Lezione leopardiana in compagnia di Antonio Prete

di Gianluca Virgilio

Al rientro a scuola dalle vacanze estive, tra la fine di settembre e la prima metà di ottobre, il primo autore che si studia nelle classi quinte di tutti i licei è Giacomo Leopardi. I giovani studenti sono ancora assordati dai rumori estivi, portano nella loro mente immagini di una vita distratta e annoiata, sebbene il bel tempo dell’autunno incipiente faccia loro rimpiangere, ora che sono costretti sui banchi di scuola, i divertimenti dell’estate appena trascorsa. A loro, al loro stato d’animo ho parlato anche quest’anno del giovane recanatese. Recavo in mano l’agile libro di Antonio Prete, La poesia del vivente, con sottotitolo Leopardi con noi, che la casa editrice Bollati Boringhieri di Torino ha pubblicato proprio in questo settembre e che costituisce la summa del pensiero di Prete su Leopardi.

“Era uno sfigato, un depresso” dice Manuel, riassumendo così, dopo dodici anni di scuola, il suo sapere leopardiano. In realtà, egli ha tradotto con parole sue quello che critici e antologisti ripetono da troppo tempo col temine pessimismo.

Ho letto ai miei studenti titolo e sottotitolo del libro che avevo in mano, chiedendo di rifletterci su, e subito un silenzio meditabondo è subentrato, tra i banchi, all’eco dei rumori estivi e delle facili definizioni. Che cos’è il vivente e che cos’è la sua poesia e perché tra noi, oggi, c’è posto per un ospite desiderato, il giovane recanatese vissuto due secoli fa?

“Il vivente è tutto ciò che vive, ovvero tutto ciò che nasce pasce e muore, per legge di natura…”, dice Elisa; “… e nel frattempo fa la guerra, inquina, rapina, uccide, distrugge, ecc.” aggiunge Daniel.

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