Una selva di affetti

Senza salutare nessuno. Un ritorno in Istria di Silvia Dai Pra’

di Walter Nardon

            Con una battuta riuscita, ma pressoché irriferibile, nella raccolta di saggi Tra parentesi Roberto Bolaño esprimeva le sue riserve nei confronti delle autobiografie, a meno che – sosteneva –chi le scrive non sia giustificato da un’eccezione, da una straordinaria dote personale. In certe forme letterarie oggi fortunate come il reportage narrativo o l’indagine personale il racconto comincia invece con la messa in scena dell’inadeguatezza della voce narrante di fronte alla realtà che si trova ad affrontare: Emmanuel Carrère, ad esempio, per citare un autore particolarmente noto, adotta a volte una strategia di esordio che in termini retorici risulterebbe facilmente qualificabile rinnovandola con uno sviluppo emotivo insinuante, difficile da liquidare. In altre parole, mentre davanti alla tragedia i personaggi fronteggiano il dolore come possono, la voce narrante, o per meglio dire il personaggio che porta il nome dell’autore, si mostra perplesso, debole, a volte confessa perfino di una punta di viltà. Poi, certo, ha modo di riscattarsi.

            Tutto questo mi è venuto in mente, per contrasto, leggendo Senza salutare nessuno. Ritorno in Istria di Silvia Dai Pra’ (Laterza, 2019), un libro di sorprendente equilibrio che non si rifà al modello caratterizzando drammaticamente la voce narrante e che resta in buona parte al di qua dell’autofiction. E non è che il tema non lo consentisse: parla delle vicende più oscure accadute sul confine orientale italiano nel Novecento e delle foibe del 1943.

 Nelle prime pagine seguiamo l’autrice bambina, incapace di comprendere appieno la segreta ostilità di sua nonna davanti all’intenzione del padre di partire con le figlie per l’Istria, la terra natale, appunto, della nonna stessa. Al momento del congedo questa non si fa trovare in casa e lascia solo un biglietto sul quale, augurando loro buon viaggio, scrive di non salutarle nessuno.

 In effetti, sul destino della maestra istriana Iole Martini, nata nel 1927 – nel primo dopoguerra la regione fu unita al Regno d’Italia – e cresciuta in un contesto di frontiera a Santa Domenica di Albona fra l’agricoltura e le miniere di carbone dell’Arsa, si allunga la vicenda controversa e letale delle foibe del 1943, nelle quali morì suo padre Romeo Martini (nato Martininch). Partita nel novembre di quell’anno, Iole non sarebbe mai tornata in Istria.

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