L’entropia di Antonio Pennetta

Ovviamente l’aspetto grafico è una scelta e nasconde una poetica, che può essere quella di chi ritiene impossibile sezionare o selezionare la vita, separarne i fatti, le vicende, le emozioni, le riflessioni; darle un ordine, un prima e un dopo, le cause e gli effetti, le colpe e le ragioni. La rappresentazione grafica rende quest’idea.

In un passaggio, poi riproposto in quarta di copertina, la chiave di lettura: “Il protagonista di questo lungo romanzo è un uomo di 75 anni che – temendo di dover sopportare che la propria anima perda la dignità duramente coltivata nel corso di tutta la sua lunga esistenza, imprigionata, come sarebbe, in un corpo che l’estrema vecchiaia non farebbe più rispondere ai suoi ordini – decide di porre fine alla propria vita e, nelle poche ore che lo separano dal gesto estremo – che egli pianifica con cura maniacale nell’intento di mantenere, persino nella morte, una parvenza minima della dignità che egli ritiene abbia conservato in ogni suo gesto – rimesta e reinterpreta l’intero suo passato, manifestando nuovi e, per lui stesso, sorprendenti moti di rivolta del proprio essere contro tutto ciò che è stato, nella certezza che tutto quanto è avvenuto, irrimediabilmente non potrà essere cambiato […]. «L’entropia» è il trionfo della meditazione”.      Pennetta dimostra di avere una spiccata propensione all’introspezione e una salda dimestichezza scrittoria. E’ una questione insieme letteraria e filosofica. Sul primo aspetto non si può non riconoscere il nesso inscindibile. “La letteratura – diceva Italo Calvino – non sarebbe mai esistita se una parte degli esseri umani non fosse stata incline a una forte introversione, a una scontentezza per il mondo com’è, a un dimenticarsi delle ore e dei giorni fissando lo sguardo sull’immobilità delle parole mute” (Lezioni americane. La rapidità). La scrittura di Pennetta, lunghezza e lentezza a parte, è tuttavia facile e godibile, a condizione che non si abbia fretta e si sappia seguire con interesse una vicenda interiore al centro della quale c’è l’uomo alle prese con le sofferenze e le angustie di una interminabile ricerca di senso, alla fine introvabile. Scoprirà il lettore di non aver letto solo cose di altri, ma un po’ anche cose sue o a sé molto vicine.

[“Presenza taurisanese” anno XXXVII n. 316 – Novembre/Dicembre 2019, p. 6]

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