Di mestiere faccio il linguista 12. Un «Dantedì» per il padre della lingua italiana

Mozart, Leonardo, Dante: geni assoluti, di fama imperitura, appartengono all’umanità intera. È letteralmente impossibile enumerare le attività scientifiche, le pubblicazioni, i convegni, le mostre dedicati a Dante e alla sua opera che prendon vita in questo periodo. Alle iniziative già svolte o in atto altre si aggiungeranno, fino al culmine del 2021. Il culto di Dante ha radici antiche. Fin dai primi anni successivi alla morte dell’autore, alla Divina Commedia arride un successo straordinario, il pubblico la reclama. All’epoca non esisteva ancora la stampa, i libri erano ricopiati a mano, con tenacia e con volontà. Immediatamente riprodotta in Emilia (da dove comincia la prima diffusione), moltissimi esemplari dell’opera dantesca si allestiscono in Toscana e, in misura inferiore, anche in altre regioni, nel Settentrione e al Sud. Non esiste territorio italiano nel quale il testo di Dante non abbia fatto irruzione, sia pure con modalità e in tempi diversi: affidate a migliaia di scribi, le copie di quel libro mirabile erano rivolte a soddisfare le crescenti esigenze dei lettori, fino in remoti angoli d’Italia. L’opera ha circolato nei gangli più intimi della nostra cultura, rappresentando nei secoli un collante linguistico (letterario, culturale, ideologico) che si estende dal Trecento ad oggi e contribuisce in maniera determinante a conferire all’italiano (caso unico tra le grandi lingue europee) una evidente riconoscibilità in diacronia e una (relativa) stabilità nel tempo. Viviamo nel duemila, ma possiamo ancora leggere la Divina Commedia senza ricorrere a parafrasi o adattamenti (salvo alcuni passi particolarmente irti). Non è vero che nell’età di internet dobbiamo rinunziare al più grande poeta della nostra storia. Molti professori continuano a far leggere Dante nelle scuole (addirittura nella scuola media, l’ho constatato di persona in una media di Squinzano), spesso con risultati entusiasmanti; i ragazzi, ben guidati da docenti capaci, si appassionano.

Il «Corriere della Sera» ha proposto che Dante Alighieri abbia una Giornata a lui dedicata sul calendario. In un corsivo dello scorso 24 aprile, il quotidiano ha invitato ministeri e istituzioni varie a farsi carico della questione: fissare un «Dantedì» in vista delle celebrazioni, nel 2021, dei settecento anni dalla morte dell’autore. Il nome «Dantedì» è nato in una conversazione telefonica tra Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, e Paolo Di Stefano, il giornalista del «Corriere» che per primo ha lanciato la proposta. La neoconiazione ricalca il modello che nella nostra lingua ha dato origine ai nomi dei giorni della settimana (lunedì < lunae dies,cioè ‘giorno della luna’; martedì < martis dies,cioè giorno di Marte; ecc.). E dunque «Dantedì», cioè ‘giorno di Dante’, evitando lo scimmiottamento dall’inglese che mettiamo in atto quando parliamo di election day, family day, ecc. Ho letto con incredulità che a Taranto si sono inventati il wind day ‘giorno del vento’, per indicare che quando il vento soffia in maniera intensa i cittadini sono invitati e restare in casa e a tappare porte e finestre, per impedire che le polveri sottili di matrice industriale devastino polmoni e salute. Pura ipocrisia. Evitiamo, per favore, di edulcorare con il ricorso all’inglese fatti che dovrebbero essere crudamente qualificati nella loro tragicità, usando la lingua italiana compresa da tutti. Il wind day non è una festa, diciamo «giorno della reclusione forzata», sarà più chiaro.

La proposta di istituire il «Dantedì» ha raccolto adesioni dell’Accademia della Crusca, della Società Dante Alighieri, della Società dantesca, dell’Associazione degli italianisti, di molti importanti dantisti italiani e stranieri. Se ne è già discusso pubblicamente in varie occasioni. La più recente si è tenuta venerdì 13 settembre [venerdì < Veneris dies, ‘giorno di Venere’] a Ravenna, all’interno di «Dante 2021. Verso il VII centenario della morte di Dante Alighieri», una bella manifestazione che si svolge da alcuni anni a settembre, sotto la direzione artistica di Domenico De Martino (che organizza con capacità una manifestazione complessa) e con la partecipazione di linguisti, letterati, attori, cantanti, performer, anche banchieri ed economisti (programma al sito http://www.dante2021.it/). L’incontro del 13 settembre si intitolava: «Per il DANTEDÌ. Giornata mondiale celebrativa di Dante Alighieri»; oltre a Di Stefano e a Sabatini, vi hanno partecipato studiosi egiziani, francesi, spagnoli, tedeschi.

Qualche anno fa, un gruppo di ricerca della Facoltà di Scienze Umanistiche dell’università di Roma organizzò un’inchiesta rivolta ad individuare le opere più rappresentative della letteratura europea, dalla antichità greca e latina fino ai nostri giorni. Venne stilata una classifica degli autori e delle opere che fondano il canone della cultura europea, che per le prime sei posizioni era così costituita. Autori: Dante, Goethe, Shakespeare, Tolstoj, Cervantes, Dostoevskij. Dante non è solo italiano, Dante è universale, in modi e forme diversissime la presenza dantesca si espande nell’intero pianeta. La lista dei personaggi illustri che hanno amato Dante o a lui si sono ispirati sarebbe lunghissima e non può essere selezionata con criteri che sarebbero giocoforza discutibili. Una citazione spiega in maniera esemplare le ragioni della universalità dantesca e può valere anche per noi. Borges, vecchio e ormai privo della vista, scrisse: «Cogliere l’eterno, penetrare in un tempo senza tempo: ecco la risposta alla domanda “Perché leggere la Divina Commedia?”».

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 15 settembre 2019]

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (terza serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

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