L’uomo e il pangolino

di Ferdinando Boero

Alcuni insetti sono disgustosi: se un uccello li mangia sente un sapore sgradevolissimo e sta tanto male da ricordare la lezione e smette di mangiare altri insetti di quella specie. L’insetto che ha mangiato ha salvato, sacrificandosi, molti esemplari della sua specie. Con i pangolini sta avvenendo qualcosa di analogo. Sono mammiferi coperti da scaglie cornee che, se disturbati, si appallottolano. In Cina e in Vietnam sono una prelibatezza e alle loro scaglie, con composizione simile a quella del corno di rinoceronte, sono attribuite proprietà farmaceutiche. I pangolini non si allevano, sono catturati allo stato selvatico, tenuti in cattività e uccisi al momento del consumo: costano molto e i clienti vogliono essere sicuri di non essere truffati. Il commercio è intenso e il pangolino è a rischio di estinzione. Le istituzioni in difesa della fauna selvatica lanciano inutili proclami che ne vietano la cattura e il commercio. Uno studio cinese pubblicato su un’importante rivista scientifica occidentale forse li salverà: il corona virus è presente nei pangolini. La contaminazione parte da chi maneggia questi animali quando sono ancora vivi. Ma il virus, trovato negli umani un ambiente favorevole, si propaga da umano a umano e, con la globalizzazione, la diffusione diventa globale. Lo scenario è plausibile.

Se fossimo tanto intelligenti quanto gli uccelli che evitano di perseverare in comportamenti dannosi (tipo mangiare insetti tossici) dovremmo smettere di maneggiare selvaggina (non solo i pangolini) o, comunque, lo dovremmo fare seguendo norme igieniche strette, una volta riconosciuta la pericolosità di tali contatti. Mangiamo molti animali che ci possono trasmettere malattie, dalle cozze (che ci possono trasmettere virus tipo quello dell’epatite o batteri come quello del colera), ai maiali (con vari parassiti). Persino gli animali da compagnia (come i gatti e i cani) possono trasmetterci malattie. Lo sappiamo e corriamo ai ripari, per evitare i contagi. Avrete notato pubblicità che ci dicono che gli animali che mangeremo non sono stati trattati con antibiotici per un certo periodo, prima di essere uccisi. Gli antibiotici servono per non far morire di infezioni batteriche gli animali allevati in condizioni di sovraffollamento, ma poi passano a noi quando li mangiamo. E i batteri fanno presto a sviluppare l’immunità di gregge. Se esposti massivamente ad antibiotici sviluppano resistenza (senza neppure vaccinarsi) così, quando cerchiamo di sbarazzarcene con antibiotici, loro resistono, e le nostre medicine diventano inefficaci.

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