Nell’armonia del latino si ritrova la delicatezza della lingua

Mi sembra che si sia perduta la delicatezza dei pensieri, la delicatezza nei confronti  degli esseri, delle storie, nei confronti del tempo, del destino, della Storia, di ogni situazione di realtà e di ogni finzione, nei confronti della Terra, dell’universo. Si è perduta quella delicatezza che si deve provare, si dovrebbe provare per ogni attimo del presente e del passato, per ogni esile figurazione di futuro, per tutte le parole che si sono dette, che si dicono,  per  tutte quelle taciute, per le carezze che si sono incontrate qualche volta, per le carezze che qualche volta sono andate perdute.

Mi sembra che non ci sia più delicatezza verso la vita e verso la morte”.

Dice che forse  non aveva ragione quel ragazzo col nome di Arthur Rimbaud quando nella sua “Chanson de la plus haute tour”  sospirava “ par délicatesse j’ai perdu ma vie”.

Invece la delicatezza dovrebbe essere la condizione naturale per fare le cose, per pensare; dovrebbe essere la cifra essenziale di ogni ragione e di ogni emozione, di ogni  sensazione, di qualsiasi analisi o riflessione che riguardi qualcosa che appartiene alla sfera della concretezza e a quella dell’astrazione, a quella della  certezza e a quella dell’ illusione.

Può esserci delicatezza anche in una  sillaba, dice.  Certamente c’è delicatezza in un respiro, in ogni respiro, certamente ci può essere in uno sguardo. Possono essere delicate le parole. Anzi, forse le parole dovrebbe essere le cose più delicate. Una parola senza delicatezza è una parola volgare. Le parole non dovrebbero essere mai volgari. Possono essere dure, inutili, vacue, eccessive, superflue, ingannevoli, bugiarde, banali, insensate. Ma non dovrebbero essere mai volgari. Non dovrebbero mai arrecare offese.  

Forse la delicatezza è la radice profonda della parola che mette in relazione una creatura con un’altra, una gente con un’altra, il vicino con il vicino, il vicino con il lontano.

La delicatezza è il sentimento della parola, la sua esperienza. La sua missione. Dovrebbe essere il suo esercizio quotidiano, la sua sfida esistenziale,  il suo codice genetico.

L’opera di Seneca è delicatezza, dice. E’ delicatezza del concetto, dell’espressione, soprattutto è delicatezza nel porsi in confronto con l’altro, nel protendersi all’ascolto, nel mettersi a sua disposizione. 

Dice che quando Seneca sostiene che le parole hanno una dolcezza che si insinua carezzevole e, come fanno l’ubriachezza o l’amore, tira fuori i segreti, sta parlano della delicatezza: dolcezza è sinonimo di delicatezza.  Forse soltanto questa condizione della parola può consentire a noi stessi lo svelamento dei misteri che ciascuno  ha nella profondità della propria esistenza. Dice che forse è questo il motivo per il quale non riusciamo più a comprendere i misteri della nostra esistenza. Forse è perché non riusciamo più ad accostarci ad essi, ad interrogarli con delicatezza. Abbiamo verso di essi un atteggiamento di indifferenza o di sfida. Siamo indifferenti al mistero di noi, oppure sfidiamo i nostri misteri. Senza riuscire a svelarli. Così restano quello che sono.

Per quarant’anni ha insegnato al liceo. Dice che spera di essere riuscito a farlo con delicatezza, di essere riuscito a suscitare curiosità per la delicatezza di un’opera intera, di una sola parola: di aver insegnato a tradurre con delicatezza, a fare errori con delicatezza, a trattare quell’armonia del latino, quel suo movimento d’onde sonore con delicatezza. 

Dice che a volte avverte una sensazione di sconforto, che a volte ha l’impressione che si sia perduta ogni delicatezza.  La delicatezza per sé. Soprattutto la delicatezza per l’Altro: per il suo corpo, il suo pensiero. 

Se non è delicatezza, allora vivere è un errore, dice.

Dal mare viene un filamento di vento leggero, leggerissimo. Delicato. La luce si è quasi ritratta. Lui si passa le mani fra i capelli bianchi e radi. Guarda in lontananza, in silenzio,  e non so cosa guarda. Forse guarda il suo pensiero che se ne va lontano. Ma non verso l’orizzonte. Forse guarda  il suo pensiero che se ne va sul fondo dei ricordi.

[“Nuovo Quotidiano di Puglia”, Domenica 6 settembre 2020]

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