Ital(i)eni 11. Trivelle sì trivelle no. Sul referendum del 17 aprile 2016

di Paolo Vincenti

Lo strumento referendario mi dà di che essere scettico, per due ragioni opposte: la prima è che ritengo si sia abusato, nel nostro Paese, di questo pur importante strumento di democrazia diretta, svuotandolo di fatto di valore; voglio dire, non si può ricorrere ad ogni piè sospinto alla consultazione popolare ed il governo e i partiti politici devono prendersi il coraggio, assumersi le responsabilità di decidere, cioè di svolgere a pieno il mandato che gli è stato dato dagli elettori. La seconda ragione riguarda il fatto che a volte il Parlamento non dà esecuzione alle decisioni uscite dalle urne, lasciando il dettato dei referendum lettera morta, sbeffeggiando così non solo i vari comitati che si sono spesi per raggiungere il numero di firme necessarie alla presentazione, ma anche i cittadini che sono andati a votare. In molti casi, i referendum si sono rivelati delle occasioni mancate. Può poi succedere che il referendum stesso non raggiunga il quorum, come previsto dall’art.75 della Costituzione, cioè il 50 % dei votanti, affinché esso sia valido. Non poche volte gli elettori hanno disertato le urne, vuoi perché del tutto disinteressati ai quesiti posti, vuoi per scarso senso civico, vuoi per una pessima campagna di informazione e sensibilizzazione. Certo, se chi è al governo prima di tutto e poi le varie forze politiche spingono gli elettori a lasciar perdere, la frittata è fatta, è chiaro che il referendum non raggiungerà il quorum. Hanno voglia le associazioni promotrici a scalmanare, a spargere volantini come coriandoli per le strade e le piazze, ad organizzar convegni e improvvisare raduni, a gridare ai quattro venti le ragioni di un sì o un no. La gente non va a votare. Anche in questo caso, dunque, c’è da chiedersi: funzionerà la consultazione popolare del 17 aprile? Porterà al risultato sperato? Il dubbio viene, dal momento che lo stesso Pd, il maggiore partito italiano, è lacerato al suo interno e diviso fra coloro che sono a favore del referendum (in particolare i presidenti di regione) e coloro che sono contrari (il gruppo dirigente nazionale). Per quanto io non riesca a farmi contagiare dalla febbre da referendum, in questo caso è diverso, e credo che il popolo italiano, e salentino nella fattispecie, abbia il 17 aprile una buona opportunità per esprimere il proprio parere e dare una sterzata alle dissennate politiche energetiche messe in campo da questo governo come da quelli che lo hanno preceduto. Il 17 aprile 2016, infatti, votando sì al referendum, si porterebbe (il condizionale è più che mai d’obbligo, dato quanto premesso) all’abrogazione della norma che prevede che le società di produzione possano estrarre gas e petrolio nelle loro stazioni marine senza limiti di tempo. Quando scadranno le concessioni, verranno fermati i giacimenti in attività nelle acque territoriali italiane, anche se c’è ancora gas o petrolio. Votando no, invece, le compagnie continueranno ad estrarre fino all’esaurimento naturale di quei giacimenti. Le trivelle sono impiantate a 12 miglia dalla costa. Le associazioni ambientaliste sono spaventate dagli effetti potenzialmente devastanti che potrebbe avere l’inquinamento petrolifero per i nostri fondali, dalle catastrofi (ma il rischio è remoto) per la bellezza e l’attrattiva del nostro mare. La posta in gioco è davvero alta e riguarda il nostro futuro. Dovremo cioè decidere se continuare ad alimentare questo Paese soltanto con le fonti fossili o invece anche con le energie rinnovabili. 

Anche se mi viene da ridere quando vedo amici e conoscenti postare sui social foto con le nostre meravigliose spiagge attaccate dalle trivelle, per il semplice fatto che ciò non può essere (trovandosi le stazioni petrolifere a 12 miglia di distanza, sono ben lontane dalle paperelle dei marmocchi che giocano in acqua con i loro genitori); anche se, appunto, non riesco a scrivere slogan più o meno arrabbiati e a prendere posizione in ogni pubblico consesso in cui mi trovi, condivido pienamente le ragioni del sì.  L’Italia avrebbe bisogno di un cambiamento epocale, che possa puntare sulle fonti di energia pulita perché, oltre ad essere potenzialmente dannose, sappiamo benissimo che le fonti fossili sono destinate ad esaurirsi col tempo. Il governo invece preferisce pervicacemente continuare ad utilizzare gli idrocarburi, sostenere le trivelle, senza avere alcuna idea dello sviluppo futuro del paese, del destino dell’ambiente e dei nostri discendenti. Basti pensare al decreto spalma-incentivi (poi legge) del 2014, che ha tagliato l’incentivo statale precedentemente accordato alle industrie del fotovoltaico mettendo in ginocchio un intero settore, perché la maggior parte delle aziende coinvolte ha investito nella produzione di energia verde sulla base di contratti ventennali, quindi di accordi che si credevano più che sicuri, blindati, in quanto presi con un partner solidissimo come lo Stato, e che sono stati vergognosamente disattesi. Lo Stato cioè non ha mantenuto la parola data ai suoi cittadini. Basti dunque sapere di questa legge, per capire che il governo vuole bloccare la crescita delle rinnovabili, mortificare chi ha creduto nell’energia verde investendo tanti denari, ed oscurare un futuro di eco sostenibilità. È importante dunque votare sì, anche perché il referendum non sia un inutile spreco di denari pubblici come le compagnie petrolifere e i detrattori dell’energia rinnovabile sperano.

MARZO 2016

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