone e chi non poteva dare niente, arrivava semplicemente con un buon consiglio.

Gli uni le consigliavano di scrivere una supplica al governatore. Gli altri di andare in pellegrinaggio a Verchoturje, nella chiesa del Pio Simeone per accendergli una candela. Le diedero un sacco di consigli e tutti erano sinceri, con tutta la bontà dell’anima. C’era pure una vecchina, una povera accattona, che non smise di ripeterle: «Ascolta me, giovane donna… Vai, vai a lagnarti e a dire come stanno veramente le cose a Diavolossaev. Lui sì che tirerà fuori dalla galera il tuo uomo. Lo tirerà fuori, vedrai, eccome…»

La povera donna sarebbe stata felice di farlo, ma dove cercarlo? Il bosco è vasto, per centinaia e centinaia di verste si estende tutt’attorno.

Passarono alcuni giorni e Diavolossaev in persona arrivò da lei per conto suo. La donna, però, non lo aveva mai visto prima.

«Chi sei, strano uomo» – domandò, – «da dove sei venuto?»

E Diavolossaev a lei: «Da dove sono arrivato, non è importante. Raccontami meglio, donna, tutta la faccenda. Perché tuo marito è finito in gattabuia? E non aver paura. Io sono chiamato da tutti Diavolossaev.»

Si mise ad esclamare la donna ‘ah’ e ‘oh’, per poco non cadde dalla panca dallo stupore. Ed intanto pensava: «Il mio pane e il mio sale offerti col cuore alla vecchina-accattona, nonostante la mia povertà, hanno fatto di certo un buon servizio.» Con ciò cadde ai piedi di Diavolossaev: «Caro, carissimo Diavolossaev, aiutami, ti supplico, non lasciarmi sola nella disgrazia!…»

Si mise a raccontare, piangendo disperatamente, con tanti particolari inutili, il nocciolo della questione, che invece era assai semplice.

Chi voleva e quanto voleva rubava a più non posso il legname del bosco appartenente all’erario della corona, però i ladri non si trovavano mai. Così la guardia forestale con il sottufficiale di polizia, avevano pensato bene di acchiappare almeno un ladro. Ne acchiapparono uno solo, un capro espiatorio.

Era proprio questo che Diavolossaev voleva sapere. Non appena lo sentì, salutò la donna disperata e andò a verificare la veridicità del caso nel bosco dell’erario della corona. Non dovette cercare a lungo le prove per dimostrare l’appropriazione indebita. Dappertutto nel bosco dell’erario ladri boscaioli abbattevano alberi. Portavano il legname, come se niente fosse, dal bosco a lunghi convogli. La guardia forestale chiudeva entrambi gli occhi, il sottufficiale di polizia, invece, non si accorgeva di nulla. Ottimamente fruttava loro il profitto. Un larice un rublo alla radice, un pino cinquanta copechi. Ancor meno si facevano dare quei due per un abete.

Diavolossaev constatò il misfatto e andò a trovare il sottufficiale di polizia a casa sua.

«Salve, sua signoria… Felice di vederti in buona salute… Sai, stavo seguendo dei ladri del bosco e le impronte mi hanno portato dritto dritto a casa tua… Cosa facciamo: rispettiamo la legge o risolviamo la faccenda secondo la buona coscienza?»

L’ufficiale di polizia si spaventò. Cercò di scodinzolare, furbastro, come una volpe, per spazzare via le tracce. Ma un cacciatore, come Diavolossaev, non era possibile imbrogliarlo.

«Non mi rovinare, Diavolossaev, ti prego… Lo sai bene che salario da fame ci danno… Abbi pietà… Sono pronto a compensarti con ogni cosa…»

«Non mi serve nulla di tuo» – disse Diavolossaev. «Restituisci piuttosto il maltolto. E se non lo fai – non lamentarti, dopo…»

Non passò neppure un giorno. Si trascinò la vecchia volpe sino alla vecchia isba nei pressi della miniera d’oro e si mise a fare moine, per persuadere con dei regali la povera donna: «Ti ho portato, cara, un grosso sacco di farina e anche un bel prosciuttone. Il cuore non mi sta a posto, duole forte per te, i tuoi bambini e il tuo uomo. E’ la coscienza che non mi dà pace, mi rode.»

La moglie del minatore stentava a credere ai suoi occhi. Un angelo era arrivato, non un poliziotto. Cosa mai gli era successo? Forse la sua coscienza si era messa a parlare, davvero… Ma subito comprese. E non appena comprese, raddrizzò la schiena, afferrò un forcone che usava per mettere le pignatte nel forno e disse: «Noi due, con Diavolossaev, non ci compri con un sacco di farina e un prosciutto. Restituiscimi subito il marito! Se no…»

E cosa intendeva con “se no”? Non lo sapeva neppure lei stessa. Lo sapeva invece bene l’ufficiale di polizia. Tirò fuori dalla tasca e mise sul tavolo l’intera somma dell’ammenda e strisciò fuori dall’isba, come una biscia.

La moglie pagò l’ammenda del marito. Il minatore uscì presto dalla galera e la prima cosa che fece, fu andare nel bosco in cerca di Diavolossaev per ringraziarlo. Ma, invece di Diavolossaev, incontrò la guardia forestale, che stava abbattendo i larici e stava ricavandone delle belle travi per la costruzione di una casa.

«Per chi stai facendo una reggia del genere?»

«Non dirmi che non lo sai!» – ribatté la guardia forestale. «E se non lo sai, davvero, è meglio che lo chiedi all’amico tuo, Diavolossaev.»

Il minatore non riuscì a domandarlo a Diavolossaev. Da sé riuscì a sapere per chi venivano abbattuti i larici e si stavano preparando le travi: quando diventarono la sua bella casa a cinque mura.

Alla festa d’inaugurazione della nuova casa venne anche Diavolossaev. Guardò la casa attentamente, dall’uscio alla trave maestra del solaio di legno e ne rimase soddisfatto e contento. Passò appena una giornata di festa insieme ai padroni di casa ed andò via di nuovo, non si sa dove.

E’ sempre così: se lo cerchi, non lo trovi, quando meno te lo aspetti, arriva.

[in Favola e realtà degli Urali. Traduzione dal russo di Tatiana Bogdanova Rossetti]

Questa voce è stata pubblicata in Favole, fiabe e racconti di Evgenij Permjak, I mille e un racconto e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *