I racconti di Walter Benjamin

di Antonio Prete

Benjamin è un narratore consapevole che l’arte del raccontare è da tempo al tramonto. La ragione di questo declino è la caduta dell’ oralità, dei rituali che l’accompagnavano, e insieme la perdita di un’attitudine, quella di scambiarsi esperienze. Nelle Considerazioni sull’opera di Leskov Benjamin evoca le due figure “arcaiche” che hanno alimentato la narrazione orale :  l’agricoltore sedentario, che nella sua stanzialità custodisce e tramanda tradizioni e storie della propria terra, e il mercante navigatore, che venendo da lontano ha molto da raccontare. Da queste figure si generano due forme del narrare, una incline a raccogliere memorie, l’altra intenta a rievocare avventure di terre lontane. Due linee che già in epoca medievale si compenetrano : l’artigianato, il sistema delle arti, la bottega permettono di preservare e trasmettere  un universo complesso di storie.  La narrazione orale, osserva ancora Benjamin,  è diffusa in una società nella quale è forte il senso dell’ascolto, la sapienza dell’ascolto. Anche questa disposizione è da tempo in declino.

È nel cerchio di questa consapevolezza intorno al declino dell’oralità e dell’ascolto che prende forma la scrittura narrativa di Benjamin. Quasi una resistenza, dal margine del racconto breve, a questa doppia crisi. E allo stesso tempo un esercizio che accompagna l’ esperienza di lettore, un lettore cha va esplorando le regioni più feconde della narrazione letteraria, prima tra tutte la Recherche di Proust, di cui si fa per alcune parti traduttore.  La felice disposizione di Benjamin al narrare non nasce solo da questo intimo colloquio di traduttore, o  dalla frequentazione del romanzo francese, tedesco e russo dell’Ottocento, o dal rilievo forte che assume nella propria riflessione critica l’esperienza narrativa di Goethe e quella di Kafka, ma ha radice soprattutto in un’attitudine che è una certezza : narrare vuol dire tenere vivo nel lettore il senso della lontananza, che è lontananza sia nel tempo sia nello spazio. Senza questa lontananza il vissuto è privo di vita, il reale è inerte, il visibile chiuso in una sua opacità. Inoltre, narrando, si tratta di non spegnere del tutto quella certa infantile disposizione all’ incantamento: “Il primo e vero narratore è e rimane quello di fiabe”, scriverà ancora nel saggio su Leskov. Quanto poi alla memoria – che è ritmo stesso del narrare, come era sostanza dell’ epos antico – occorre prendere atto che se nel romanzo, erede per certi aspetti di quell’antico epos, essa è tesa alla costruzione del personaggio, non più eroe epico ma individuo, nel racconto invece si modula in forme per dir così profane, quotidiane, anche disperse, di breve durata, e tuttavia dilettevoli. È infatti un ricordo, spesso un singolo ricordo, che genera la situazione evocata, un ricordo staccato dal tempo continuo dell’esperienza vissuta :  è questo ricordo che si anima prendendo luce, voce, ritmo, distendendosi in paesaggio e in sequenza di accadimenti dinanzi all’ascoltatore.

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