Verrà il tempo che la poesia racconterà questi giorni

Quando i narratori sono intervenuti sui giornali per commentare le storie che accadono in questi giorni, non hanno fatto altro che esprimere, con sintesi estreme,  il malessere, la difficoltà di dire. Ma non potevano fare altro. Perché a loro manca ancora la possibilità di scandagliare le profondità; non hanno ancora le forme per rappresentare le mutazioni che sta subendo il pensiero individuale e collettivo.

Sta cambiando, o forse è già cambiato, l’immaginario, e la letteratura non può che confrontarsi con le dimensioni e le espressioni dell’immaginario.

Allora la letteratura dovrà necessariamente trovare una formula veramente  nuova.

Però le formule veramente nuove non sono una prerogativa dei narratori; probabilmente sono una prerogativa dei poeti. Sono i poeti che riescono ad inabissarsi, ad intuire e rappresentare il mistero, a recuperare il senso radicale, a stringerlo tutto in un verso solo, in una parola sola, a testimoniare la relazione che c’è fra il tutto e il niente, la finitudine e l’infinito, la terrestrità e l’eterno.

Certamente, nei tempi, anche prossimi, avremo una poesia diversa. Non necessariamente nuova nella forma, che potrà pure aderire alle forme già strutturate, ma senza dubbio nuova nei percorsi di indagine, nell’analisi dei significati di cui si caricano le esperienze.

Forse riconosceremo  alla poesia un valore che  da tempo non le riconosciamo più, distratti, come siamo stati e come ancora forse siamo, dalla réclame che spinge verso il mercato, dalle sirene della mondanità che passeggia sotto lo sfavillio della luminaria, dai privilegi concessi dalla superficialità.

Ma, in fondo, è assai normale che accada questo. E’ nei periodi di crisi, nel confronto con essa, che si acquisisce consapevolezza dell’importanza che assumono le cose essenziali e dell’ininfluenza di quelle inessenziali, eccedenti, superflue.

La poesia è fra le cose essenziali, cioè fra le condizioni che consentono di arrivare al senso fondamentale degli accadimenti e delle esistenze. Si colloca sulla soglia del presente per guardare indietro  e per scrutare l’orizzonte, ma soprattutto per elaborare una sintesi della relazione fra passato, presente, futuro, per rintracciarne le fratture o per ribadire l’ ineludibile  reciprocità, l’interdipendenza.

Probabilmente, anche la poesia si assumerà il compito di rinnovare queste relazioni, di proporre, con l’umiltà che appartiene alla sua natura, linguaggi differenti dai precedenti. Interpreterà i processi di cambiamento, metterà al bando idolatrie, finzioni, linguaggi falsi, metterà a disposizione strumenti di pensiero per  l’interpretazione dei fenomeni e delle storie che attraversano il mondo, che pretendono nuove visioni, nuove metodologie di organizzazione della mente, nuove categorie.

Forse sintetizzerà con un nuovo “m’illumino d’immenso” il processo che dalla catastrofe conduce al rinnovamento. Forse si confronterà con quello straordinario commento che Walter Benjamin fa dell’Angelus Novus di Paul Klee.

Quell’angelo di Klee e di Benjamin si rifiuta di restare assediato dalle macerie. Sa perfettamente quali sono le cause che le hanno prodotte, sa quali sono le conseguenze. Eppure si alza in volo, si protende: apre le sue ali verso un nuovo tempo. Ha consapevolezza che spesso la Storia, lo sviluppo, il progresso pretendono una ricostruzione delle macerie. Sa che le esistenze delle creature e delle civiltà si confrontano con logiche, passioni, emozioni, sentimenti, nostalgie, prospettive, istinti d sopravvivenza, egoismi anche, altruismi, solidarietà, consensi e dissensi.

L’angelo conosce la Storia, e quindi sa bene che è sempre andata così. Anche la poesia lo sa. Ma ha bisogno di tempo per trovare parole coerenti, capaci di far vedere nel buio la linea di una luce d’alba che si alza, leggera, trasparente.   

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, lunedì 30 marzo 2020]

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