Ai tempi del coronavirus

di Paolo Vincenti

I tempi del coronavirus sono sospesi fra due avverbi: sebbene e tuttavia, che puntellano una proposizione concessiva e la principale, attraverso una congiunzione subordinante che ne introduce una oggettiva, in un periodo complesso: sebbene chiunque ripeta che andrà tutto bene, tuttavia ciò non succederà.  Non accadrà, per la constatazione di fatto che sta già andando tutto male, il temuto pericolo non è stato scampato ma si è verificato. Sarebbe come dire: il treno non deraglierà, quando si interviene sulla zona di un disastro ferroviario; oppure: la casa non cederà, quando essa è crollata rovinosamente. Alla luce di queste elementari considerazioni, ci si chiede: perché plotoni di decerebrati in tv e sui mezzi di informazione continuano a ripetere il fastidioso mantra “andrà tutto bene”? Perché torme di inquieti marmocchi continuano a scriverlo sui cartelloni appesi alle porte di casa e sui balconi? Questa urticante tiritera ha soppannato le menti di un popolo già catafratto che la forzata permanenza domiciliare sta rendendo cachettico, ormai lobotomizzato.  D’altro canto, basta guardare la storia e applicare alla nostra riflessione un classico sillogismo aristotelico: tutte le pestilenze hanno prodotto danni enormi nelle aree del contagio; il coronavirus è una pestilenza; il coronavirus produce e produrrà danni enormi nelle aree del contagio. Semplice, no?

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