Di mestiere faccio il linguista 24. I paradossi delle parole

Intendiamoci. Il calcio mi piace, è un gioco bellissimo, richiede sacrificio, spirito di squadra, capacità di cooperare. Ci sono i campioni grandissimi, quelli che segnano le epoche e rifulgono nell’immaginario di molti. Ma in questo sport è fondamentale il gruppo, la solidarietà, l’intesa collettiva, insomma le doti che fanno difetto a noi italiani, individualisti fino all’autolesionismo. Il calcio mi piace e sono in buona compagnia. Saba ha scritto una poesia che molti conoscono, anche a memoria: «Il portiere caduto alla difesa / ultima vana, contro terra cela / la faccia a non veder l’amara luce …». Pasolini dichiarava una passione illimitata per il calcio, lo assimilava a un vero e proprio linguaggio, con poeti e prosatori. Ricordava: «I pomeriggi che ho passato a giocare a pallone sui Prati di Caprara […] sono stati indubbiamente i più belli della mia vita. Mi viene quasi un nodo alla gola, se ci penso».

È necessaria una precisazione. Apprezzare il calcio non vuol dire accettarne tutte le manifestazioni, comprese quelle che lo deturpano: la violenza negli stadi e fuori, la corruzione e il giro delle scommesse clandestine. Torniamo alla lingua, ci aiuta a capire. Se un calciatore sbaglia un rigore o un gol facile, se una squadra non vince contro un’altra sulla carta più debole, non diciamo più che è mancata la cattiveria. Diciamo che il calciatore è stato poco abile, che la squadra è stata poco capace o magari sfortunata. La cattiveria non può esprimere valori positivi, in nessun caso. La scarsa abilità o la sfortuna rientrano nella condizione umana, con applicazione e tenacia le cose possono migliorare. L’abbiamo scritto più volte nelle scorse settimane: torniamo a dare ai vocaboli i valori che essi esprimono, non distorciamo la realtà. Vale per il calcio, vale per la vita.

2. delazionedelatore. Stefano Cristante, amico e caro collega, il 3 dicembre ha scritto su «Nuovo Quotidiano» un bell’articolo sulla vicenda delle morti sospette all’ospedale di Saronno: un primario anestesista e un’infermiera sono accusati di aver causato la morte di numerosi pazienti, compresi alcuni parenti della donna. Cristante si interroga sull’uso stravolto della parola delatore, in questo caso riferita a chi, sospettando nei comportamenti dei due qualcosa di poco chiaro, li ha denunziati all’autorità giudiziaria. Se il delatore è ‘chi denuncia qualcuno tradendone la fiducia’ (azione riprovevole, senza alcun dubbio) chi ha esposto i suoi dubbi a polizia o carabinieri ha fatto male, avrebbe dovuto tacere? È un infame, secondo il lessico della mafia?

La risposta naturalmente è “no”. La legge invita, anzi obbliga, ad agire così. Chi è a conoscenza di un crimine e non lo denunzia commette pure lui un reato, esistono parole che censurano questi comportamenti, omertà e connivenza. Ferma restando la divisione dei ruoli. Spetta alle forze di polizia e carabinieri indagare, ai giudici accertare la verità. I processi si fanno nelle sedi deputate, non si celebrano in piazza.

E allora, come denunziare il sospettato di un crimine senza essere considerati delatori? Cristante indica un rimedio: troviamo una «dimensione più intensamente comunitaria, […] un senso di responsabilità collettiva anche nei luoghi professionali e negli ambienti lavorativi in genere, […] discutiamo apertamente di irregolarità e anomalie prima che il livello di guardia di una criticità venga superato».

Ha ragione. Troppo spesso per quieto vivere restiamo silenziosi di fronte a comportamenti che violano le regole del vivere associato, anche negli aspetti minuti della vita: un parcheggio in doppia fila o in un posto riservato ai disabili, i rifiuti abbandonati dovunque, una coda non rispettata, e tante altre piccole violazioni che inquinano le nostre giornate.

Se protestiamo, la reazione è immediata: in qualche caso violenta, più spesso con l’ammonimento «fatti i c…i tuoi!». Crozza dedica a queste reazioni riprovevoli scenette divertenti, ma il difetto non riguarda solo il senatore della repubblica da lui messo in berlina. Ogni volta che vengono violate le regole del vivere associato sono fatti di tutti, per questo bisogna parlare.

Un piccolo esempio. Ore 10.10 del 12 dicembre, via Giuseppe Ghezzi a Lecce. La strada è sporca, cartacce, rifiuti, un parafango di automobile giace sul ciglio. Vedo arrivare un furgone della ditta Monteco, quella della raccolta rifiuti. Penso: bene, puliranno. Mi sbaglio. Il veicolo si ferma, scende un signore, estrae dal cassone una pistola ad acqua compressa, lava coscienziosamente il furgone per minuti, riparte. Risultato: ai rifiuti preesistenti si è aggiunto il terriccio di cui è stato liberato il furgone. Capisco che il motto «Un soffio di … pulizia» che campeggia sul furgone non va riferito alla strada (sporca più di prima), va riferito al furgone.

Non mi interessa il singolo individuo (per questo non do il numero di targa del veicolo), denunzio un atteggiamento incivile, mi auguro che chi deve intervenire (responsabili della ditta di pulizia, assessore e tecnici comunali preposti all’ambiente) eviti per il futuro che fatti del genere si ripetano. Ho fatto una delazione? No, ho affermato il diritto del cittadino ad avere strade pulite (oltre tutto, paghiamo una tassa cospicua per questo). Lecce nelle periferie è sporca, basta guardare.

Cristante osserva che non esiste nella lingua italiana una parola che qualifichi in senso positivo l’azione di chi denuncia comportamenti riprovevoli, reati gravissimi come l’omicidio e piccole violazioni alle regole del vivere quotidiano. Ha ragione, lavora bene con i vocabolari, quasi mi ruba il mestiere… Scherzo, ovviamente, ma la sua osservazione è importante.

Non è una questione solo linguistica. Se una parola adatta manca nella nostra lingua vuol dire che mancano (o sono rarissimi) i comportamenti di chi, senza rifugiarsi nell’anonimato, si assume la responsabilità etica e civile di denunziare violazioni piccole o grandi alla legge e alle regole.

Se tutto questo entrerà nel costume collettivo, se sarà giudicato favorevolmente, probabilmente sapremo trovare una parola che possa esprimere la positività di questi comportamenti.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 18 dicembre 2016, p. 10]

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