Di mestiere faccio il linguista 6. I forestierismi e i falsi amici

“Smart working” è un prestito improprio, avremmo potuto scegliere meglio. Il fenomeno si ripete spesso, è dovuto alla abitudine degli italiani di ricorrere frettolosamente alle parole straniere per descrivere i più diversi aspetti della nostra vita. Tra i campi più esposti alla pervasività di questa tendenza c’è lo sport, a partire dal calcio che da alcune settimane riprende anche in Italia. Abbiamo assistito increduli alle manifestazioni di giubilo che hanno accompagnato (nello stadio e fuori) la vittoria in Coppa Italia del Napoli (identiche o peggiori, per la verità, quelle che poi abbiamo visto a Liverpool, per la vittoria di quella squadra nel campionato inglese). Non per la sostanza (il festeggiamento è legittimo e comprensibile) ma per le modalità: baci, abbracci, assembramenti senza fine, non una mascherina, neppure regalata. Alla faccia del confinamento e della prudenza. «A porte chiuse per il divieto di assembramenti» è il commento ironico di una vignetta di Giannelli, con le immagini dei calciatori festanti e accatastati e, sullo sfondo, le tribune deserte. Vedremo tra qualche settimana se tutto questo avrà provocato una ripresa della pandemia (tutti ci auguriamo di no, naturalmente). Tra le dichiarazioni di giubilo che si sono moltiplicate in quell’occasione, scelgo la dedica (questa del tutto legittima) che un calciatore della squadra vittoriosa indirizza all’allenatore Gattuso: «Dedichiamo la vittoria al “mister”, che in questi giorni è stato colpito da un grave lutto». Il riferimento è alla morte della sorella di Gattuso, definito “mister”.

In italiano l’anglicismo “mister” ricorre in contesti e con valori vari. 1. con il significato di ‘signore’, viene usato come appellativo premesso al nome o al cognome di un inglese o di un americano («mister Thomas», «mister Bradley») ; 2. indica ‘il vincitore di una gara di bellezza’ («mister Universo»); 3. nel linguaggio dello sport, designa ‘l’allenatore o il responsabile tecnico di una squadra’. Nel linguaggio dello sport facciamo dunque ricorso ad un prestito di un’altra lingua, pur avendo a disposizione una parola italianissima che esprime pienamente lo stesso significato: “allenatore” (attestato dal 1895). Nella lingua italiana la parola “mister” ‘allenatore’ fu usata per la prima volta nel 1961 dal giornalista e telecronista Gianni Clerici, ex-tennista e grande esperto di tennis, al cui stile immaginifico e ricco di inventiva, spesso tributario di formule inglesi (l’inglese è l’esperanto del tennis), sono state dedicate pagine anche in manuali di storia della lingua italiana. Da quel momento l’anglicismo ha avuto grande diffusione, in molti casi è preferito al vocabolo italiano. Ma non si tratta solo del ricorso, che potremmo considerare inutile, a un termine straniero. Il prestigio della lingua inglese nel tennis (come in altri sport, come in tanti altri campi) spiega agevolmente le ragioni del successo di “mister” ‘allenatore’. In questo caso tuttavia il prestito è anche sbagliato, il significato che la parola ha assunto nella nostra lingua non corrisponde a quello originario dell’inglese. Nella lingua di partenza “mister” si usa per rivolgersi ad una persona di cui non si conosce il nome: «Scusi, “mister”, sa dirmi che ora è ?» («Hey, “Mister”, do you know what time it is?»), a volte anche con un tono rude e sbrigativo: «Mi ascolti, “mister”, io non voglio più vederla in questo bar!» («Listen to me, “Mister”, I don’t ever wanna see you in this bar again»). (Frasi con “mister dal «Cambridge Advanced Learner’s Dictionary & Thesaurus» ©Cambridge University Press). La parola inglese per ‘allenatore’ è “coach” (si usa sia per il maschile che per il femminile) oppure “trainer” (anche con riferimento a chi allena cavalli da corsa). I vocabolari dell’italiano registrano sia “coach” che “trainer”, prestiti non adattati assunti con il significato originario.

I fraintendimenti sono spiegabili, anche se non dovremmo accettarli senza consapevolezza. Il fenomeno deriva dal fatto che molte parole inglesi (e di altre lingue) sono simili a quelle italiane, ma hanno significato diverso. In linguistica esiste un’espressione per definire l’equivoco, si parla di «falsi amici». Si definisce falso amico la parola di una lingua simile nella forma ma diversa per significato rispetto a quella di un’altra lingua. Sono falsi amici l’inglese “sensible” ‘ragionevole’ rispetto all’italiano “sensibile”; il francese “fermer” ‘chiudere’ rispetto all’italiano “fermare”; il tedesco “Notiz” ‘annotazione’ rispetto all’italiano “notizia”. Non è un falso amico, ma ha una struttura fonomorfologica simile all’italiano, “suona” come se fosse italiana, la parola “movida”. Nello spagnolo significava originariamente (anni Ottanta del secolo scorso) ‘mossa, movimento’ e indicava il movimento di rinascita sociale e di sviluppo economico scaturito dalla fine della dittatura franchista che per decenni aveva bloccato ogni fermento vitale (Francisco Franco muore nel 1975, liberando la Spagna da un’oppressione durata quarant’anni). È il risveglio dipinto in alcuni film effervescenti e coloratissimi di Pedro Almodóvar («Donne sull’orlo di una crisi di nervi» e altri). Si trova nel «Venerdì» di «Repubblica» (13 aprile 1990) la prima attestazione della parola in italiano: «Oggi [in Spagna] la parola d’ordine è “movida”. Non è un movimento culturale vero e proprio e nemmeno la riedizione della “Dolce vita”, ma una vera e propria fuga dalle regole del “fashion system” che aveva trionfato negli anni Ottanta».

Vediamo in questa citazione, isolato sul nascere, lo slittamento dal significato originario a quello di ‘vita notturna molto vivace e animata tipica delle città’ con cui usiamo oggi la parola in italiano. Molto di moda, nel bene e forse ancor più nel male in questi mesi di deconfinamento, quando temiamo che dalla “movida” vengano comportamenti scorretti, abbandono di plastica e di rifiuti per strada, ressa, risse, vandalismo, temuti assembramenti. Con il rischio evidente, insieme a quanto succede nelle discoteche e in molti altri luoghi, di una recrudescenza del contagio.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia” di domenica 5 luglio 2020]                                

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