La crudele dolcezza della memoria

La memoria come lacerazione e ricucitura. Trama d’esperienza. Sognamento. Fuga. Come rispecchiamento, ritrovamento. 

Quel ritrovarsi, quel ritrovare, quel ritornare, quel nostos senza rimpianto, quella malinconia sottile, quell’adorazione delle creature che sono state. Che sono: ancora: figurazioni dell’intimità.

Una scrittura a tratti incalzante, a tratti pacata. Sempre tesa alla conoscenza, al riconoscimento.  Fuori dalla memoria non c’è racconto. Fuori dalla memoria c’è il gelo del vuoto, dell’inappartenenza. 

La memoria come luogo di coesistenza dell’assenza e della presenza.

Un archetipo: il Padre.

Si scrive per dare conto al Padre.

Più in fondo di così non poteva andare, Carmen Gasparotto. Più che richiamare le ombre, convocarle a confronto, interrogarle sul senso degli anni e degli accadimenti e degli amori, dei disamori, dei dissapori, più che andarsi a cercare, grattando con le dita la muraglia del linguaggio, le parole che non hanno alternativa, le parole definitive, assolute, essenziali, radice e foglia, germinazione e disseccamento, non poteva. 

Più che andarsi a prendere le terribili meraviglie che il tempo nasconde nel suo fango, Carmen Gasparotto non poteva proprio fare.

Il tempo. Il tempo. Quell’assurdo di cui siamo impastati. Quella memoria che tenta disperatamente di dare un ordine, una giustificazione all’assurdo.

Carmen fa i conti con l’assurdo. Dietro ad ogni frase, ad ogni parola, ad ogni figura, c’è una sfida scaraventata in faccia all’assurdo. Lei contro l’assurdo del tempo. (Ma no, non contro: di fronte all’assurdo). Pensa: adesso a noi due. Pensa: so che ad un certo punto vincerai, ma fin quando scrivo, fin quando ritorno a casa, a me stessa, al mio sognare, riesco a gabbarti.

Ma lei sa, lei sa perfettamente, che non sta gabbando l’assurdo, che non può; sa che, però, lo sta in qualche modo seducendo. Spavaldamente. Sfrontatamente. Dice: adesso a noi due. Fino a quando mi rimane anche una sillaba sola dentro il cuore, a noi due.

Fin quando scrivo, l’impasto del tempo lo faccio io soltanto.

Con la sua narrazione coerente coesa compatta, Carmen riesce a dare una organicità al suo tempo, alle storie che sono maturate nella condizione del suo assurdo. A sedurlo.

Inabissarsi più di tanto, Carmen Gasparotto non poteva.

Ha scritto altro, prima di questo. Scriverà altro, dopo di questo.

Ma più in fondo di così non potrà andare. Più leggera e schiacciate di così non potrà essere mai. Più se stessa di così non sarà possibile. Per una bellezza stordente così non troverà scrittura.

[Postfazione al libro di Carmen Gasparotto, Chiavi di riserva, Kappa Vu, Udine 2020]

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