Ricordo di Carlo Caggia

di Gianluca Virgilio

Ieri non è stato un buon Ferragosto. Alle tre di notte, mentre tutti dormivamo, Carlo Caggia ci ha lasciati. La lunga malattia ci aveva preparati a questo esito, e tuttavia l’incredulità, lo sbigottimento, il dolore per la sua morte non sono stati minori.

Il mio ricordo di Carlo Caggia risale a trent’anni fa, quando, ancora ragazzino, di domenica mattina accompagnavo mio padre presso il suo studio d’avvocato in Corso Garibaldi. Niente consulti professionali, la domenica, i discorsi erano altri. Si doveva preparare il menabò del “Corriere”, discutere con gli amici gli articoli più importanti, commentare l’andamento della politica locale. Lo studio d’avvocato, pieno di codici e di digesti, di regolamenti e incartamenti, si trasformava nella redazione del giornale della sinistra galatinese che in quegli anni (Settanta e Ottanta) faceva l’opposizione non solo al governo cittadino, ma anche all’altro giornale di Galatina, “Il Galatino”. Carlo Caggia dirigeva il “Corriere” nelle sue varie titolazioni: “Il Corriere Nuovo”, “Corriere”, “Il Corriere”. Lo vedevi sempre con la sigaretta accesa che gli pendeva dalle labbra, da cui la staccava solo per deporre la cenere o per spegnerla. Per via delle sigarette aveva la voce un po’ rauca, ed io da ragazzino ne avrei tratto qualche motivo di timore se non fossi stato rassicurato dal suo atteggiamento franco, diretto, talvolta brusco, sempre privo di quella leziosità un po’ sospetta che spesso gli adulti riservano ai ragazzini quando vogliono conquistare la loro simpatia.

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