Di mestiere faccio il linguista 5. La “turismite”

di Rosario Coluccia

Il «Giornale dell’arte» è un mensile che si occupa di informazione, di cultura, di economia e, come il titolo esplicitamente dichiara, di arte. Mi colpisce un titolo della prima pagina di giugno: «Allarme mondiale. Pandemia di turismite», sormontato da una foto per certi versi impressionante. Vi si vedono centinaia, forse migliaia, di turisti che si accalcano, muniti di cellulari fotografanti e di macchine fotografiche, tra i megaliti di Stonehenge, il sito neolitico inglese datato tra quarto e secondo millennio prima di Cristo, composto da un insieme circolare di imponenti blocchi di pietra eretti, sormontati da altrettanto colossali elementi orizzontali (Stonehenge significa ‘pietra sospesa’, da stone ‘pietra’ e henge connesso con hang ‘sospendere, appendere’). Il sito fa parte della lista dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO, attualmente è meta del turismo di massa e inoltre luogo di pellegrinaggio per i seguaci del celtismo e di altre religioni neopagane. Ogni anno, al solstizio d’estate (21 giugno), una folla di persone misticheggianti aspetta tutta la notte che sorga il sole.

La parola turismite che è nel titolo del mensile non ricorre nei vocabolari dell’italiano: si tratta di una neoconiazione, di un vocabolo nuovo. È formata applicando a turismo il suffisso –ite che in medicina, aggiunto a sostantivi, dà origine a vocaboli che indicano un processo infiammatorio di un tessuto o di un organo, insomma una malattia: dermatite, nefrite, pleurite, polmonite. Nel nostro caso indica quindi un turismo malato, patologico. Non ne è affetto solo quel sito neolitico, il fenomeno ha dimensioni mondiali: «pandemia di turismite», appunto, senz’altro più efficace del possibile equivalente inglese «overtourism» ‘eccesso di turismo’ (troppo blando). La pandemia coinvolge località notissime da sempre e anche luoghi che solo da tempi più recenti attraggono l’attenzione del grande pubblico. Masse enormi si accalcano sulla grande muraglia cinese, ogni anno oltre un milione e mezzo di visitatori si inerpica sui sentieri della cittadella inca di Machu Pichu, nella rambla di Barcelona in certi momenti la calca è tale che non si riesce a muovere un passo, sull’Everest sono state recentemente recuperate 8,5 tonnellate di spazzatura, plastica e residui di ogni genere, ma il via vai degli escursionisti continua a lasciare rifiuti su quello che eravamo abituati a considerare il tetto incontaminato del mondo.

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