Di mestiere faccio il linguista 14. L’aggressività linguistica

di Rosario Coluccia

In quest’estate dominata dalla pandemia, valuto con attenzione quanto riportano i media e internet, mi colpiscono i fatti e i variabili comportamenti, collettivi e individuali. Non oso entrare nel merito delle contrapposte valutazioni che separano i negatori oltranzisti, che rifiutano perfino cifre e dati concreti (quasi 30 milioni di contagi e 850 mila morti nel mondo; oppure: «Contagi, il caso Puglia: in un mese aumentati del 595%», Nuovo Quotidiano, 21 agosto) dai catastrofisti aprioristici, lungo una scala che va da affermazioni come  «il virus non esiste, liberi tutti, scateniamoci» fino a considerazioni di tipo diametralmente opposto. Su tutto questo ho le mie idee (naturalmente), come ognuno di noi. Per quanto mi riguarda, per informarmi cerco di risalire direttamente alle fonti delle notizie, mettendole a confronto, giudicando. Su queste basi, decido i miei comportamenti, sperando di non sbagliare.

Mi spiego. Non intendo parlare qui dei contenuti di queste dispute, non ho la competenza necessaria, non sono virologo né epidemiologo, cerco di capire affidandomi al buon senso. Parlo invece della lingua (è il mio mestiere),  dei toni e delle forme che la polemica spesso assume, mi interessa come si comunica e come si difendono le diverse idee. Un dato mi colpisce più di ogni altro, la netta prevalenza di modalità assertive e perentorie, non poggiate su elementi verificabili, attraverso cui molto spesso vengono formulate opinioni sugli argomenti di cui si discute. Ne derivano effetti concreti e comportamenti collettivi assunti sulla base di notizie approssimative o addirittura di vere e proprie falsità («fake news», siamo abituati a dire, ma esistono le parole italiane appropriate: falsità, fandonie, bufale, ecc.). Attraverso mille vie si diramano informazioni non veritiere, con dannose conseguenze generali. Dinamiche linguistiche manipolatorie o ingannevoli distorcono il contenuto delle informazioni e i contesti ai quali le informazioni stesse vanno riferite. Il risultato è presto detto. Propaganda e disinformazione creano un ambiente generale che genera confusione in chi cerca di farsi un’idea autonoma su temi sensibili, con esiti pericolosi. Se la descrizione della realtà è insufficiente, la percezione del pubblico non può essere all’altezza della situazione. Dalla qualità delle notizie in circolazione dipendono, a seconda dei casi, consapevolezza o fragilità sociali e ne deriva la capacità, ai differenti livelli, di rispondere in modo appropriato ai periodi di crisi come quello che stiamo vivendo (che, con ogni evidenza, non passerà rapidamente).

Questa voce è stata pubblicata in Di mestiere faccio il linguista (quarta serie) di Rosario Coluccia, Linguistica e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *