Cambieranno il racconto e la visione del mondo

Si diceva di visioni del mondo. Appunto. Se un racconto non trasforma in qualche modo la visione del mondo di colui che lo incontra, se non muta le sue prospettive di osservazione, i suoi metodi di indagine, le categorie che applica  nel tentativo di comprensione, se non muta il pensiero che ha nei confronti di se stesso e degli altri, è soltanto un prodotto che non ha funzione sostanziale. 

Allora: forse susciterà indifferenza ogni storia che racconterà personaggi con profili e caratteri che i fatti di questo tempo, di questi giorni, non hanno segnato.

Susciterà indifferenza ogni racconto che non si confronterà con il deserto che sono diventati i luoghi  per qualche tempo: tutti i luoghi: un borgo, una confinata periferia, il centro di una grande città.

Susciterà indifferenza qualsiasi narrazione che non si confronterà con quella nuova condizione di solitudine – o di solitarietà – di cui abbiamo fatto conoscenza.

Susciterà indifferenza ogni narrazione che considererà come mai accaduto quello che è accaduto.

Questo, però,  non vuol dire che il racconto debba necessariamente coinvolgere e farsi coinvolgere dai fatti e dalle storie della realtà. Vuol dire, invece, che dovrà necessariamente trovare il modo per dire di una ridefinizione della coscienza provocata dai fatti e dalle storie dei giorni recenti.

Allora la differenza di qualità di una narrazione,  probabilmente sarà determinata dagli elementi di consapevolezza che sarà in grado di proporre, dagli strumenti di comprensione che riuscirà a fornire. Il grado di qualità di una narrazione dipenderà dalla dimensione e dalla stratificazione sentimentale che avranno le storie.

Anche in questo caso, per questa ultima dimensione, si tratterà inevitabilmente di proporsi nel confronto con le storie con un sentimento nuovo, o forse con una nuova sentimentalità, intesa come universo interiore, come intima tessitura di percezione ed emozione che elabora e conforma la visione del mondo.     

Probabilmente, l’interrogativo che appassionerà – o che ossessionerà- chiunque d’ora in poi si metta a narrare a qualcuno qualcosa, non riguarderà il cosa raccontare, ma il come rappresentare quella ridefinizione della coscienza. Quindi il linguaggio. Ancora una volta il linguaggio. Perché tutte le volte che nella storia si sono verificate trasformazioni di coscienza, è stato prevalentemente il linguaggio ad avvertire la crisi. Chissà, poi, se in questo tempo e in quello a venire, colui che racconta non si ritroverà a fare i conti con quello smarrimento del senso profondo del linguaggio che Hugo von Hofmannsthalesprime al principio del Novecento, nel finale della sua “Lettera di Lord Chandos”, quando dice che la lingua in cui gli potrebbe essere concesso non solo di scrivere ma anche di pensare , non è il latino, né l’inglese, né lo spagnolo, né l’italiano, ma quella lingua di cui non conosce una sola parola, quella in cui le cose gli si manifestano e con la quale, un giorno, cercherà di rispondere ad un giudice sconosciuto.

Cambieranno le narrazioni, dunque. E’ inevitabile. Perché è cambiato l’immaginario, per esempio; perché, per esempio, è cambiata la percezione del confine, quella della possibilità o dell’impossibilità di comprendere le manifestazioni della natura e di reagire ai suoi fenomeni; perché è cambiato, ulteriormente,  il modo di pensare il vicino e il lontano, di essere nel vicino e di raggiungere il lontano, anche il lontano che in qualche modo ci riguarda o ci appartiene. Perché è cambiato il nostro concetto e il nostro sentimento del tempo. Siamo cambiati noi, consapevolmente o inconsapevolmente, e quindi cambieranno le narrazioni, le parole e la forma delle parole con cui racconteremo di noi, del nostro essere in questo tempo, dell’essere stati in quello passato, cambierà il racconto  delle fantasie su come saremo in quello futuro. Cambierà anche  il linguaggio con cui racconteremo il sogno perchè probabilmente anche i sogni saranno visitati da immagini che prima non avevano residenza in nessuna profondità della nostra mente.      

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 31 maggio 2020]

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