Italia pensante 16. Alfredo Parente e il concetto di “ripetizione” nell’arte. L’incontro Disney-Beethoven (2)

di Andrzej Nowicki

Chi recensisce i concerti deve partire dall’interpretazione. Il primo criterio è la conformità dell’esecuzione all’originale, cioè deve confrontare la “realtà fonetica” con la partitura. Ma…la composizione è anch’essa una “realtà fonetica”, mentre la pagina scritta (o stampata) è solo un mezzo “per uso degli esecutori” (Parente, Castità della musica, pag. 279). Ciò che è scritto sulla carta è muto e perciò non può essere identico ai suoni. Il compositore non deve essere ridotto all’autore della partitura, perché crea qualcosa di più che i segni musicali sulla carta; egli crea la musica, non solo l’istruzione per suonarla.

Durante questo confronto Parente ha incontrato nella partitura le “ripetizioni”, che tutti crediamo di ben conoscere, per esempio, da un capolavoro come la Sinfonia pastorale di Beethoven. Ecco, un motivo che si ripete tante volte e nella “grafia musicale” è “identico a sé stesso”. Nella grafia della partitura, sì, ma nell’ascolto, no! Tale fu la scoperta di Parente.

Così Parente la descrive: “[…] erroneamente si ritiene da taluni un’inferiorità della musica rispetto alle altre arti perché in essa (ma, bisogna avvertire subito, in alcune sue epoche…) si ripetono temi o si riprendono intere parti con scarse variazioni o nessuna variazione. Ma c’è, oltre a tutto, un valore estetico della ripetizione, la quale intanto non è mai ripetizione senz’altro, poiché un elemento, accanto o di seguito ad un altro elemento del tutto simile o identicamente ripetuto, assume tuttavia con esso e nel rapporto con esso un valore nuovo che non ha, preso separatamente […]. Con un succedersi di elementi musicali anche identici si forma un ritmo, il quale è, appunto, un ritmo, e non la mera e insulsa ripetizione di un elemento identico a se stesso. La ripetizione di un tema, prossima o remota, nel corso d’una composizione genera rapporti nuovi, giochi d’echi o di risonanze, di rispondenze e di richiami, di lontane armonie e di spirituali parentele, in cui par che la coscienza artistica si ritrovi nel suo stesso divagare per le sue vie, come tornando a certi suoi simboli e punti cardinali […]” (pag. 278).

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