Qualche considerazione sul tempo della pandemia

di Antonio Prete

Qualche breve considerazione su questo tempo che stiamo attraversando. La pandemia – come è accaduto, lungo i secoli, in occasione di pestilenze, di genocidi, di stragi – richiama il pensiero verso la necessità di uno sguardo sul tempo tragico. Il tragico è l’apertura di una voragine nella quiete di un’esistenza pensata come succedersi prevedibile di eventi, come sistema consolidato di relazioni, come definiti rapporti tra saperi e poteri. Irruzione  dell’ inatteso, e insieme evidenza del limite costitutivo dell’umano.  Trionfo della morte – come celebri iconografie medievali e rinascimentali hanno raccontato – che disvela le illusioni della tecnica e della civiltà.

Le reazioni rischiano di chiudersi nella logica discorsiva del singolo sapere: al punto di vista medico si oppone il punto di vista politico, alla salute dei corpi la complessità che definisce le forme del vivere. Difficili le mediazioni. Rischiose le oscillazioni tra tutela esclusiva della salute pubblica e attenzione alla necessità che il corso economico e sociale delle cose riprenda il suo ritmo. Quali i modi e le forme che possano far convivere diritti alle libertà individuali, necessità del lavoro, diritto alle cure? Cercare, e praticare, questo equilibrio è compito delle comunità, dei loro interpreti, dei loro delegati.

Nel caso del virus che ha circolato, e circola, in questi tempi, secondo una diffusione appunto pandemica, lo sguardo va anzitutto verso quei numeri che sono nomi, quei nomi  che sono vite, quelle vite che sono storie – storie di legami, di desideri, di esperienze e di sogni – trasformate in sequenza tragica di sparizioni, di sottrazioni all’esistenza. Qui è il centro della vicenda: il dilagare, dove più dove meno, della morte. L’estensione implacabile, ostinata, del dolore. Dire di questo coronavirus significa dire del dolore. Se rileggiamo la Peste di Camus, vediamo che il punto di osservazione sulla malattia, sui corpi, sulle relazioni che si formano e disfano, sull’immaginazione di nuovi rapporti è quello del dottor Rieux, un punto di osservazione che è anche, sebbene in terza persona, quello del narratore. Uno sguardo che ha il dolore come costante riferimento, il suo dilagare, il suo ritrarsi, le sue tracce, i suoi annunci, le sue ferite.

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