Tra le lettere di Giuseppe Pisanelli

Caro Massari,

A quest’ora avrai piena notizia de’ mutamenti qui avvenuti. Nigra si è rivolto a Poerio, e questi ha proposto Romano. Sembra che si sia riuscito a trovare quattro consiglieri. Il posto di Scialoja si è offerto a Manna e Mauro, e poi a Pepoli di cui si attende risposta. In quanto a me mi sento come liberato da una galera, ed aspetto dal tempo quella più giusta opinione che merita l’amministrazione caduta. Nessuno ancora, neppure i nostri amici, si son fatti capaci delle immense difficoltà che abbiamo incontrate. Un governo che succedevaa Garibaldi dovea esser necessariamente impopolare e noi fin dai primi giorni siamo stati minacciati di pugnale. Eravamo senza un soldo e senza un soldato. Ora tutto è calmo: il Principe è stato accolto benissimo. I modi di Nigra e il suo contegno mi hanno fatto pessima impressione. Ad ogni modo il punto importante è quello delle elezioni. Bada per Dio per la provincia di Lecce, ove il partito mazziniano ha seguaci; ma muoviti ed opera. Aff.mo Pisanelli. 

Dopo le elezioni di fine gennaio, i deputati eletti in Terra d’Otranto si trasferirono alla spicciolata a Torino, dove a metà febbraio si sarebbe riunita la neo eletta Camera. Alcuni di loro (Giuseppe Massari, ad esempio) avevano conosciuto la città per avervi soggiornato negli anni dell’esilio, altri per circostanze diverse (Sigismondo Castromediano vi aveva soggiornato per qualche tempo nel 1859, in occasione del rientro in Italia da Londra, a seguito della rocambolesca liberazione dei patrioti che Ferdinando II aveva deciso di inviare in esilio perpetuo in America); anche Giuseppe Pisanelli e Oronzio De Donno avevano conosciuto la città sabauda negli anni Cinquanta.

Pisanelli (che era stato eletto nel collegio di Taranto, essendo stato sconfitto, in quello di Tricase, da Liborio Romano) in una lettera privata indirizzata a un amico di Napoli, oltre a informarlo sulla probabile struttura amministrativa che a suo parere – sulla base dei primi contatti avuti con deputati di altre regioni d’Italia – avrebbe avuto il nuovo Stato, gli confidò che, in molti ambienti, non solo politici, della capitale si era creato uno strano clima di “attesa” attorno alla figura di Liborio Romano. Tale “curiosità” derivava dalla conoscenza che, negli ambienti politici, giornalistici e intellettuali torinesi, si aveva dell’azione svolta da don Liberio fin dall’estate del 1860, quando aveva sventato il tentativo cavouriano, sostenuto anche da Pisanelli e Massari, di far “insorgere” la città per impedire che venisse conquistata da Garibaldi. A Torino evidentemente circolavano su Romano voci malevole su un suo “malizioso” trasformismo che lo avrebbe portato, da ministro dell’Interno del regno borbonico, a facilitare l’ingresso in Napoli di Garibaldi e ad accettare la carica di ministro dell’Interno, prima di essere cooptato nel Consiglio di Luogotenenza di Eugenio di Savoia. In sede storiografica, nell’ultimo decennio, c’è stato nel Salento un costante e proficuo impegno per dimostrare la linearità e la correttezza dell’agire politico di Liborio Romano.

L’amico napoletano a cui Pisanelli scrisse da Torino il 22 febbraio 1861 è un non meglio conosciuto (almeno da me) Carlo Capomazza; è probabile che anche questa lettera sia inedita:

Mio carissimo amico,

Mi sembrano mille anni che non vi vedo e desidero di vedervi presto, nondimeno so che pel bene pubblico vi occupate di boschi ecc. e mi rassegno. Io ho cominciato i miei lavori: ho trovato molto innanzi la disposizione della legge amministrativa. Secondo questa il nuovo regno sarà diviso in comuni, provincie, regioni; ed avremo un Gonfaloniere, un Prefetto, un Governatore, circondati da loro consigli. Le camere attendono alla verifica dei poteri, ed i nuovi deputati e senatori affaccendati per accasarsi corrono per tutte le vie e si rallegrano della mitezza del tempo. Le feste sono state, come al solito, solenni e ordinate. Con soli 60 mila franchi si possono apparecchiare in pochi dì; il che ci ha fatto ricordare di altri apparenti festini non mai compiuti. La guardia nazionale di Napoli è molto piaciuta; non so ancora che impressione abbiano fatta i nuovi membri del parlamento delle nostre provincie. Mi ha consolato però il vedere in quanta ammirazione essi abbiano preso i modi composti degli abitanti della regale Torino. Di Liborio qui vi è una curiosità infinita; lo immaginano come una cosa assai strana e direi quasi come una bestia peregrina e un mostro di natura. Molti di noi han dovuto sforzarsi di persuadere ch’è pure un uomo; ma i piemontesi non pensano che un uomo sia capace di tutta quella malizia che attribuiscono a Liborio. Datemi notizie di vostro padre che spero sentir presto nominato vice Presidente della Corte Suprema, e dei vostri figli. Salutate in mio nome il consigliere di giustizia, il Direttore Melillo, Napolitani, Romano, Mastellone, il Presidente e il Regio Procuratore del Tribunale di Napoli. Vedete che questo saluto è dato in modo ufficiale, ma nondimeno è cordiale. Mio caro Capomazza fate pieno assegnamento su di me come su di un vecchio e sincero amico e credetemi sempre vostro G. Pisanelli.

Di lì a qualche giorno, la presunta “malizia” di Liborio sarebbe stata messa a dura prova all’interno della Camera; il 28 febbraio, infatti, in sede di verifica dei poteri, qualcuno sollevò la “questione” della sua ineleggibilità, apparentemente per la carica di consigliere di Luogotenenza, quasi si trattasse di un impiego pubblico, mentre, in realtà la funzione aveva il carattere della temporaneità. Ma contro di lui si scatenò una campagna di velenosi quanto ingiusti ed ingenerosi attacchi di cui si resero protagonisti Giuseppe Massari, Silvio Spaventa, Ruggero Bonghi (alle colonne del Nazionale), Antonio Scialoia e, sia pure in modo più pacato, lo stesso Giuseppe Pisanelli. Ad appena un mese dal superamento della questione della eleggibilità, infatti, Giuseppe Massari, testa d’ariete di Nigra (e dello stesso Cavour) all’interno del Parlamento, in occasione della discussione su una sua interpellanza relativa alle condizioni delle province napoletane, sferrò, a freddo, un colpo basso a Liborio Romano, senza mai farne il nome, ma facendo comprendere chiaramente chi fosse l’avvocato che, rientrato dall’esilio, avrebbe avuto – a suo dire – rapporti ai limiti della liceità con alcuni giudici borbonici nell’esercizio della propria attività legale. Massari, nella sua furibonda polemica, giunse addirittura ad affermare che nessuno «ravviserebbe» in Liborio Romano «l’incarnazione di quei principi di probità politica a cui tutti dobbiamo inchinarci» (come si legge negli atti parlamentari). Nel primo abbozzo delle Memorie autobiografiche (che risalgono alla primavera del 1861) Romano, con riferimento agli attacchi di cui era vittima, scrisse che rispondevano per lui non solo i fatti e la lettera di Garibaldi che lo gratificava di avere «ben meritato della patria» per quanto da lui fatto per la causa italiana, ma, soprattutto, gli otto collegi elettorali nei quali era stato eletto deputato (Altamura, Tricase, Bitonto, Atripalda, Sala Consilina, Palata, Campobasso e uno dei collegi di Napoli). Quanto alle velate critiche rivoltegli da Pisanelli, Romano scrisse che egli era stato con lui ingiusto e irriconoscente, non avendo saputo distinguere il cittadino Liborio, che poteva agire di sua propria volontà, dall’uomo di Stato che aveva il dovere di «servire ad ispirazioni che non sono sue proprie».

Del lungo sodalizio che legò Pisanelli a Giuseppe Massari, è testimonianza la lettera che Bianca Pisanelli, dopo la morte del marito, gli inviò con una sua foto, per ringraziarlo per le sue manifestazioni di profondo cordoglio: “Gentilissimo amico, so quanto egli vi amava e quanto era da voi riamato: da ciò comprendo come il vostro dolore possa uguagliarsi al mio. Vi mando un piccolo oggetto, che Egli stesso vi ha legato: il suo valore sarebbe nullo, se non fosse un ricordo dell’amico vostro. Vi stringe la mano Bianca Pisanelli”.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVII n. 10 – ottobre 2019, pp. 8-9]

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