Italia pensante 5. Angelo Tamborra e il Machiavelli polacco

di Andrzej Nowicki

Il mio primo vero incontro con Angelo Tamborra (1913-2004), voglio dire incontro col suo pensiero, ha avuto luogo stamattina, 31 marzo 2007, sessant’anni dopo i nostri incontri a Roma e tre anni dopo la sua morte. Sfogliando i quotidiani varsaviesi ho visto un articolo di un professore polacco, Jerzy W. Borejsza, storico dei regimi totalitari attivi nel ventennio tra le due guerre mondiali, che ha fatto ricerca negli archivi italiani, tra cui quello del Ministero della Cultura Popolare, creato nel 1937. In quest’articolo ricorre il ricordo di una conversazione col suo amico italiano Tamborra, noto nel mondo come storico dell’Europa orientale.

Tamborra, nonostante gli incontri e le conversazioni negli anni 1945-1946, 1965 e 1975, non era tra i miei amici, piuttosto tra i miei avversari. Ma, avendo a casa un libro, nel quale siamo compresenti come autori, nel Convegno italo-polacco a Nieboròw, io con Vanini e lui con Warszewicki, mi sono deciso di rileggere il suo saggio per valutarne il valore. Il tempo che ho messo a leggerlo non è andato perduto. Il saggio di Tamborra è senza dubbio serio, erudito, intelligente, di alto livello scientifico. Ma non condivido la sua ammirazione per il polacco Warszewicki come lui non condivideva la mia ammirazione per l’italiano Vanini. Rispetto Tamborra come studioso, ma lo ritengo un mio avversario nell’interpretazione dei problemi del Cinquecento.

Krzysztof Warszewicki (1543-1603) fu un nobile polacco, servì come paggio presso l’imperatore Ferdinando I d’Asburgo; lo troviamo poi a Londra alle nozze di Maria e Filippo II.

Quale Maria? Tamborra scrive: “Maria Stuarda” (1542-1587), confondendola con Maria Tudor (1516-1558). La Stuarda infatti sposò il delfino francese Francesco II; mentre fu la Tudor a sposare nel 1554 il re di Spagna Filippo II. Tra parentesi, correggendo questo errore, rimando a cosa dice Vanini de Marianis temporibus, cioè del regno di Maria la Sanguinaria, nel dialogo 50 del De Admirandis (1616, pag. 357). Confondere i cognomi Stuart e Tudor posso perdonarlo, ma ritengo peccato imperdonabile non leggere Vanini.

Poi Warszewicki fu studente a Lipsia, Wittenberg, Napoli, Roma, Ferrara e Bologna (dal 1557 al 1559). All’età di 34 anni era già noto come esperto di politica. Tamborra cita un giudizio espresso su di lui dal nunzio apostolico in Polonia Vincenzo Laureo in una lettera scritta dalla Polonia al cardinale di Como, ministro, segretario di stato del papa Gregorio XIII: “persona letterata, eloquente, ardita, molto cattolico e costante” (Skierniewice, 12.9.1574). Warszewicki divenne un esperto dell’imperatore Massimiliano alla sua corte di Ratisbona e dal 1577 fu al servizio del re di Polonia Stefano Batory (re dal 1576 alla morte nel 1586).

Per la storia della cultura Warszewicki è importante anzitutto come autore del libro De Legato et Legatione Liber (1595), grazie al quale è considerato il “Machiavelli polacco”.

Le sue principali fonti sono cinque: Machiavelli, Guicciardini, Ermolao Barbaro, Alberico Gentili e Torquato Tasso. I prestiti sono evidenti, ma Tamborra giustamente osserva che in quel tempo non si esigeva dagli scrittori l’originalità. Del resto ciò che scrive proviene solo parzialmente dalle sue letture, in gran parte dalle proprie osservazioni ed esperienze politiche e diplomatiche.

Per Tamborra Warszewicki è “uno degli spiriti più aperti del Rinascimento polacco ed europeo” (pag. 159). Sembrano parole di un amico della Polonia, per le quali noi polacchi dovremmo essergli riconoscenti. Eppure io, come polacco e studioso che ammira il Rinascimento, non posso accettare un simile giudizio, che ritengo palesemente falso.

Warszewicki è certamente uno scrittore insigne e illustre, uno dei maggiori, ma chiamarlo “spirito del Rinascimento” è prova che Tamborra non sa che significhi la parola “Rinascimento” e non è capace di capire la fondamentale differenza tra “Rinascimento” e “Controriforma”. Il suo concetto di Rinascimento è povero e piatto, ridotto a saper servirsi del buon latino e di citare gli scrittori dell’antichità. La riduzione del Rinascimento alla forma letteraria non consente di cogliere le differenze del contenuto. Sprezzando il contenuto rivoluzionario dei liberi pensatori del vero Rinascimento, sottovalutando l’attività controrinascimentale della Controriforma (indice dei libri proibiti, condanne di pensatori al rogo), si inserisce i retrogradi e i controrivoluzionari, gli inquisitori, i carnefici e i loro servitori nell’illustre “Repubblica letteraria degli Uomini del Rinascimento”.

Tamborra sa bene chi era stato Warszewicki e in altra parte del libro esalta la sua “profonda religiosità”, lo definisce “un operante spirito cristiano”, ne mette in rilievo gli “ideali della Controriforma, dei quali è indubbiamente partecipe ed anche protagonista” (pag. 177). Ma non ne coglie la contraddizione, come se fosse possibile appartenere ad una volta tanto al Rinascimento quanto alla Controriforma.

Sorge una domanda: inserendo gli uomini della Controriforma nella cerchia degli uomini del Rinascimento sanno gli storici che i pensatori del vero Rinascimento sono stati arsi sul rogo o non lo sanno? Certo che lo sanno.

Tamborra, credendosi un Amico della Polonia, non s’accorge che, esaltando la religiosità polacca, offende la nostra nazione. Spiegando l’adesione del Warszewicki “agli ideali della Controriforma cattolica” scrive che questa adesione “giunge a lui dalle profondità della vita storica della Polonia, per la quale la componente religiosa si è identificata col suo stesso emergere come nazione (pag. 177). Ma centinaia di scrittori messi dalla Chiesa cattolica negli indici dei libri proibiti non appartenevano alla stessa nazione? Chi dà al Tamborra il diritto di giudicare che solo i retrogradi formano la nostra nazione?

Nella seconda metà del Cinquecento la Polonia fu dal punto di vista religioso tanto diversificata in cattolici, luterani, calvinisti, sociniani, decine di diverse comunità protestanti, ortodossi, ebrei, liberi pensatori, atei, che i cattolici divennero una minoranza e poco mancò che si verificasse un cambiamento simile a quello avvenuto in Svezia, nei paesi tedeschi e in Inghilterra.

In queste lotte religiose vinse la Controriforma ma il prezzo pagato per la vittoria fu disastroso: distruzione della cultura rinascimentale (come in Italia secentesca) e regresso della vita culturale per due secoli.

Durante lo stesso Convegno a Nieboròw (maggio 1965), dopo la mia relazione su Vanini, usciti i convegnisti in giardino per una pausa, uno dei professori italiani disse: “ecco, si avvicina Nowicki, al quale piacciono i pensatori arrostiti!”.

Ciò che voleva irridermi, lo potrei perdonare e dimenticare, ma egli – credendosi un buon cattolico – offese la memoria dei martiri del libero pensiero, la memoria di Grandi Italiani.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVI,  n. 12 – Dicembre 2018, p. 10]

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