Avanti (o) pop 6. Pop hoolista

di Paolo Vincenti

Quando, leggendo i miei articoli, qualcuno mi taccia di populismo, io mi incazzo davvero. Non c’è nessuno più lontano di me dal concetto di populismo, almeno nella distorsione negativa che oggi si dà al termine. Non potrei mai esserlo, populista, perché io disprezzo il popolo quando questo è correo di certe anomalie, discrasie, tipiche del nostro Paese. Nessuno meno consentaneo di me alla becera demagogia utilizzata da buona parte dei politici e degli anchor men televisivi.  Del pari, disprezzo le élites, quelle che ritengono di farsi carico del pensiero comune e di indicare la via, tracciare la rotta, come se fosse, la loro, una chiamata, una predestinazione, quasi fossero “in missione per conto di Dio”, come i Blues Brothers.  Se per populismo, come sostiene il professor Richard Baldwin dell’Università Bocconi di Milano, si intende l’idea che il popolo sia puro e le élites corrotte, allora io non sono affatto un populista perché ritengo, in linea con Riccardo Ruggeri su “La Verità” del 17 marzo 2017, che anche il popolo sia abbastanza corrotto, anzi intimamente corrotto. E come Ruggeri, non credo in nessun uomo della provvidenza, sono convinto che non esiste nessun Mandrake che ci possa salvare, semmai dobbiamo accontentarci di qualche Lothar.

Marzo 2017

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