La tradizione iconografica trecentesca dell’Apocalisse e gli affreschi di Santa Caterina

2. La cosiddetta Bibbia di Vienna, dalla sede della biblioteca che la custodisce (Oesterreichische  Nationalbibliothek: Cod. Vindob. Pal. 1191), che si ritiene prodotta intorno al 1360, condivide con la precedente le stesse figurazioni ed è questa, supponiamo, la ragione per la quale è attribuita allo stesso laboratorio di miniatori (Orimina), anche se la mano che l’ha eseguita sembra diversa e certamente più modesta. La commissione non doveva essere così prestigiosa, forse di origine borghese o  religiosa, ma gli Orimina si qualificano come i dominatori della produzione libraria a Napoli in questi anni (1335-1365). Le immagini sono stavolta mescolate insieme entro pannelli unitari che accompagnano il testo lungo le singole pagine del codice. Anche se conservano la loro originaria iconografia, le miniature sono tracciate in modo sintetico e talvolta sommario, sorvolando sui particolari.

Il ciclo apocalittico di s. Caterina, essendo stato realizzato all’incirca fra il 1415 ed il 1435,  costituisce il momento conclusivo, di sintesi, della riflessione teologica e profetica alla base della ispirazione originaria, sulla quale ritorneremo nelle conclusioni.

Procederemo ora, dunque, alla presentazione di una scelta di affreschi dall’Apocalisse cateriniana, per forza di cose estremamente limitata, dati i limiti oggettivi di questa pubblicazione, e alla loro comparazione con le immagini corrispondenti nelle Tavolette di Stoccarda, nella Bibbia Hamilton e nella Bibbia di Vienna. Ogni scena è preceduta dal passo dell’ Apocalisse illustrato.

Vogliamo sottolineare ancora il carattere esemplificativo (non esente da una certa casualità) di tale scelta. Va comunque ribadito che tale confronto va esteso a quasi tutto il complesso di scene che costituiscono il ciclo in questione e che ci riserviamo di ritornare a proposito in un prossimo lavoro più articolato. Ci scusiamo in anticipo col lettore se l’esposizione sarà troppo compressa e stringata e lo invitiamo a procedere autonomamente utilizzando gli strumenti Internet a disposizione[1]

Si avverte che, subito dopo la citazione del brano dell’Apocalisse illustrato, è riportata per prima l’immagine dell’affresco presente in S. Caterina. Seguono in seconda fila, nell’ordine, le scene desunte da: le tavolette di Stoccarda, la Bibbia Hamilton e la Bibbia di Vienna.

Controfacciata, a sinistra del rosone.

Ap. 4, 2-4. “Ed ecco, un trono era innalzato nel cielo, e sopra il trono uno a sedere. (…) e il trono era circondato da un’iride simile allo smeraldo. Attorno al trono erano altri ventiquattro troni e sopra questi vidi seduti ventiquattro vegliardi (…). Ap. 4, 10. “I ventiquattro vegliardi si prostravano davanti a Colui che sedeva sul trono (…) e gettavano le loro corone davanti al trono.

L’iconografia del trono celeste, che nella Tavoletta di Stoccarda occupa il posto di maggior rilievo, al centro della tavoletta, e nella Bibbia Hamilton quasi tutta la metà superiore della pagina, consente una ricostruzione ideale dell’affresco, in gran parte perduto, di s. Caterina. Nonostante la composizione nell’affresco sia rigirata rispetto a quella delle Bibbie, molti particolari significativi sono comuni, come il re con viola che fuoriesce dal coro (in s. Caterina alla base del coro a destra, nella Bibbia Hamilton nella stessa posizione ma a sinistra), l’angelo isolato soprastante ecc. Supponiamo che la necessità di adattare la figurazione al ristretto spazio disponibile accanto al finestrone abbia costretto il pittore ad adottare alcuni accorgimenti, variando di posto alcuni personaggi.

Parete sinistra, quarto registro a sinistra.

Ap. 19, 11-17. “Poi vidi il cielo aperto ed ecco (apparve) un cavallo bianco, e Colui che lo cavalcava è chiamato Fedele e Verace; Egli giudica e combatte con giustizia. (…) E le schiere che sono in cielo lo accompagnano sopra cavalli bianchi, vestiti di bisso candido e puro. Dalla bocca gli esce una spada acuta, per colpire la nazioni. (…) Poi vidi un angelo ritto sul sole, il quale gridò con gran voce a tutti gli uccelli che volano nel cielo: <<Venite e radunatevi per il grande banchetto d’Iddio, (…) >>.

La scena presentata in s. Caterina è indicativa per capire il metodo seguito  nelle varie redazioni quando si voleva modificare il significato originario attribuito alla composizione. Qui l’immagine, sulla sinistra, delle schiere lanciate nello scontro finale è associata a quella dell’ “angelo ritto sul sole” circondato da uccelli, allegoria di s. Francesco e del suo Ordine. Sulla  Bibbia di Vienna manca del tutto la parte relativa al drappello divino, mentre nella Bibbia Hamilton la figura dell’angelo (che, come spiegheremo, è simbolo della diffusione del francescanesimo su tutta la terra) è collegata a quella dell’imprigionamento di Satana nel pozzo dell’abisso e al conseguente inizio del millennio di pace. In questo caso, dunque, solo s. Caterina conserva  la lezione originaria presente sulla Tavoletta di Stoccarda.

Parete destra, quinto registro, riquadro a sinistra.

Ap. 20, 1-4. “ Poi vidi un angelo che scendeva dal cielo, che teneva in mano la chiave dell’Abisso e una grande catena. Egli afferrò il Dragone, il serpente antico, che è il Diavolo e il Satana, e lo incatenò per mille anni, e lo precipitò nell’Abisso e chiuse e mise i sigilli, perché non potesse sedurre le nazioni, finché non fossero finiti i mille anni, dopo i quali dev’essere sciolto per breve tempo. Poi vidi dei troni sui quali sedevano coloro ai quali fu dato di poter giudicare”.

La scena segna un momento estremamente significativo all’interno del ciclo cateriniano perché mette in relazione l’inizio del millennio di pace (Ap. 20, 2-3) con un celebre avvenimento contemporaneo facilmente identificabile e perfettamente riconoscibile da tutti, la conclusione dello Scisma d’Occidente (Concilio di Costanza, 1417): qui l’angelo che sovrasta il trono occupato dai quattro papi sta togliendo le insegne del potere ai tre pontefici in carica, che ancora indossano la tiara, per consegnarle a quello centrale (Martino V) che, essendo stato appena eletto , ne è ancora privo. E’ ovvio che la Tavoletta di Stoccarda, che precede il nostro ciclo di circa novant’anni, attribuisce alla medesima scena un significato del tutto diverso. Le due  parti della figurazione sono distanti l’una dall’altra (qui sono state accostate per rendere possibile la comparazione). Inoltre l’angelo che sta sopra i giudici reca in mano un diverso attributo: una bilancia, simbolo di equilibrio nelle decisioni che i papi dovranno adottare. Si deve presumere pertanto che i quattro pontefici in questione siano coloro che sostennero le posizioni dei francescani Spirituali nella lunga diatriba sulla povertà che caratterizzò il dibattito ecclesiastico in quel periodo. La Bibbia Hamilton pone l’inizio del millennio di pace in rapporto ad un altro evento, il trionfo e la diffusione del francescanesimo su tutta la terra, qui rappresentato, come abbiamo visto,  dall’angelo ritto sul sole circondato da uccelli, mentre nella Bibbia di Vienna esso è conseguente alla distruzione di Babilonia, operata dall’angelo che scaglia contro di essa una pietra simile a macina (Ap. 18, 21). Come si vede, scene simili assumono significati diversi a seconda dei contesti in cui sono inserite.

Parete destra, quinto registro, riquadro a destra.

Ap. 20, 7-9. “E quando saranno finiti i mille anni, il Satana verrà sciolto; e uscirà dalla sua prigione a  sedurre le nazioni, che sono ai quattro angoli della terra, Gog e Magog, per adunarle a battaglia, il cui numero è come la rena del mare. E salirono sulla distesa della terra e assalirono l’accampamento dei santi e la città diletta”.

Come possiamo notare, questa scena è presentata in modo semplificato, anche se sostanzialmente simile, sulla Bibbia di Vienna. L’immagine più efficace è certamente quella raffigurata sulla Bibbia Hamilton, che riunisce in un’unica pagina episodi differenti: Gog e Magog che assediano la città diletta , il fuoco mandato dal cielo che li divora e la loro condanna definitiva ed eterna, insieme a Satana, nello stagno di fuoco, contestualmente al Giudizio Universale e alla discesa della Gerusalemme celeste. Non possiamo qui fornire questa immagine nella sua interezza poiché siamo costretti a scomporre i diversi momenti in modo da poter accostare le varie scene alle corrispettive presenti in s. Caterina. Nel nostro ciclo infatti i quattro episodi sono stati separati in quattro riquadri differenti, perdendo in ritmo e capacità di coinvolgimento. Nonostante le evidenti affinità compositive, la soluzione qui adottata risulta  debole e impoverisce l’originale (anche quello della Tavoletta).

Controfacciata, terzo registro, affresco a destra del portale.

Ap. 20, 11-15. “Poi vidi un gran trono bianco e Colui che vi era seduto, dal cui cospetto fuggirono la terra e il cielo, e il loro luogo non fu più trovato. E vidi i morti, grandi e piccoli, in piedi davanti al trono; poi i libri furono aperti; e un altro libro fu aperto che è quello della vita; e i morti furono giudicati da ciò che stava scritto nei libri, secondo le opere loro”.

In questa scena il pittore galatinese riconduce in un ambito convenzionale quanto invece vi era di innovativo nelle soluzioni precedenti (un’unica composizione di cui il Giudizio finale costituiva solo una parte). Se la Bibbia Hamilton offre la visione completa e più vicina all’originale, di cui le Tavolette di Stoccarda sono la testimonianza diretta, anche la Bibbia di Vienna, di solito così schematica ed essenziale, conserva la medesima composizione riportando la parte inferiore della pagina della Bibbia Hamilton e accostando in un unico contesto il Giudizio col fiume di fuoco che travolge Gog e Magog. Pur essendo una replica tutto sommato fedele delle redazioni precedenti, l’Apocalisse di s. Caterina adotta delle soluzioni che rallentano la drammaticità della narrazione.

La grande novità prospettata nel ciclo galatinese dell’Apocalisse rispetto all’iconografia tradizionale sta nel fatto  che, al posto di un’unica immagine riassuntiva –il Giudizio finale -posta sulla controfacciata delle chiese medioevali, qui assistiamo ad una dettagliata descrizione capitolo per capitolo, a tratti versetto per versetto, dell’intero libro dell’Apocalisse di s. Giovanni, che, oltre alla campata ad esso assegnata, invade tutta la chiesa. Questa scelta, tuttavia, non rispondeva ad un intento esegetico: l’Apocalisse qui illustrata era la manifestazione, agli occhi della comunità di francescani Osservanti qui insediata, di una necessità profonda, un’urgenza inderogabile che solo in questo modo poteva venire soddisfatta. Essi erano i portatori di una particolare interpretazione del testo giovanneo secondo la quale i tempi erano ormai conclusi e si era in attesa solo del  Giudizio finale: una esposizione così dettagliata era dunque portata a dimostrazione di questo loro radicato convincimento.

All’ordine francescano era pertanto affidato il compito essenziale di avvertire e convertire le genti in vista di questa scadenza ormai imminente. Questa assunzione di responsabilità da parte degli Osservanti si fondava però anche su un’altra convinzione altrettanto profonda: essi ritenevano di possedere gli strumenti intellettuali per comprendere e decodificare gli avvenimenti offerti dall’attualità, proprio considerandoli alla luce e nella prospettiva delle profezie apocalittiche. Erano giunti a riconoscere s. Francesco nella figura dell’ “angelo che saliva da oriente e portava il sigillo d’Iddio vivente” (Ap. 7, 2) come si trova rappresentato  al centro dell’arco divisorio fra la campata dell’Apocalisse e quella della Genesi, in mezzo ai suoi dodici confratelli, sei per parte, a somiglianza di Cristo, o (insieme a s. Domenico) in quella di uno dei due Testimoni (Ap. 11, 3-12) come raffigurati all’interno dello sguancio del finestrone sinistro e nei riquadri seguenti, che replicano scene affini presenti sulle Tavolette di Stoccarda. Questo episodio, ineludibile, è la spia migliore per comprendere l’intenzione degli ispiratori, poiché la raffigurazione dei due testimoni in veste di frati è esplicita. Accanto a s. Francesco, soggetto essenziale della narrazione apocalittica è l’Ordine minoritico da lui creato, specificamente il suo ramo Spirituale, il settore rigorista e radicale del movimento, da sempre in aperta polemica con la Chiesa ufficiale, di cui gli Osservanti di s. Caterina si dichiarano eredi. L’importanza attribuita all’episodio relativo alla Donna vestita di sole (Ap. 12, 1-18), seguito minutamente nei dettagli sia sulle pareti che sulla volta della campata, si giustifica solo se posto in relazione alle attese di questi frati,convinti che il destino ad essi riservato,  a somiglianza di quanto accade alla Donna apocalittica,  comportasse la persecuzione ed il martirio, nella certezza della ricompensa finale. A questo proposito, l’immagine – simbolo dell’Ordine è certamente quella posta al centro della parete sinistra, che raffigura l’”angelo ritto sul sole” (Ap. 19, 17) all’interno dell’iride, circondato da uccelli multicolori. Essa trova spiegazione nell’appellativo con cui i francescani erano conosciuti: ordo colombinus (ordine dei colombi). L’angelo al centro è pertanto un’ulteriore figura di s. Francesco nel suo ruolo escatologico di condottiero del suo Ordine a sostegno delle schiere di Cristo nello scontro finale contro l’Anticristo.

Ma gli Osservanti non si limitavano ad interpretare l’Apocalisse in termini francescani: anche la Storia civile era, ai loro occhi, portata a testimonianza dell’imminenza della scadenza della fine dei tempi. Per questo motivo numerosi episodi del ciclo illustrano eventi legati al recente passato, o attesi nell’immediato futuro. Nel primo caso si tratta  di avvenimenti ormai storicizzati, e perciò verificabili da tutti, nel secondo di vere e proprie profezie, delle quali entrano a far parte numerosi personaggi mitici celebri nella letteratura popolare medioevale, il papa angelico, l’imperatore degli ultimi tempi, l’Anticristo ecc..

Fra gli episodi storici più espliciti portati qui a dimostrazione che l’Apocalisse era in atto e che il Giudizio finale era imminente abbiamo già avuto modo di accennare in precedenza all’affresco fondamentale, posto sulla parete destra, in basso a sinistra, in cui la data di conclusione dello Scisma d’Occidente, cioè il 1417, qui rappresentato nei quattro pontefici seduti sul medesimo seggio, con l’angelo che toglie le insegne del potere ai tre che indossano la tiara, per offrirle all’unico papa di nuova nomina, Martino V, è rapportato, in termini apocalittici, all’episodio in cui il diavolo è incatenato nel pozzo dell’Abisso per i mille anni (Ap. 20, 1-3) L’affresco sulla medesima parete, dall’altra parte dell’arco, relativo all’assedio alla città diletta da parte di Gog e Magog (Ap. 20, 8- 9) indica pertanto che il regno millenario si era già concluso e che si era solo in attesa del Giudizio finale e della discesa della Gerusalemme celeste, così come raffigurata nei successivi riquadri. Se questi sono gli ultimi eventi, il punto di partenza riconoscibile delle dinamiche apocalittiche è quello illustrato nel primo affresco in alto sulla parete sinistra: la necessità di separare ed isolare il quarto cavaliere, la Morte (Ap. 6, 8) dagli altri tre (sulle Tavolette di Stoccarda essi sono rappresentati unitariamente) nasceva dal fatto che in esso veniva riconosciuta la celebre epidemia di peste che flagellò l’Europa nel 1349, decimando più di un terzo della sua popolazione.

Fra questi due poli, la Grande peste e la conclusione del Grande Scisma d’Occidente, altri episodi sono qui illustrati, con tratti che potremmo definire giornalistici, e che riguardano spesso eventi che coinvolgono la casa degli Orsini del Balzo, che diventa perciò protagonista in prima persona delle vicende apocalittiche. Se, infatti, l’elezione di Martino V al soglio pontificio poteva essere intesa anche come un affare interno alla famiglia Orsini, essendo egli  zio della moglie di Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Anna Colonna, l’affresco soprastante quello della conclusione dello Scisma rappresenta proprio l’avvenimento che è all’origine della fondazione di s. Caterina. Raimondello Orsini del Balzo riceve dal papa Urbano VI nel 1385 l’autorizzazione ad erigere questa chiesa, insieme al convento e all’ospedale, come ricompensa per aver fornito l’aiuto decisivo alla sua liberazione dall’assedio stretto contro di lui dal re di Napoli Carlo III a Nocera. Se osserviamo attentamente, infatti, al centro della battaglia, accanto al cavaliere con un vistoso turbante rosso in testa, sulla sua sinistra, non può sfuggirci la presenza di una tiara, che indiscutibilmente indica la presenza del pontefice nascosto per la fuga.

Se accanto a questo si interpretano, tradizionalmente, gli episodi, sulla controfacciata, relativi alla Grande Prostituta, in rapporto al regno ed al personaggio della regina Giovanna II, acerrima avversaria di Maria d’Enghien, sul trono di Napoli dal 1414 al 1435 (l’attenzione rivolta alla descrizione dell’aspetto fisico di corteggiatori, amanti e mariti della regina ci spingono a condividere questa lettura), ed i Sacramenti illustrati sulla volta della campata della Genesi in relazione a episodi reali della vita di Maria e del suo erede Giovanni Antonio, ci renderemo conto che questi affreschi non hanno un valore astratto ma sono posti in riferimento ad avvenimenti ben concreti e storicamente accertati. Uno degli stadi necessari prima del Giudizio finale era segnato dalla riunificazione, ad opera di un  papa angelico, della Chiesa d’Occidente con quella d’Oriente. Questo avvenimento, che era fra quelli più attesi e che ha una sua concreta realizzazione ad opera del pontefice Eugenio IV nel 1439 in seguito ai concili di Basilea, Ferrara e Firenze, è il soggetto del più esteso affresco della chiesa, situato sulla volta dei Sacramenti in posizione dominante, frontale rispetto all’ingresso. Rappresenta l’incontro delle due delegazioni, guidate dai rispettivi imperatori, quello bizantino per la chiesa ortodossa (Giovanni VIII Paleologo, a destra) e l’imperatore del Sacro Romano Impero, nelle vesti di Carlo Magno ( a sinistra), che, tramite i loro rappresentanti s. Pietro e s. Paolo consegnano nelle mani del papa angelico, spalleggiato da Cristo, i simboli del potere, le chiavi e il libro.

E’ difficile dire se questo affresco si riferisca al fatto storico (dovremmo ammettere in questo caso che i lavori  fossero ancora in corso in quella data) o ne sia solo il presentimento o una premonizione (il che spiegherebbe l’aspetto estremamente giovanile del papa angelico). La sospensione fra mito e realtà è un aspetto che accomuna  anche i dati storici qui presi in considerazione, che vengono astratti dal loro contesto e trasposti in modo da assumere il valore di prove portate a dimostrazione che gli eventi previsti nell’Apocalisse si erano effettivamente realizzati.

Una osservazione sorge però spontanea: se il tempo apocalittico rappresentato in s. Caterina è compreso fra la seconda metà del Trecento e il primo quarto del Quattrocento, allora i bozzetti delle Tavolette di Stoccarda che sono indiscutibilmente la base per i nostri affreschi, databili intorno al 1330, e le miniature delle due Bibbie che da essi derivano, collocate intorno al 1340-1360, hanno sicuramente diversi riferimenti culturali e storici. Uguali figurazioni dovevano così essere interpretate necessariamente in modo diverso.

L’espediente a cui si faceva più frequentemente ricorso per far assumere nuovi significati al testo delle Tavolette era quello di spostare semplicemente di posto le varie scene, variando di conseguenza il contesto, oppure modificando particolari secondari, come gli attributi degli angeli o dei protagonisti e lasciando invariata la composizione. Lo stesso metodo si può riscontrare ad ogni passaggio: nonostante l’indubbia fedeltà all’originale le due Bibbie evidenziano numerose varianti compositive , omissioni e spostamenti di particolari significativi.

Ci siamo sforzati di segnalare, nel commento alle immagini, le modalità di intervento di cui gli ispiratori si servivano per aggiornare il significato delle varie figurazioni, pur replicandole nella sostanza, ma è impossibile condurre un confronto sistematico fra tutti e quattro i documenti presi in esame. Prenderemo qui in considerazione per la sua rilevanza solo il momento iniziale di questo percorso, costituito dalle Tavolette.

Se in quest’opera si è scelto di rappresentare i diversi episodi dell’Apocalisse in modo così minuzioso e innovativo non era per trasferire in immagini il libro di s. Giovanni, quanto piuttosto perché solo così si poteva rappresentare un particolare commento, e la relativa  interpretazione, che di questo testo aveva dato il capofila dei francescani Spirituali dell’epoca, Pietro di Giovanni Olivi (1248-1298). La sua opera principale, di cui le Tavolette costituiscono l’illustrazione, la celebre e controversa Lectura super Apocalypsim, è il testo guida di intere generazioni di Spirituali prima ed Osservanti poi. Replicando le figurazioni presenti nelle Tavolette, i francescani riconfermavano la loro fedeltà non solo al testo biblico e all’interpretazione che Olivi ne aveva dato, ma  dichiaravano anche la loro intransigente appartenenza ad una causa ed un ideale. Per Olivi s. Francesco è altro Cristo (alter Christus) ed il suo messaggio è perciò da considerare come Vangelo realizzato, il suo compito è quello di condurre la Chiesa verso il Giudizio finale attraverso i dolori che le terribili prove che l’attendono le riservano. Olivi è anche l’autore di una distinzione che farà molta strada dopo di lui, quella fra Chiesa carnale e Chiesa spirituale. La prima, minata da corruzione e compromessi col mondo, è destinata a tramontare, la seconda, che si identifica con la missione dei francescani Spirituali, potrà conseguire la salvezza e trionfare, pur dopo il superamento di numerose tribolazioni. Se possiamo considerare gli affreschi della controfacciata della nostra chiesa relativi all’episodio della Grande Prostituta come allegoria del regno di Giovanna II, sentita da Maria d’Enghien come sua erede sul trono di Napoli ma anche come avversaria e persecutrice, nelle redazione originaria sulle Tavolette le medesime scene rappresentavano, sulla scorta di Olivi, il dissidio fra Chiesa carnale e Chiesa Spirituale ed il trionfo finale di quest’ultima.

Se queste idee erano osteggiate all’interno della Chiesa ufficiale, l’unico posto in Italia in cui avevano trovato accoglienza favorevole era la corte angioina di Napoli, che con l’istituzione del monastero doppio di s. Chiara aveva anche fornito una sede protetta per l’elaborazione delle concezioni oliviane. La comunità francescana insediata in s. Caterina è pertanto da riconoscere come l’erede delle istanze sostenute in quella casa madre. Esso va considerato come centro culturale promotore di un rinnovamento profondo delle strutture ecclesiastiche. I precedenti dei nostri affreschi, di cui le Tavolette e i codici biblici sono le testimonianze sopravvissute, sono pertanto da ricondurre all’interno di questo monastero napoletano, dove sappiamo che Giotto lavorò proprio fra il 1328 e il 1330, seguendo un programma analogo ai cicli di s. Caterina, con le storie, andate perdute già nel Cinquecento, dall’Antico, dal Nuovo Testamento e dall’Apocalisse.

[“Il Titano. Supplemento economico de “Il Galatino”, n. 12 del 25 giugno 2019]


[1]Per la Bibbia Hamilton ved. bibbia+hamilton&tbm=isch&source=univ&client=firefox-b&sa=X&ved=2ahUKEwjfstqWjajiAhUPJFAKHQmYBUIQsAR6BAgJEAE&biw=1217&bih=893; per la Bibbia di Vienna ved. Codex+Vindobonensis+Palatinus+1191&tbm=isch&source=univ&client=firefoxb&sa=X&ved=2ahUKEwjIpMe2kajiAhXlsaQKHeP1DYMQsAR6BAgJEAE&biw=1217&bih=91.

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